26 maggio 2016 17:33

Rawiya è un collettivo fondato nel 2009 da quattro fotografe nate in Medio Oriente.
In arabo la parola rawiya significa “colei che racconta” ed è stata scelta perché l’obiettivo di Myriam Abdelaziz, Tamara Abdul Hadi, Laura Boushnak e Tanya Habjouqa è quello di raccontare le storie meno conosciute dei loro paesi, ognuna con un proprio approccio artistico.

“Vogliamo sfidare le convenzionali rappresentazioni delle donne arabe spesso ritratte dai fotografi occidentali come deboli e oppresse. Al contrario sono molto forti. E dopo la primavera araba sono diventate una grande risorsa economica per esempio in Egitto, dove spesso lavorano”, spiega Abdelaziz.

Le artiste del collettivo Rawiya raccontano “storie nascoste” che riguardano questioni sociali e culturali e lo fanno con uno sguardo molto vicino, con il vantaggio di conoscere bene quel mondo perché ne fanno parte. “Siamo considerate meno pericolose e possiamo entrare in posti spesso inaccessibili”, spiega Habjouqa.

Habjouqa è nata in Giordania ed è cresciuta in Texas. Ora vive a Gerusalemme con suo marito, un avvocato palestinese con la cittadinanza israeliana. Il suo progetto Occupied pleasures racconta la vita dei palestinesi in Cisgiordania e a Gaza.
Hadi è nata in Iraq ma è cresciuta in Canada e ora vive a Beirut; le sue immagini di uomini arabi seminudi celebrano la loro bellezza e sensualità. Boushnak è nata in Kuwait ma vive in Palestina e il suo lavoro I read I write documenta l’accesso all’istruzione e alla cultura nel mondo arabo. Abdelaziz è nata al Cairo e dopo aver vissuto tra la Svizzera e la Francia, ora fa base a New York. Il suo progetto Menya’s kids documenta le condizioni del lavoro minorile in un cava di calcare in Egitto.

I progetti delle quattro artiste sono presentati alla Open Source gallery di New York fino al 28 maggio 2016. Il titolo della mostra In her absence I created her image è tratto da una poesia dello scrittore palestinese Mahmoud Darwish.

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