◆ Nelle prime ore del 25 ottobre l’uragano Otis ha colpito Acapulco, sulla costa orientale del Messico, provocando la morte di almeno 48 persone ed enormi danni materiali. La violenza dell’evento ha sorpreso tutti: fino a un giorno prima Otis era classificato come una tempesta tropicale, ma nel giro di dodici ore si è intensificato improvvisamente fino a raggiungere la categoria 5, la più elevata sulla scala Saffir-Simpson. La velocità dei venti è passata da 113 a 257 chilometri orari, un record per il Pacifico orientale. Il fallimento dei sistemi di allerta ha fatto discutere. Secondo New Scientist negli ultimi anni i modelli meteorologici sono diventati più accurati nel predire l’intensificazione dei cicloni, ma sono meno affidabili quando il processo è molto rapido. In definitiva l’evoluzione di un uragano dipende soprattutto da fattori interni, scrive Science. I dati ambientali come la temperatura dell’oceano, l’umidità e la variazione dei venti sono relativamente facili da misurare, mentre la struttura interna di una tempesta è più difficile da rilevare: spesso i satelliti non possono osservarla a causa delle nuvole. Nel caso di Otis le simulazioni a partire dai dati disponibili prevedevano un’intensificazione graduale. Solo quando un aereo è riuscito a volare all’interno dell’uragano si è scoperto l’errore. Alcuni scienziati pensano che fenomeni come questo potrebbero diventare più frequenti a causa del riscaldamento degli oceani provocato dal cambiamento climatico.

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Questo articolo è uscito sul numero 1536 di Internazionale, a pagina 106. Compra questo numero | Abbonati