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Tutte le obiezioni al decreto Salvini

Un migrante al centro Baobab, un campo autogestito vicino alla stazione Tiburtina di Roma, il 7 aprile 2018. (Antonio Masiello, Getty Images)

Il decreto Salvini su immigrazione e sicurezza approvato dal consiglio dei ministri il 24 settembre è stato molto criticato da esperti, giuristi e associazioni che ne hanno denunciato i punti più problematici. Ecco quali sono i nodi che potrebbero pesare anche nel dibattito parlamentare, quando le camere arriveranno a esaminare la norma, se il presidente della repubblica Sergio Mattarella darà il via libera. Mattarella potrebbe anche rimandare indietro il progetto di legge sollevando dei dubbi, in particolare sul ricorso allo strumento della decretazione di urgenza per regolare questa materia.

  • Protezione umanitaria

L’abolizione della protezione umanitaria – e cioè la modifica dell’articolo 5 comma 6 del Testo unico sull’immigrazione del 1998 – è il provvedimento più importante del decreto e anche quello più criticato. Per l’avvocato Lorenzo Trucco, presidente dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), la norma è “una grave lacerazione” nella cultura giuridica del nostro paese, un vero e proprio attacco ai “diritti umani fondamentali” che sono “l’unica vera ricchezza della cultura europea”. Finora, per Trucco, il problema era garantire l’effettività di questi diritti, invece in questo momento assistiamo a “un vero e proprio attacco alle libertà individuali, che sono le basi della nostra civiltà”.

Per il presidente dell’Asgi, l’abolizione della protezione umanitaria presenta profili d’incostituzionalità, infatti “la protezione umanitaria è uno dei modi in cui si applica l’articolo 10 della costituzione italiana che garantisce il diritto di asilo”. Contrariamente a quanto è stato detto dagli esponenti del governo, Trucco spiega “che la protezione umanitaria esiste in almeno venti paesi dei 28 dell’Unione europea (Austria, Cipro, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Grecia, Italia, Lituania, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito, Romania, Slovacchia, Spagna, Svezia e Ungheria)” e che è in linea con quanto previsto dalle convenzioni internazionali in materia di asilo.

Se questo decreto fosse approvato in maniera definitiva, si produrranno molti migranti irregolari e si alimenteranno i contenziosi giudiziari: tutti quelli che riceveranno un diniego faranno ricorso appellandosi all’articolo 10 della costituzione. “È quasi un paradosso: un decreto che è fatto per combattere l’illegalità, produrrà illegalità. Moltissime persone si troveranno in una situazione d’irregolarità sul territorio italiano”, conclude Trucco.

Il ricercatore Matteo Villa dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) ha stimato che – se il decreto Salvini fosse approvato in maniera definitiva – si potrebbero produrre altri 60mila nuovi immigrati irregolari nei prossimi due anni. Villa spiega che questa stima è stata fatta considerando che i casi previsti per l’ottenimento di un permesso di soggiorno speciale saranno residuali: “La situazione peggiore che potrebbe verificarsi con l’applicazione del decreto è la creazione di 60mila nuovi irregolari che si aggiungeranno ai 70mila già previsti, prodotti dai dinieghi della domanda di asilo, per un totale di 130mila irregolari in più nei prossimi due anni”.

Le possibilità di rimpatriare i migranti irregolari sono davvero molto limitate

Il calcolo è stato fatto considerando le persone che sono già beneficiarie della protezione umanitaria in scadenza e che non potranno chiederne il rinnovo. Si tratta di 39mila persone di cui solo seimila potranno essere rimpatriate. Inoltre, se si considera che la protezione umanitaria ha rappresentato negli ultimi anni un quarto dei permessi concessi ai richiedenti asilo, si può stimare che 33mila delle 130mila domande di asilo al momento in fase di esame saranno rigettate mentre in passato sarebbero diventate protezioni umanitarie (a cui vanno aggiunte le 65mila che molto probabilmente saranno in ogni caso rigettate).

Altre critiche arrivano da Mario Morcone, ex capo di gabinetto del ministero dell’interno oggi presidente del Consiglio italiano rifugiati (Cir), che afferma: “È un decreto che mira a creare irregolarità non certo a gestire l’immigrazione. Togliere la possibilità di rilasciare un permesso umanitario a un richiedente asilo che ha compiuto un percorso di integrazione, trovando un lavoro e concorrendo positivamente al benessere generale, è una previsione che va contro ogni buonsenso. Vogliamo ricordare che le possibilità di rimpatriare i migranti irregolarmente presenti sul territorio sono davvero molto limitate”.

Questo punto del decreto è stato criticato anche dal Tavolo asilo, un’organizzazione che riunisce diverse associazione impegnate nella difesa dei diritti umani: “Riteniamo siano molti i profili di violazione della costituzione, della normativa internazionale e di quella dell’Unione europea, violazioni che necessitano di un intervento correttivo nelle sedi opportune”.

