30 agosto 2016 19:19

1. Rome, Stillwell (feat Joakim Thåström)
Quanto è cupa la voce, la musica di questo brontolone lussemburghese (Jerôme Reuter) che accumula miglia infinite di tenebrosi voli notturni con il titanico fin dal titolo The Hyperion machine. L’appeal del suo modo di cantare è ovvio per chi ama Mark Lanegan o anche The National; trasuda sete di letteratura europea, con name check di tutti i Céline e Celan del caso (bellissima The secret Germany); duetta pure con icone svedesi, rasentando il sublime; portabandiera di un rock che ancora crede alla propria importanza.

2. Emiliano Mazzoni, Il meschino
“Con amore ti do una cipolla bollita” canta il cantautore che ristora, senza soldi ma con ancora molta sete. Un po’ Nick Cave allo squacquerone, un po’ Capossela dell’appennino modenese. Scampato a un inferno di grigliate, lo chansonnier dedito allo “sciamanesimo da bar” è al suo terzo album (Profondo blu), prodotto (con economica pulizia) da Luca A. Rossi (noto per trascorse partigianerie con Üstmamò e Giovanni Lindo Ferretti). Più bravo che incoraggiante, ma il sottotono di mestizia è in realtà un antidoto sornione al calore umano che trasuda.

3. NoN, La paura
“È questo squarcio in cielo, è questa mano tesa che viene a prenderti”. È anche un modo imperioso di concludere un album, una ballata di sei minuti con quattro accordi alla Dario Argento e un crescendo prog to noise di chitarre distorte, fino alle campanelle finali. Si ha davvero un senso di sollievo alla fine di Sancta sanctorum, l’ultimo album di questo tenebroso trio di gente Joy Division fiorentina: nelle loro mani perfino il Trio Lescano di Come l’ombra diventa un drappello di messaggeri dell’apocalisse. Ostinati, con una loro cupa simpatia.

Questa rubrica è stata pubblicata il 26 agosto 2016 a pagina 86 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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