A metà settembre è uscito in Germania il nuovo libro di Abdulrazak Gurnah, Nachleben (Voci in fuga, La nave di Teseo 2022). Quando un anno fa ha ricevuto il premio Nobel per la letteratura, lo scrittore tanzaniano naturalizzato britannico, di 73 anni, era già conosciuto nell’ambiente anglofono ed era stato più volte nominato al Booker prize, il più prestigioso premio letterario del Regno Unito. Quando ha vinto il Nobel, però, in Germania nessuno dei suoi libri era disponibile e gli ultimi non erano stati neanche tradotti.

In libreria i suoi romanzi non si trovavano, anche se Gurnah con la sua opera aveva fatto luce proprio sui crimini commessi dai tedeschi nelle ex colonie in Africa orientale, quando agli inizi del novecento repressero con la forza la rivolta delle popolazioni contro il dominio coloniale. Bruciarono campi e villaggi causando carestie, massacrarono i capi africani e impalarono i loro teschi. Poi, quando combatterono la prima guerra mondiale contro le altre potenze coloniali nella regione devastarono quella che oggi è la Tanzania. Gurnah non ha raccontato queste storie solo in Voci in fuga, ma in questo romanzo lo fa con particolare intensità, mostrando gli effetti della brutalità della Germania nei confronti degli africani fino alla seconda guerra mondiale e oltre.

Abdulrazak Gurnah è nato nel 1948 sull’isola di Zanzibar, che oggi fa parte della Tanzania. La sua famiglia proviene dalla minoranza araba musulmana che ha modellato l’economia e la politica dell’isola. Nel 1968, quando aveva vent’anni, a causa del pesante clima politico si trasferì nel Regno Unito, diventò professore di letteratura inglese e postcoloniale e, negli anni ottanta, cominciò a scrivere romanzi. Oggi vive a Canterbury, una città a sudovest di Londra, famosa per la sua cattedrale e per essere la sede della chiesa anglicana.

Lo vado a trovare il giorno dopo la morte della regina Elisabetta II. Gurnah abita in una strada anonima, in una delle case a schiera monofamiliari tipiche del Regno Unito, un appartamento piuttosto semplice e bello nella sua classicità priva di fronzoli. Suono il campanello e, senza dire una parola ma mostrandosi cordiale, il premio Nobel mi fa entrare e mi dice di seguirlo in soggiorno, dove ci sono dei divani in cui possiamo comodamente sprofondare. Mi serve una grande tazza di caffè, una barretta di cioccolato e aspetta la prima domanda. Gurnah è un conversatore serio, cortese, e si sforza di trovare sempre le parole giuste. È talmente concentrato sulle cose che vuole dire che è molto difficile farlo parlare del più e del meno. Discutiamo del colonialismo e delle sue opere, in particolare del nuovo romanzo.

La farsa della civilizzazione

La storia di Voci in fuga ruota attorno a quattro personaggi principali e fa una vasta panoramica delle guerre coloniali in Africa orientale. Uno dei protagonisti si chiama Hamza ed è una figura tipica dei romanzi di Gurnah. Da ragazzino, a causa dei debiti, la sua famiglia l’ha ceduto a un mercante. Vive da schiavo, sottomesso, senza prospettive.

È affascinante osservare la storia tedesca da una prospettiva africana

Come molti giovani africani dell’epoca, Hamza si unisce alla Schutztruppe, l’esercito coloniale tedesco, diventando così un ascaro, come erano chiamati i soldati africani che servivano l’impero e costituivano la gran parte delle truppe sul posto. Hamza diventa assistente di un comandante che ha un chiaro interesse sessuale nei suoi confronti. Il comandante oscilla tra la violenza e l’amore, insegna al ragazzo il tedesco e gli fa conoscere l’opera di Friedrich Schiller. Dopotutto, secondo l’impero, quella coloniale era anche una “missione di civilizzazione”.