La Cgil sottolinea che l’abrogazione del permesso per motivi umanitari riporterà nell’irregolarità molti lavoratori, soprattutto in una situazione in cui la concessione dei visti per motivi di lavoro è drammatica: “Va da sé che l’abrogazione dei permessi di soggiorno per motivi umanitari lascerà, o riporterà nella irregolarità, moltissimi stranieri che fino a oggi erano in possesso del titolo di soggiorno e impedirà alla quasi totalità dei migranti di ottenere effettiva protezione. In questo non può che emergere l’inazione che caratterizza da anni il governo sulla programmazione dei flussi d’ingresso. Dal 2011 non vengono previste quote per il lavoro subordinato non stagionale e le quote indicate nei decreti emanati riguardano le sole conversioni di permessi in soggiorno e quelle relative ai ricongiungimenti familiari”.

Per il sindacato un altro punto critico del decreto è la sospensione della domanda d’asilo per il richiedente asilo denunciato per un reato che prevede la revoca della protezione in caso di condanna: “Offensivo di ogni buon senso la sospensione e il rimpatrio immediato per i richiedenti asilo che vengono solo denunciati per uno dei reati previsti con il riavvio dell’iter solo a conclusione del procedimento penale. Senza nessun accertamento di polizia, in palese violazione di qualsiasi regola giuridica degna di un paese civile, il rischio è che anche la più strampalata delle false denunce per fatti assolutamente privi di pericolosità sociale, comporterà la sospensione della protezione e l’allontanamento dal territorio nazionale di persone che hanno visto certificata la loro grave persecuzione in patria”.

Si è espressa in maniera negativa anche l’organizzazione umanitaria Medici senza frontiere: “Attendiamo di conoscere in modo più preciso i criteri di assegnazione del nuovo permesso di soggiorno per cure mediche, nella preoccupazione che rischino di essere escluse e lasciate in condizioni di marginalità persone che soffrono di problemi di salute con sintomi non facilmente riconoscibili. Molti di questi pazienti li vediamo ogni giorno nel centro Msf per vittime di tortura e in altri luoghi in Italia”.

  • Sistema di accoglienza

L’articolo 12 del decreto Salvini prevede inoltre il ridimensionamento del sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) che al momento è il sistema di accoglienza diffuso che garantisce 35.881 posti, coinvolgendo circa 1.200 comuni italiani. Il decreto stabilisce che solo chi ha già ottenuto la protezione internazionale e i minori stranieri non accompagnati possano essere ospitati dai progetti Sprar, invece i richiedenti asilo che sono ancora in attesa di una decisione da parte della commissione territoriale (il 50 per cento delle persone ospitate dagli Sprar) dovranno essere spostati nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas), strutture gestite dai prefetti e non dalle amministrazioni locali, che seguono dei protocolli di emergenza e hanno standard di accoglienza più bassi e nessun obbligo di rendicontazione.

Per Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano di solidarietà-ufficio rifugiati, tra gli ideatori del sistema Sprar all’inizio degli anni duemila, il decreto Salvini rappresenta un arretramento rispetto a una serie di conquiste raggiunte negli ultimi anni: “È una destrutturazione del sistema di accoglienza dei richiedenti asilo, ma anche un colpo all’economia locale italiana che è stata favorita dalla diffusione territoriale dei progetti Sprar. Con questo decreto invece si fa un grosso favore alle organizzazioni private che gestiscono i grandi centri di accoglienza, che spesso si sono rivelate vicine alla criminalità organizzata”.

Schiavone spiega che lo Sprar è nato nel 2002 e che una legge del 2015 individuava questo sistema come modello su cui convergere, perché è quello che meglio favorisce l’integrazione e perché gli standard di accoglienza previsti dalla normativa europea sono garantiti da questo sistema. “Con la legge del 2015 si cercava di unificare Sprar e Cas, mentre con questo decreto le fasi dell’accoglienza sono separate di netto: i richiedenti asilo sono accolti nel sistema di emergenza, mentre i rifugiati e i minori sono accolti nello Sprar, senza che sia concepita alcuna forma di collaborazione e convergenza tra i due sistemi”.

Per Schiavone, inoltre, nel decreto non è prevista una riforma dei Centri di accoglienza straordinaria che essendo centri di emergenza hanno standard inferiori a quelli previsti dalla normativa europea. “Questo è uno dei problemi più importanti: si rafforzano i Cas, che però rimangono strutture di emergenza e violano le norme europee”, afferma. Secondo l’esperto, questo decreto avrà come conseguenza un taglio drastico della rete degli Sprar diffusa sul territorio: “Parliamo di centinaia di posti di lavoro soprattutto nel meridione e nelle aree periferiche, nelle strutture che non avranno più ragione di esistere”.

Invece si creeranno grossi centri, privi di servizi e con standard bassi. “Di solito questi Cas sono gestiti da organizzazioni che preferiscono logiche speculative legate ai grandi numeri e in passato sono state anche protagoniste di inchieste giudiziarie che hanno ravvisato legami con la criminalità organizzata”, conclude Schiavone. Questi meccanismi sono favoriti da un sistema che non prevede nessun “controllo della spesa”. Preoccupazione per la restrizione del sistema Sprar è espressa anche da Antonio Decaro, sindaco di Bari e presidente dell’Associazione nazionale comuni italiani (Anci): “Lo Sprar è stato un sistema che ha permesso di distribuire i migranti in tutto il territorio nazionale e questo ha permesso di evitare la concentrazione di persone nei grandi centri e di conseguenza la risoluzione delle tensioni sociali create da questi centri”.

Decaro fa l’esempio del centro di accoglienza di Cona, in Veneto, in cui sono stati concentrati 1.5oo richiedenti asilo all’interno di una base militare dismessa in un territorio in cui i residenti sono in tutto tremila. “Chiudere oggi gli Sprar significa concentrare i richiedenti asilo nei grandi centri come a Cona o a Mineo, non si può chiedere all’Europa di distribuire i migranti e poi in Italia li concentriamo. In questo modo non si fa integrazione. Lo Sprar permetteva ai richiedenti asilo di partecipare ai corsi di italiano, ai servizi medici e ai servizi sociali”, conclude Decaro.

Per Camillo Ripamonti, presidente Centro Astalli, la riforma dello Sprar è “un passo indietro che non tiene conto da un lato delle vite e delle storie delle persone e dall’altro del lavoro di costruzione che da decenni tante organizzazioni umanitarie e di società civile hanno fatto in stretta collaborazione con le istituzioni, in particolare con gli enti locali, in un rapporto di sussidiarietà che ha rappresentato la linfa vitale del welfare del nostro paese. Aumentare zone grigie, non regolamentate dalla legge, e rendere meno accessibili e più complicati i percorsi di legalità contribuisce a rendere il paese meno sicuro”.

  • Centri di permanenza per il rimpatrio e hotspot

Il decreto Salvini, inoltre, contiene una serie di misure che restringono la libertà personale: dal trattenimento per trenta giorni dei richiedenti asilo nei cosiddetti hotspot fino all’estensione del periodo di detenzione degli irregolari nei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr). “Su questo tema la legislazione in Italia è stata a fisarmonica, il periodo massimo di detenzione negli ex Cie è stato esteso e ridotto più volte. Gli esperti ci dicono che il periodo per l’identificazione è di massimo trenta giorni, non si vede perché la scarsa efficienza del sistema debba andare a detrimento di un diritto fondamentale come la libertà personale”, spiega Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione Antigone e della Coalizione italiana libertà e diritti civili (Cild).

“Questa sembra più una misura simbolica, che vuole dare l’idea che gli irregolari sono puniti. Ma non migliora l’efficienza del sistema. La conseguenza di questa misura sarà l’aumento dei detenuti nei Cpr e maggiore sofferenza per queste persone, senza che questo influisca sui rimpatri”, aggiunge. Per Gonnella infatti la difficoltà ad aumentare il numero delle persone rimpatriate dipende dai pochi accordi bilaterali firmati dall’Italia con i paesi di origine.

Anche la detenzione dei richiedenti asilo negli hotspot è illegittima: “si tratta di persone che hanno chiesto di accedere a un diritto, non a un sussidio”. Gli hotspot, per Gonnella, sono centri di detenzione amministrativa, che privano della libertà personale, ma non hanno “nemmeno le garanzie previste per il sistema penitenziario”. Per l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), il trattenimento dei richiedenti asilo negli hotspot per al massimo trenta giorni non è in linea né con la costituzione italiana né con la Convenzione europea dei diritti umani e infine dalla Convenzione di Ginevra.

“Nel decreto non sono definite le ipotesi tassative nelle quali il trattenimento può essere disposto, ma fa discendere questi casi eccezionali da una condizione comune ai richiedenti asilo (la mancanza di documenti di identità)”, chiarisce l’Asgi. Questo è in contrasto con le leggi nazionali e internazionali in materia di asilo. Per Gonnella, infine, desta preoccupazione l’articolo del decreto che estende l’uso delle armi elettriche, i taser, ai corpi di polizia locale nelle città con più di centomila abitanti.

“Il taser è stato introdotto nel 2014 e prevedeva una sperimentazione. La cosa interessante è che il governo Lega-cinquestelle non ha aspettato nemmeno la fine del periodo di sperimentazione e lo vuole adottare massicciamente, dandole in dotazione ai vigili urbani e cioè a un corpo di polizia che di solito non ha compiti di pubblica sicurezza”, aggiunge Gonnella che consiglia di leggere l’inchiesta della Reuters sulle conseguenze dell’uso di queste armi negli Stati Uniti.

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