Le disuguaglianze non sono inevitabili, ma combatterle resta una sfida gigantesca. Le conclusioni del rapporto pubblicato dal World inequality lab mostrano tutta la complessità di una questione che minaccia gli equilibri politici, economici, sociali e ambientali del pianeta. Il problema non è nuovo, ma la crisi del covid-19 ha esasperato l’appropriazione delle risorse da parte dei più fortunati, spingendo nella precarietà i più fragili.

Da questo punto di vista, lo sconvolgimento degli ultimi mesi è una novità. Se le due guerre mondiali e la crisi del 1929 avevano portato a una ridistribuzione che sfavoriva i più ricchi, la pandemia ha invece accentuato le disuguaglianze. Nei paesi ricchi il grande intervento dello stato ha permesso di tutelare i redditi e di limitare l’aumento della povertà. Ma queste politiche hanno richiesto un indebitamento pubblico di proporzioni storiche e un’enorme iniezione di liquidità nel sistema finanziario. Il denaro è stato indispensabile per proteggere i lavoratori e le aziende, ma ha anche favorito chi possiede i grandi patrimoni, contribuendo all’aumento delle disuguaglianze.

Nel 2020 i miliardari hanno guadagnato più di tremila miliardi di euro, grazie alla forte crescita del mercato immobiliare e finanziario. Il 10 per cento dei più ricchi possiede ormai tre quarti della ricchezza mondiale, mentre la metà più povera dell’umanità ne detiene solo il 2 per cento. Questo divario non è più sostenibile.

Tre elementi s’impongono all’attenzione dei leader politici. Primo: chi è uscito vincitore dalla crisi deve contribuire di più per rimediare ai danni della pandemia, cominciando dal debito. Serve un’imposta progressiva sui patrimoni e sui redditi più alti. L’introduzione di un’aliquota minima globale del 15 per cento per le multinazionali è un passo nella giusta direzione, ma restano troppe scappatoie per aggirarla.

Secondo: la riduzione delle disuguaglianze richiede anche uno stato sociale capace di finanziare sistemi scolastici e sanitari efficienti e accessibili a tutti. Se in Europa le disuguaglianze sono meno evidenti è soprattutto perché il livello dei servizi pubblici è migliore.

Terzo: il fisco deve tenere conto della lotta contro la crisi climatica. Le famiglie più benestanti, che sono quelle che inquinano di più, devono contribuire di più al finanziamento della decarbonizzazione. In Francia il movimento dei gilet gialli ha mostrato che far pesare la transizione energetica sulle spalle di chi ha di meno può innescare gravi tensioni sociali.

La crisi attuale deve spingerci a prendere in considerazione questi tre punti prima che sia troppo tardi. ◆ ff

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Questo articolo è uscito sul numero 1439 di Internazionale, a pagina 19. Compra questo numero | Abbonati