Con i pianoforti Érard e Pleyel e un coro dall’organico ridotto per avvicinarsi ai dodici cherubini immaginati da Rossini, ci si sente come nel salotto parigino del conte Pillet-Will, dove nel 1864 si tenne la prima di questa messa cantata, vero testamento del compositore. Gli omaggi a Pergolesi (Kyrie) e Palestrina (Christe) con l’intermediazione di Niedermeyer sono meravigliosi, con tempi perfetti. Le arie e i duetti rimandano allo stile operistico dell’epoca, e qui ci sono alcune delle più belle voci rossiniane di oggi. Il protagonista rimane comunque lo splendido coro Ghislieri, che domina con disinvoltura il virtuosismo acrobatico delle fughe di Cum sancto spiritu ed Et vitam venturi sæculi: letture magistrali, leggere e piene d’energia. Qui c’è tutto quello che amiamo di più in Rossini: un’impressione di semplicità che nasconde la complessità della composizione.

Damien Colas,
Classica

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Questo articolo è uscito sul numero 1438 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati