07 febbraio 2016 11:12

“Ti faccio ammazzare con un colpo in testa”. Il reporter televisivo Hadi Anbaki ha ricevuto questo sms dopo una lunga discussione con un investitore della provincia di Diyala a proposito della sua inchiesta sulla corruzione negli appalti pubblici. Anbaki aveva scoperto che l’investitore in questione aveva preso in affitto dal governo 1.500 ettari di terreno per poco più di duemila dollari. Il contratto includeva un prestito di quattro milioni di dollari fornito dal governo a una società di copertura dello stesso investitore.

Anbaki ha ricevuto il consiglio di nascondersi per un po’, perché la minaccia era credibile. Secondo Ziad al Ajeely dell’Osservatorio per il giornalismo indipendente in Iraq negli ultimi tre mesi ci sono stati almeno venti casi di intimidazione legati a inchieste simili.

Negli ultimi giorni le storie di corruzione sono sulla bocca di tutti. “Stanno rubando il futuro dei miei figli”, mi dice il tassista mentre siamo bloccati in un ingorgo a Baghdad. Lo stesso giorno, il cameraman Ammar mi racconta dei soldi sprecati dal ministero della cultura nelle produzioni di film. La sera, la televisione ritrasmette un’intervista rilasciata dall’ex vicepremier Ahmed Chalabi prima della sua morte nel novembre del 2015, a proposito dello scandalo della banca centrale e dei dieci miliardi di dollari sottratti da politici di primo piano negli ultimi tre anni.

Adnan Hussein, direttore del quotidiano Al Mada, mi ha detto di aver ricevuto diverse minacce per aver pubblicato i nomi delle aziende che hanno fatto affari con la Banca centrale. Secondo Al Ajeely però le minacce non sono l’unico modo di condizionare i giornalisti: spesso i pezzi grossi riescono a corrompere anche i mezzi d’informazione.

(Traduzione di Gabriele Crescente)

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