Jon Fosse (Stefan Sauer, picture alliance/Getty)

Un giorno di autunno inoltrato un uomo attraversa in automobile una campagna sempre più desolata. Quando comincia a vedere solo fattorie e casupole abbandonate si addentra in una foresta, la sua auto rimane incastrata e non riparte più. Cala la notte e si mette a nevicare: l’uomo decide di proseguire a piedi per cercare qualcuno che lo aiuti. Potrebbe essere l’inizio di una storia dell’orrore, invece così comincia Un bagliore, una breve novella dello scrittore norvegese Jon Fosse, premio Nobel per la letteratura nel 2023, la cui narrativa dissolve i confini tra il mondo materiale e quello spirituale. Dopo aver letto l’ultimo romanzo del suo ciclo Settologia mi sono trovata gettata in uno stato di estatica gratitudine: era come se Fosse avesse creato un nuovo genere di racconto, qualcosa di strettamente imparentato con il lavoro di Samuel Beckett ma molto più gentile e soffuso di religiosità. Una delle caratteristiche della sua prosa, che ritroviamo anche in questa novella, è l’accessibilità: anche un lettore casuale può lasciarsi andare alle onde cullanti della sua scrittura. Il protagonista di Un bagliore a un certo punto vede i suoi genitori nella neve; cerca di raggiungerli ma sembra non riuscire mai ad avvicinarsi abbastanza da poterli toccare. Quando non li vede più nota un uomo in giacca e cravatta con i piedi nudi immersi nella neve che diventa la sua guida. Sebbene il racconto cominci con frasi brevi al passato, lungo la narrazione di Fosse diventa al presente e il finale è una sola frase molto lunga che dà alla sua prosa una meravigliosa luminosità. Un bagliore può essere letto in vari modi: come un monologo realistico, come una parabola, come un’allegoria cristiana o come un incubo raccontato agli altri la mattina dopo. La bellezza della narrativa di Fosse sta proprio nella sua capacità di sfuggire a qualunque interpretazione univoca. Mentre leggiamo non sentiamo una nota sola, ma piuttosto un accordo con varie possibili interpretazioni che risuonano tutte insieme. Questo rifiuto di arrendersi al semplice, al binario – questo suo insistere che cose complesse come la morte e Dio rimangano piene di mistero e contraddizioni – sembra, in un mondo spaccato e diviso come il nostro, una presa di posizione morale molto potente.
Lauren Groff, The Guardian

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Questo articolo è uscito sul numero 1566 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati