Nell’agosto 2023 il Manchester United ha dovuto prendere una decisione. L’attaccante Mason Green­wood doveva tornare a giocare per il club? Anche i tifosi – cosa più importante, ai fini del nostro discorso – erano chiamati a una scelta: dovevano accettare il suo ritorno? Greenwood era stato messo fuori rosa nel gennaio 2022, dopo essere stato arrestato con l’accusa di stupro, aggressione e comportamento coercitivo. Poi le accuse erano state ritirate.

Purtroppo non è raro che calciatori famosi siano denunciati per reati sessuali, anche se poi le accuse vengono lasciate cadere e il giocatore rimane (ufficialmente) anonimo. Spesso, viste le scarse informazioni a disposizione del pubblico, i tifosi non possono sapere se un giocatore ha fatto veramente qualcosa di male: si sa che le aggressioni sessuali poche volte si risolvono con una condanna in tribunale, ma senza informazioni non si possono giudicare le persone semplicemente sulla base di statistiche. In altri casi, come quello dell’attaccante spagnolo Santi Mina, c’è stata una condanna.

Amare una squadra non è come amare un altro essere umano. Per certi versi, è come amare un paese o una città, perché presuppone di voler bene alla comunità di cui si fa parte

Ciò che colpisce del caso di Greenwood è che è stato chiesto ai tifosi di dare un giudizio etico. Green­wood non è stato condannato, ma – anche se alla fine tutte le accuse sono cadute – i tifosi hanno potuto ascoltare gli audio e vedere le immagini che provavano in modo apparentemente inoppugnabile l’aggressione del giocatore ai danni della compagna. Sia il Manchester United sia il calciatore sostenevano che c’era una spiegazione che lo scagionava, ma dato che i tifosi non avevano avuto modo di ascoltarla, le uniche cose che avevano erano prove imbarazzanti da una parte e deboli smentite dall’altra.

Nel football americano, i tifosi dei Cleveland Browns si ritrovano in squadra il presunto molestatore seriale Deshaun Watson. I tifosi dei Kansas City Chiefs devono convivere con il popolare rito del tomahawk chop, una pantomima razzista che è parte integrante della coreografia dello stadio prima della partita. Il rugbista neozelandese Dylan Brown, che gioca nel campionato australiano con i Parramatta Eels, è stato condannato per molestie sessuali e, dopo essere stato affidato ai servizi sociali dal tribunale, è stato squalificato per diverse partite. Scontata la pena, si è detto pentito ed è tornato a giocare per gli Eels.

Ci sono molti altri esempi simili. I giocatori – o gli allenatori o i proprietari della squadra – fanno cose brutte o perfino terribili in tutti gli sport. La domanda è: quanto è importante tutto questo per i tifosi e cosa possono fare?

Per rispondere dobbiamo prima capire la natura del tifo sportivo. Se chiediamo alle persone d’indicare gli argomenti su cui i filosofi ragionano di più, è difficile che mettano il tifo in cima alla lista. Eppure il tifo sportivo solleva una serie di questioni filosofiche interessanti e importanti, come il collegamento con l’identità oppure se sia meglio sostenere incondizionatamente una squadra oppure apprezzare lo sport da una prospettiva più neutrale. Il tema c’interessa particolarmente. Anche se può sembrare una perdita di tempo a chi non segue lo sport, siamo convinti che tifare sia un modo prezioso per trovare un significato nella propria vita e costruire una comunità con gli altri.

Per come lo vediamo noi, il tifo sportivo è una forma d’amore. I tifosi si appassionano alle loro squadre come degli innamorati. Vogliono che la loro squadra vada bene, proprio come gli innamorati vogliono il meglio per chi amano. Come l’innamorato passa gran parte della giornata a pensare all’oggetto del suo amore, il tifoso passa gran parte della giornata a pensare alla sua squadra, a quali giocatori dovrebbe comprare, a quale formazione dovrebbe schierare e così via. Come gli innamorati sono in sintonia e sanno apprezzare le rispettive qualità, così i tifosi sanno riconoscere cosa rende speciale la loro squadra. Sia gli innamorati sia i tifosi, infine, tendono a guardare l’oggetto del loro amore sotto una luce eccessivamente favorevole, che gli fa vedere solo le qualità positive.

Naturalmente, amare una squadra non è esattamente come amare un altro essere umano. Per certi versi è come amare un paese o una città, perché presuppone di voler bene alla comunità di cui si fa parte. La comunità, infatti, è un aspetto cruciale del tifo e una componente fondamentale del suo fascino. Lo storico Benedict Anderson ha coniato una definizione memorabile quando ha detto che le nazioni sono “comunità immaginate”. Quello che intendeva dire è che sono comunità costruite attorno a un’idea più o meno condivisa di cosa significa appartenere a qualcosa.

