24 marzo 2016 18:37

Il Belgio sarà anche un paese noioso, ma sembra eccessivo dire che sta vivendo il suo momento più buio dalla fine della seconda guerra mondiale. Se la cosa peggiore che gli è successa negli ultimi settant’anni è un attentato che ha provocato 31 vittime, allora può ritenersi molto fortunato.

Può suonare un po’ impietoso, ma il rispetto per le vittime innocenti del terrorismo non significa rinunciare alla nostra razionalità. Quello che abbiamo di fronte è la tipica isteria mediatica che è divenuta la norma dopo ogni attacco terroristico in occidente.

E la gente si lascia prendere facilmente dal panico generato dai mezzi d’informazione. Dopo l’attentato un giovane che era ospite da noi a Londra prima d’imbarcarsi per gli Stati Uniti si chiedeva apertamente se era il caso di rinunciare al suo biglietto non rimborsabile. Era un volo per Chicago che non avrebbe neanche sorvolato l’Europa continentale.

Anche le compagnie aeree si fanno prendere dal panico, cancellando i voli diretti in Belgio come se all’improvviso fosse diventato un luogo estremamente pericoloso. La notizia dominerà la stampa belga per settimane e il resto della stampa occidentale per il resto della settimana. Anche i mezzi d’informazione non occidentali se ne occuperanno per un paio di giorni giorni. Non verrà detto quasi niente di nuovo o utile e alla fine l’isteria si esaurirà. Fino alla prossima volta.

È un modo irrazionale di comportarsi, ma neanche io ne sono immune. A prescindere da quello che dico sugli attentati di Bruxelles, il fatto che me ne stia occupando in una rubrica pubblicata in tutto il mondo contribuisce ad alimentare la falsa idea che si tratti di un evento non solo doloroso ma anche importante.

È il volume di copertura mediatica che determina la percezione dell’importanza di un evento, non quello che viene effettivamente detto al riguardo. Ma se noi giornalisti siamo comunque obbligati a occuparci di un evento come gli attentati in Belgio, che cosa possiamo scrivere al riguardo per non alimentare il panico?

È sempre utile ricordare che il terrorismo è un rischio statisticamente insignificante

La prima cosa da fare dopo ogni attentato è ricordare che attirare l’attenzione dei mezzi d’informazione è il principale obiettivo dei terroristi, se non l’unico. È una cosa ovvia e fin troppo nota, ma se non se ne parlasse finiremmo per dimenticarcene. Come per gli avvisi sulla salute nei pacchetti di sigarette, è una frase che andrebbe inclusa in ogni articolo sul terrorismo.

La seconda è che la presunta minaccia di simili attentati terroristici andrebbe vista nelle sue effettive proporzioni. La gente lo fa raramente. Quando un evento va oltre l’orizzonte dell’esperienza quotidiana, la maggior parte delle persone non riesce a distinguere tra quanto è davvero pericoloso e quanto è solo drammatico e spaventoso.

Quindi è sempre utile ricordare che il terrorismo è un rischio statisticamente insignificante, che ci sono molte più probabilità di morire cadendo nella vasca da bagno che in un attentato terroristico, anche se un simile approccio contrasta con la comprensibile tendenza dei giornalisti a enfatizzare l’importanza di tutto ciò di cui si occupano.

Infine, qualunque analisi obiettiva smonta l’idea che il terrorismo sia “una minaccia esistenziale”, come ha detto una volta il primo ministro britannico David Cameron. Gli ultimi attentati terroristici in Europa, per esempio, hanno riguardato perlopiù paesi francofoni.

Gli immigrati musulmani di Francia e Belgio provengono soprattutto dai paesi arabi, e soprattutto dal Nordafrica, dove il francese è la seconda lingua. Il jihadismo è molto meno diffuso nel resto del mondo islamico, e quindi la Germania (i cui musulmani sono in maggioranza turchi) e il Regno Unito (dove sono perlopiù d’origine asiatica) producono meno estremisti dei paesi francofoni e subiscono un numero più basso di attentati.

I cittadini musulmani di Francia e Belgio sono anche meno integrati nella società. La politica francese degli alloggi ha spinto la maggioranza degli immigrati a vivere in palazzoni di periferia, spesso oltre i capolinea della metropolitana. Disoccupati, poco istruiti e culturalmente isolati, i giovani di origine straniera sono facile preda dei gruppi estremisti.

Il senso di questo tipo d’analisi è circoscrivere il problema. Non esiste un esercito di terroristi in Belgio, solo un gruppo improvvisato da alcuni giovani. Gli attentati di Bruxelles, per esempio, sono avvenuti solo quattro giorni dopo l’arresto di Salah Abdeslam, l’unico superstite della banda che ha compiuto gli attentati di Parigi a novembre.

Tornato a Bruxelles dopo che non era riuscito a farsi saltare in aria a Parigi, Abdeslam era psicologicamente distrutto e i suoi complici sapevano che appena la polizia lo avesse preso avrebbe cantato come un canarino. Per questo hanno deciso di compiere un altro attentato e immolarsi prima di essere arrestati.

Il primo ministro belga Charles Michel ha detto le frasi di rito sul fatto che i suoi connazionali sono decisi a difendere la loro libertà, ma la libertà del Belgio non è a rischio. I terroristi non sono una minaccia esistenziale. Sono un fastidio letale, ma niente di più.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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