Nell’opera di Gurnah l’eredità umanistica che i tedeschi propinano agli africani si rivela ovviamente una farsa. Leggono Schiller, Goethe, Heine e poi danno fuoco a interi villaggi. Hanno la pretesa di portare in Africa il meglio della cultura, ma fustigano con piacere i loro sottoposti nell’esercito. Il potere che esercitano sugli africani viene anche da un senso di superiorità culturale. La poesia non si limita a camuffare la violenza, ne è parte integrante.

Gurnah racconta di suo nonno, o meglio dello zio di sua madre, che in famiglia per semplicità era chiamato nonno. Da bambino Gurnah sentì parlare per la prima volta dei tedeschi proprio da lui. Il nonno era stato reclutato come facchino della Schutztruppe. In guerra i soldati africani sotto il comando tedesco partivano in missione insieme alle loro famiglie e dovevano trasportare in luoghi impervi sia l’equipaggiamento militare sia gli utensili domestici. Tra i facchini, spesso scalzi lungo il tragitto, privi di cure mediche e trattati brutalmente, il tasso di mortalità era altissimo. Molti disertavano appena potevano. Probabilmente fu anche il caso di suo nonno, pensa Gurnah. Voci in fuga racconta le condizioni di vita misere dei facchini, degli sforzi degli africani reclutati per fare carriera nell’esercito tedesco e del nudo orrore in cui scivolarono senza neanche rendersene conto.

Gli ultimi arrivati

La sua infanzia e la gioventù, dice Gurnah, sono state accompagnate dalle storie sui tedeschi. All’epoca, spiega lo scrittore, i colonizzatori avevano già lasciato il paese da molto tempo, ma continuavano a tormentare la memoria degli anziani: “I tedeschi erano stati gli ultimi ad arrivare, si sentivano in difficoltà e minacciati, e forse per questo si comportavano in modo così brutale. Non erano arrivati come commercianti, come avevano fatto inizialmente le altre potenze coloniali, ma come conquistatori”.

A un certo punto del romanzo Hamza è gravemente ferito da un sergente pazzo della sua unità, geloso della sua vicinanza al comandante. La famiglia di un religioso tedesco si prende cura del ferito fino a quando non tornerà a casa, sulla costa. Lì incontra la giovane Afiya, che aspetta invano il ritorno dalla guerra di suo fratello Ilyas. Anche Ilyas si è unito alla Schutztruppe con un certo entusiasmo. Nel romanzo di Gurnah, la storia di Ilyas è liberamente ispirata a una figura realmente esistita, quella di Bayume Mohamed Husen. Husen, un ex ascaro, andò a Berlino alla fine degli anni venti del novecento per riscuotere la sua paga e in seguito diventò attore, recitando in film di propaganda nazista al fianco di Zarah Leander e Hans Albers. Ebbe una relazione con una donna tedesca, che gli valse l’accusa di “contaminazione razziale”. Fu arrestato e morì nel campo di concentramento di Sach­senhausen, a nord di Berlino.

Ripensando al destino di Ilyas , Gurnah si chiede se in fondo ci sia stata una continuità tra il colonialismo e i crimini nazisti. “Non sto cercando di equiparare questi due eventi storici”, spiega, “ma ovviamente i tedeschi, con il loro senso di superiorità culturale, sottomettevano con la forza altri popoli, quindi ci sono sicuramente dei legami. Dopo la seconda guerra mondiale non si è sentita l’esigenza di fare i conti con i crimini commessi in Africa, perché all’epoca ci si concentrò solo sul nazismo. Le cose sembrano essere cambiate solo di recente”. Gurnah dice di aver studiato molte storie di ascari che, dopo la prima guerra mondiale, si trasferirono in Germania in cerca di riconoscimento. Alcuni tentarono addirittura di unirsi al partito nazista: “Quello che mi ha sempre colpito molto è che in Africa gli africani si sono fatti la guerra tra loro: i tedeschi con i loro ascari, gli inglesi con i King’s african rifles, i belgi con la Force publique. Ci sono tanti motivi: all’epoca non c’era ancora un’identità africana. C’era il desiderio di far parte della modernità. C’erano in ballo dei soldi e per i giovani andare in guerra era avventuroso. La guerra permise a quelle generazioni di scappare da un ambiente senza prospettive. E non si sentivano dei traditori, perché combattevano lontano dai loro villaggi”.

