26 febbraio 2015 10:35

“Ma lei è proprio incapace di rilassarsi”, dice la fisioterapista mentre mi massaggia le gambe cercando inutilmente di sciogliere un po’ della tensione che mi tiene in piedi. Grazie, penso io. È un pensiero rilassante. Sto trascorrendo un fine settimana salutista in un centro benessere, anche se ho una scorta di biscotti di emergenza in borsa. Una settimana stressante di preoccupazioni domestiche mi ha fatto arrivare qui tesa come una corda di violino, e mi ha messo subito di fronte alla mia eterna incapacità di lasciarmi andare.

Non è la prima volta che scrivo dell’ansia e di quanto possa essere umiliante. Di solito la difficoltà di rilassarmi in un centro benessere è l’ultima delle mie preoccupazioni, e impallidisce al confronto con tante altre esperienze angosciose. Eppure il rilassamento è un obiettivo a cui dovremmo tutti aspirare al giorno d’oggi, ed è un terreno sul quale spesso fallisco. Dire a qualcuno di rilassarsi è utile quanto dire a un depresso di stare allegro, eppure è incredibile quanto spesso sia pronunciato quest’ordine e quanto sia mortificante non essere in grado di obbedire.

La differenza tra le persone rilassate e quelle come me, che sono sempre in tensione, è la nostra risposta agli stimoli. Invidio le persone calme perché sembrano immuni alle reazioni eccessive, come se avessero una pelle più spessa della mia, impermeabile alle piccole fluttuazioni della vita quotidiana. Ci vuole qualcosa di veramente forte per scuoterle. Hanno bisogno di montagne russe, auto veloci e cocaina, esperienze rischiose e avventurose, perché hanno bisogno di quel brivido per sentirsi vive.

Io, al contrario, mi muovo nella vita in silenzio e in punta di piedi, stando attenta a non far scattare gli allarmi ed evitando stimolanti che mi farebbero perdere il controllo: quasi sempre il mio cuore e il mio corpo sono già sulle montagne russe, anche quando non succede niente. Il mio ritmo cardiaco accelera alla minima provocazione, senza bisogno di nessuna droga ricreativa, ed è più probabile che io sviluppi una dipendenza dai betabloccanti che dalla cocaina. Arrossisco per niente, a volte anche solo per una cosa che ho pensato, e posso avvampare standomene tranquillamente seduta al computer. “Stai scrivendo un’altra delle tue rubriche?”, commenta sarcastico Ben quando mi vede in questo stato, cosa che mi capita spesso. È il massimo dell’agitazione che riesco a sostenere.

Paradossalmente, però, ho una voce rilassante. La gente dice che i miei dischi sono “distensivi”, anche se non sempre è quello che vorrei sentirmi dire. Lo scollamento tra quello che metto nelle mie performance canore e quello che ne esce fuori può essere frustrante, e mi chiedo che fine faccia tutta quell’angoscia. Una parte segreta di me cerca di nasconderla, trasformando il tormento nel suo opposto, ma è un atto inconscio sul quale non esercito alcun controllo, e spesso vorrei che la mia voce desse una rappresentazione più autentica di quello che succede nella mia testa.

Penso a queste cose mentre me ne sto distesa su un materassino durante la seduta di rilassamento, ascoltando Teardrop di Liz Fraser. Anche la sua voce dà l’impressione di mascherare sotto un’apparente tranquillità problemi che nascono da pensieri profondi e complicati, dando vita a un album distensivo. Comunque, Liz riesce a compiere un piccolo miracolo e a rilassarmi mentre mi dirigo all’appuntamento che ho preso per lo scrub. Mi accoglie una signora ungherese che parla a macchinetta per tutta la durata del trattamento, interrompendosi solo per scoppiare in risatine isteriche. Ma è nuova di qui, non sa ancora bene come funziona la doccia o a quale altezza sistemare il lettino, e forse sta solo cercando di mettermi a mio agio, o di togliersi dall’imbarazzo.

Qualcuno potrebbe pensare che io abbia trovato stressante la sua insicurezza, invece mi ha rassicurato. Se sei teso, una persona disinvolta può rappresentare una minaccia: la sua calma è disturbante, e il suo savoir-fare suona come un rimprovero che ti rivela quanto tu sia nevrotico. Ma io e la fisioterapista ci somigliamo, credo. Così lei continua a parlare della sua famiglia, della pelle secca e di quanto sono fastidiosi gli slip di carta. Ogni tanto si lascia sfuggire una risatina nervosa e rido anch’io, finché non mi sento abbastanza rilassata. Che per me è già tanto.

(Traduzione di Diana Corsini)

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