26 aprile 2012 00:00

**Garry Wills

*La colpa dei papi***

Garzanti, 460 pagine;

**Lincoln a Gettysburg

Il Saggiatore, 284 pagine;

Verdi’s Shakespeare

*Viking, 240 pagine *

Gary Wills è uno storico versatile e prolifico che, tra le tante cose, ha scritto libri sui fondamenti della politica statunitense (Lincoln a Gettysburg, con cui ha vinto il premio Pulitzer), ha tradotto in inglese le Confessioni di Agostino e ha criticato i vertici della gerarchia vaticana con l’efficacia di cui può essere capace un cattolico convinto (La colpa dei papi). Più recentemente in inglese è apparso un suo studio sulle tre opere di Verdi tratte da drammi di Shakespeare (Macbeth, Otello e Falstaff), in cui sostiene che il compositore italiano, che pure non poteva leggere l’inglese e all’epoca della prima opera non era mai stato in Gran Bretagna, fu un profondissimo conoscitore del drammaturgo britannico e riuscì, a differenza di molti altri, a usare Shakespeare per produrre nuovi capolavori.

La chiave per comprendere questo risultato straordinario, secondo Wills, è nelle profonde affinità che uniscono i due artisti: entrambi generosi con un pubblico che gli chiedeva di produrre in continuazione nuovi lavori, coinvolti direttamente nella vita quotidiana delle rispettive compagnie di attori o cantanti, capaci di sfruttare tutte le possibilità che offriva un mondo teatrale ricco e frenetico, come quello in cui operarono, per rivoluzionare i generi e dare agli spettatori qualcosa che non avevano mai ascoltato.

Internazionale, numero 946, 26 aprile 2012

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