Gurnah è consapevole che i colonialisti europei non trovarono certo una situazione idilliaca quando misero piede in Africa orientale. Nel suo romanzo più noto, Paradiso (La Nave di Teseo 2022), pubblicato per la prima volta nel 1994, racconta i conflitti legati alla difficile convivenza tra i commercianti arabi e indiani e la popolazione nera sulla costa orientale africana. Ma furono per primi gli europei che, con la loro superiorità militare e tecnica, portarono nella regione la guerra moderna, con gli stermini, i genocidi e il razzismo. Voci in fuga può essere letto come il seguito di Paradiso. Il primo romanzo si conclude con l’inizio della prima guerra mondiale, Voci in fuga ne narra lo svolgimento.

La moglie del religioso tedesco che cura Hamza regala all’ascaro ferito un libro, che guarda caso è un volume dell’ottocento di Heinrich Heine, Sulla storia della religione e della filosofia in Germania. Nel testo di Heine c’è una famosa riflessione sul fatto che i tedeschi hanno cominciato tardi il processo di costruzione della nazione e sul loro fatale desiderio di recuperare il tempo perso. Il “tuono tedesco non è molto agile, e arriva rotolando un po’ lentamente; ma arriverà”, scrive Heine, “e quando sentirai uno scricchiolio come mai prima d’ora nella storia del mondo, sappi che il tuono tedesco avrà finalmente colpito nel segno”. Purtroppo era un’analisi giusta e Gurnah mostra che il “tuono tedesco” di cui parla Heine non si è scagliato solo in Europa, ma anche in Africa.

È affascinante osservare il destino della storia tedesca da una prospettiva africana, ma Voci in fuga, ovviamente, non si esaurisce nella ricostruzione degli eventi storici. Il romanzo parla della storia d’amore tra Afiya e Hamza, del tentativo di uscire dall’orrore della guerra per costruirsi una vita, e di come la violenza, nonostante le gioie dell’amore, trovi il modo per penetrare per sempre nel corpo, nei pensieri e nei sogni dei protagonisti, perseguitando perfino i loro discendenti. Il romanzo è scritto in un linguaggio privo di metafore, con uno stile semplice che si sposa con il contenuto, perché la brutalità non tollera esercizi di stile.

Silenzio sulla regina

Alla fine del nostro incontro, vorrei parlare della morte della regina Elisabetta II, ma Abdulrazak Gurnah si sottrae subito all’argomento. Non vuole dire una parola sulla monarchia britannica e sul nuovo re. L’eccessiva attenzione del mondo alla notizia gli dà sui nervi, forse lo infastidisce la pomposa autocelebrazione di una nazione, l’intatta fiducia in sé che traspare nella spettacolare scenografia della successione al trono. Saliamo sulla sua auto elettrica e mi accompagna alla stazione più vicina. Nella provincia britannica il cielo è immenso e grigio.

Gurnah mi saluta con cordialità. A ottobre verrà alla fiera del libro di Francoforte e presenterà ai tedeschi un romanzo che racconta la storia censurata della loro impresa imperialista in Africa, una storia che non può essere dimenticata. ◆ nv

Biografia

1948 Nasce a Zanzibar.
1968 Dopo una violenta rivolta sull’isola, si trasferisce a Canterbury, nel Regno Unito, dove diventa un professore universitario.
1987 Esce il suo primo romanzo, Memory of departure, pubblicato nel Regno Unito
1994 Il suo romanzoParadiso (La nave di Teseo 2022) è candidato al Booker prize, il più importante premio letterario britannico.
2021 L’accademia di Svezia gli assegna il premio Nobel per la letteratura.


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Questo articolo è uscito sul numero 1481 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati