19 novembre 2015 17:32

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Anche se i film della saga di Hunger games sono stati visti da due miliardi di spettatori, è difficile appassionarsi al destino di Katniss Everdeen, del presidente Snow, del distretto 13 e di tutta Panem. Le distopie hanno stufato, così come il vizio hollywoodiano di spalmare e suddividere in più capitoli qualcosa che si potrebbe chiudere in un’unica mano. Diventa uno stillicidio, soprattutto se quello che succedeva nel sottocapitolo precedente non è memorabile.

Futile ribellarsi a Hollywood. Ricordiamoci che di Twilight ne sono stati fatti cinque: gioiamo e godiamoci quindi Hunger games. Il canto della rivolta: parte 2 (3d), nella speranza che sia l’ultimo. Già il titolo così comincia a diventare ridicolo, ci manca solo un due punto zero. Se, come scrivono su Forbes, è vero che Jennifer Lawrence vale molto di più del suo peso in oro anche e soprattutto grazie a Katniss Everdeen, teniamoci pronti a tutto.

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In A testa alta, di Emmanuelle Bercot, presentato fuori concorso a Cannes, seguiamo il percorso educativo di Malony, un ragazzino “difficile”, dai sei ai diciotto anni. Il film ha ricevuto un consenso unanime sui mezzi d’informazione francesi: è un film che parla della Francia di oggi con toni quasi severi, ma anche con “energia e slancio”, si rifiuta di “demoralizzare il pubblico” anche se si parla di un ragazzo (e di una società) in difficoltà.

Tra i pochi a stroncare A testa alta sono stati i Cahiers du cinéma: “Il film è risucchiato dal suo stesso appetito per la crisi e l’emotività e alla fine ne escono un’anima conformista e considerazioni vagamente demagogiche”. Non si può essere sempre d’accordo con quello che scrivono i Cahiers, ma è anche impossibile passarci sopra facendo finta di niente.

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Per il suo terzo film da regista, Liv Ullmann sceglie di adattare Miss Julie, un dramma teatrale di August Strindberg sulle schermaglie tra una giovane aristocratica (Jessica Chastain) e il cameriere del padre (Colin Farrell). Il dramma di Strindberg, come lo stesso autore aveva premesso, ha come tema il darwinismo e si presenta come un manifesto del naturalismo. Il cast è completato da Samantha Morton. Quindi abbiamo tre pesi massimi (una californiana, un irlandese e un’inglese) nell’adattamento di un dramma teatrale scritto da uno svedese (su cui si sono cimentati senza risultati memorabili Alf Sjöberg e Mike Figgis): riuscirà la regista (norvegese) a tenere insieme tutto questo?

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Il thriller italiano è una rarità. In fondo al bosco di Stefano Lodovichi è un thriller (scritto insieme a Isabella Aguilar e Davide Orsini) ambientato in montagna, in val di Fassa). E già questa si dimostra una scelta intelligente. La montagna, quando le vacanze di Natale sono lontane, sa essere molto inquietante. In questo scenario ancestrale si perde Tommaso, un bambino di quattro anni. Cinque anni dopo la polizia lo ritrova. I suoi genitori, la cui vita è stata schiacciata dal dramma, devono fare i conti con la nuova realtà: il figlio è tornato.

Magnifici genitori (mancati e ritrovati) sono Filippo Nigro e Camilla Filippi, altra scelta azzeccata: Nigro può sembrare minaccioso, Filippi può sembrare stanca e affranta. Ma come nei migliori thriller niente è come sembra.

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Su Bella e perduta di Pietro Marcello, che ha (pre)aperto il festival di Torino, torneranno nei prossimi giorni altre firme del sito ben più autorevoli.

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