10 luglio 2015 19:11

A forza di viaggi, discorsi e riunioni, Alexis Tsipras è diventato completamente matto. Oppure ha dovuto alzare bandiera bianca di fronte ai dogmi dell’austerità, allo strapotere degli avversari e alla mancanza di liquidità delle banche greche, strangolate dai provvedimenti di Mario Draghi.

Oppure il leader di Syriza ha cambiato idea: ha capito che per cambiare la Grecia ha bisogno di varare riforme serie e un piano di austerità che presto farà diventare la Grecia una “tigre dell’Egeo”. Oppure si è comportato soltanto come un abile politico: ha mobilitato il suo elettorato per una battaglia puramente simbolica, ha salvato il suo partito e la sua poltrona, e quando si è trattato di decidere si è limitato al pragmatismo.

Forse queste interpretazioni sono tutte, almeno in parte, vere. Nelle ultime 48 ore quasi tutti gli osservatori si sono chiesti per quale ragione Alexis Tsipras abbia fatto una (furiosa e vittoriosa) battaglia contro il piano di sacrifici proposto dai creditori il 30 giugno scorso, che prevedeva 8,5 miliardi di tagli alla spesa e nuove tasse per il biennio 2015-2016, e ora invece ha presentato alle istituzioni un piano che prevede addirittura 12,5-13 miliardi di sacrifici per lo stesso periodo.

Alcune delle spiegazioni accennate prima sono senza dubbio corrette. La liquidità delle banche greche è agli sgoccioli, l’economia di Atene è ferma e si è capito che per adesso la piccola Grecia – che in ogni caso è riuscita finalmente a conquistare nei negoziati un alleato importante come la Francia – non ha la forza politica per far cambiare rotta all’austera Germania.

Ma non bisogna dimenticare tre elementi fondamentali. Il primo, importantissimo, è che il 30 giugno i creditori chiedevano 8,5 miliardi di sacrifici in cambio della concessione di un nuovo prestito di soli 7,5 miliardi. Niente più che un salvagente. Soldi sufficienti a campare soltanto per cinque mesi, e che sarebbero stati usati solo per rimborsare i prestiti al Fondo monetario internazionale e alla Bce. Adesso, in cambio di 12-13 miliardi di sacrifici, la Grecia otterrà nuove risorse per 53,5 miliardi di euro, all’interno di un programma che ha un respiro triennale. E che dunque (se tutto andrà bene) permetterà di non dover pensare alla sopravvivenza quotidiana, ma di varare le riforme (quelle obbligate, e quelle che invece fanno parte del programma di Syriza) nei prossimi tre anni.

La seconda novità riguarda due richieste del governo greco, finora inascoltate: un pacchetto di aiuti materiali destinati al rilancio dell’economia e l’intervento per ristrutturare o “neutralizzare” il debito pubblico greco. Solo dopo la proclamazione del referendum di domenica scorsa, il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha parlato di un piano di aiuti per infrastrutture ed economia reale da 35 miliardi di euro. Questa misura ora fa parte dell’accordo complessivo, che sembra alla portata. Ancora, sia Juncker sia Donald Tusk, il presidente del Consiglio europeo, hanno dichiarato che a ottobre i creditori e l’eurogruppo discuteranno misure concrete per intervenire sul debito pubblico greco.

Una misura che, dopo il pronunciamento del Fondo monetario internazionale e l’intervento del segretario statunitense al tesoro, Jack Lew, è ormai ufficialmente (anche per i partner europei, che ne sono tutt’altro che entusiasti) un intervento inevitabile per rendere la situazione economica greca sostenibile.

Infine, c’è il terzo aspetto, di tipo tattico: anche se molte delle misure contenute nel pacchetto di sacrifici accettato dai greci sono severissime, a ben vedere quelle più dolorose e traumatiche non scattano immediatamente, ma verranno scaglionate nei prossimi anni. E bisogna ricordare che anche i governi degli ultimi tre anni, tutt’altro che maldisposti (anzi) nei confronti della troika, a ben vedere hanno realizzato concretamente soltanto il 40 per cento delle misure accettate e indicate nei programmi di austerità.

In altre parole, Tsipras guadagna tempo e può ritardare alcuni provvedimenti. E bisogna ancora capire se ci sarà (come in precedenza) una troika di tecnici (Unione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale) con pieni poteri, in grado di vigilare sull’attuazione delle misure accettate dalla Grecia.

Non è detto che questa intesa vada in porto. In Germania ci sono ancora forti resistenze e tutto il fronte degli stati vassalli della Germania (dalla Slovacchia ai paesi baltici) preferirebbe una Grexit a un’intesa. Ma ci sono problemi anche in Grecia: in queste ore è in corso il dibattito parlamentare, e nonostante gli appelli all’unità di Tsipras e le spiegazioni del neoministro dell’economia Euclid Tsakalotos (sostenuto pienamente dal suo predecessore Yanis Varoufakis), alcuni deputati di Syriza hanno già annunciato il loro no alla proposta di Tsipras. I margini sono stretti.

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