Questo concetto condiviso è sviluppato dall’immaginazione. È attraverso le storie condivise del passato – come i trionfi militari o le invenzioni rivoluzionarie – che si forma un senso di ciò che rappresenta una nazione e cosa significa farne parte. Per esempio, negli Stati Uniti queste storie fanno sì che un contadino dell’Idaho e un avvocato di New York sentano di appartenere alla stessa comunità, anche se sono due estranei con vite diversissime.

Anche le tifoserie sono comunità immaginate, costruite intorno a storie di trionfi eroici e sconfitte tragiche. I tifosi del Manchester United, per esempio, s’identificano come parte della stessa comunità, come un gruppo di persone con gli stessi interessi, con gli stessi eroi condivisi (Paul Scholes, Eric Cantona, Alex Ferguson) e gli stessi rivali (il Liver­pool, il Manchester City, Kenny Dalglish).

Il tifo influenza anche i valori delle persone, il senso di chi sono e di cos’è importante per loro. Colloca l’individuo all’interno di una comunità etica, che riflette un collettivo con i suoi valori e le sue regole, che persegue obiettivi comuni creando un senso stabile d’identità e fiducia di gruppo. Il tifo ha un impatto talmente cruciale su come le persone vedono se stesse e il mondo che i sociologi Norbert Elias ed Eric Dunning nel loro saggio Quest for excitement (Alla ricerca dell’entusiasmo, 1986) lo descrivono come uno dei modi fondamentali attraverso cui si costruisce un senso d’iden­tità collettiva nelle società moderne.

Queste identità etiche possono essere collegate a quella del club, che a sua volta è plasmata dai tifosi e li fa diventare ciò che sono. Il successo non è l’unico obiettivo comune inseguito dai sostenitori di una squadra, i club non sono solo nomi su una maglia o uno stadio. Molte squadre hanno un’identità solida, basata su una specifica storia o sull’adesione a princìpi profondi. Per esempio, la tedesca Bayer Leverkusen è stata fondata dai lavoratori dell’azienda farmaceutica Bayer; l’argentina Boca Juniors è la squadra della classe operaia di Buenos Aires, mentre i rivali del River Plate rappresentano la classe media della città; il club londinese del Tottenham Hotspur ha sempre avuto una nutrita rappresentanza di tifosi ebrei; il Barcellona si è legato negli anni al nazionalismo catalano; il St Pauli di Amburgo è dichiaratamente di sinistra. A volte queste identità nascono con il club, altre volte sono legate più strettamente ai tifosi o a particolari gruppi di tifosi come gli ultrà.

Quindi dalla squadra che una persona sostiene possiamo capire qualcosa dei suoi valori o delle sue posizioni etiche. Il tifoso del St Pauli probabilmente è di sinistra; il tifoso del Barcellona forse è un nazionalista catalano, e magari è diventato tifoso del Barcellona proprio perché il club è un simbolo di quel nazionalismo. Non dimentichiamo, però, che è importante lasciare spazio anche a quei tifosi che amano una squadra a prescindere dalle caratteristiche sociopolitiche.

Questo ci aiuta a capire i problemi che si pongono ai tifosi quando la loro squadra del cuore fa qualcosa di sbagliato. Se i sostenitori cantano dei cori razzisti stanno mandando un messaggio, e cioè che i loro valori sono quelli della comunità. Il messaggio coinvolge tutte le persone che s’identificano con il club, anche se non condividono quei valori. E il coinvolgimento è ancora più profondo quando questi cori non sono contestati: tollerarli manda un ulteriore messaggio, e cioè che anche i tifosi che non si riconoscono in quei valori accettano di condividere lo stadio con persone che li esprimono cantandoli a squarciagola.

Francesca Ghermandi

E se sono i giocatori, e non i tifosi, a comportarsi male? Qui possiamo vedere chiaramente che l’amore per una squadra sportiva non è come quello per un paese o una città. Come spiega lo scrittore e grande tifoso di calcio Nick Hornby nel suo Febbre a 90’, i giocatori sono i rappresentanti dei tifosi. Fanno le loro veci sul campo e incarnano la comunità per la durata della partita. Continuando a sostenere una squadra con giocatori accusati di atti violenti, il messaggio che i tifosi sembrano mandare è che condividono i valori degli atleti.

Ma cosa possono farci i tifosi? Come abbiamo osservato nel nostro saggio Why it’s ok to be a sports fan (Perché non c’è niente di male a essere tifosi, 2023) devono essere critici. Questo significa riconoscere che sostenere una squadra comporta dei rischi morali, e rifiutare l’idea che lo sport sia in qualche modo impermeabile alla politica. Quando pensiamo a qualsiasi altra passione, non pensiamo che debba essere svincolata da considerazioni etiche. È vero, nella vita possiamo concederci un po’ d’immoralità. Questo però non vuol dire che possiamo ignorare i problemi etici importanti.

A parte riconoscere che le questioni morali esistono, cosa dovrebbe fare un tifoso critico? Be’, non dovrebbe rinunciare a tifare per puro capriccio. Se avete un hobby, qualcosa che fate semplicemente per passare il tempo, e scoprite che è moralmente compromesso, potete smettere e sostituirlo facilmente con un altro. Mettiamo che collezioniate pezzi di avorio semplicemente perché vi piace raccogliere oggetti. Quando scoprite che questo crea gravi danni alla conservazione degli animali, potete mettervi a collezionare qualcos’altro. Il tifo, però, non funziona così: è una forma d’amore che plasma l’identità delle persone.

Il modo in cui ci si relaziona con una persona cara – un amante, un amico, un familiare – è un buon punto di partenza per valutare come dovrebbero comportarsi i tifosi di fronte all’immoralità. Potete voltare le spalle a un conoscente se venite a sapere che ha fatto qualcosa di brutto, ma non potete abbandonare altrettanto facilmente un caro amico; allo stesso modo, se per voi il tifo è importante non riuscirete a rinunciarci tanto facilmente. Se però scoprite che un caro amico ha fatto qualcosa di sconveniente, forse dovete fare qualcosa. Magari glielo fate notare, non mettendo dei cartelloni per la strada, ma semplicemente dicendogli che il suo comportamento non è appropriato. E se questo non funziona o se il vostro amico continua a comportarsi in modo molto sconveniente, magari gli togliete l’amicizia.

Lo stesso vale per il tifo. Solo che, mentre una parola detta a brutto muso a un amico può essere efficace, se fate sentire la vostra voce isolata o se abbandonate lo stadio non succede molto. Può essere utile a mantenere la vostra integrità morale, ma non impedirà alla vostra squadra del cuore o ai tifosi con cui v’identificate di cedere all’immoralità.

Ci sono casi in cui i tifosi hanno fatto fronte comune e sono riusciti a impedire che fosse presa una decisione sbagliata. Quando si è sparsa la notizia che il Manchester United stava pensando di reintegrare Greenwood, le associazioni contro la violenza domestica hanno protestato, diversi dipendenti del club hanno minacciato le dimissioni e la reazione di molti tifosi è stata altrettanto dura. La presentatrice televisiva Rachel Riley – celebre tifosa del Manchester United – ha detto che se Green­wood fosse tornato in squadra avrebbe smesso di sostenerla. Un gruppo di tifose ha rilasciato un comunicato in cui criticava ferocemente il club, sottolineando che la decisione sarebbe stata un fallimento morale. Alla fine, lo United ha deciso di rinunciare al giocatore, anche se lo ha fatto con un comunicato sgradevolmente solidale con lui.

Quando la squadra di calcio scozzese dei Raith Rovers ha ingaggiato David Goodwillie, che in passato era stato riconosciuto colpevole di stupro, molte persone legate al club hanno protestato duramente contro quella scelta. Lo scrittore di gialli Val McDermid, uno dei principali finanziatori dei Rovers, ha minacciato di ritirare il suo sostegno economico; molte giocatrici della squadra femminile hanno dato le dimissioni, seguite da diversi dirigenti della società. Alla fine la protesta coordinata è riuscita nel suo intento e i Raith Rovers hanno rinunciato a Good­willie.

In entrambi i casi, i tifosi sono riusciti a muoversi e a protestare insieme. A rendere incisive queste proteste è la simultaneità del tifo. Per i tifosi è naturale riunirsi tutti insieme nello stesso posto: è evidente allo stadio, ma anche quando guardano la partita da casa lo fanno tutti nello stesso momento, magari si danno appuntamento nello stesso bar o a casa di un amico. Quando un unico tifoso fischia non se ne accorge nessuno, ma se lo fanno migliaia di persone o se in centinaia di migliaia spengono la tv la cosa diventa evidente. Ciò che colpisce è che alcuni tifosi erano disposti ad abbandonare la squadra se non avesse fatto la cosa giusta.

Chi prende queste questioni sul serio deve confrontarsi a sua volta con due tipi di critiche. Da una parte ci sono quelli a cui non importa niente dello sport, che si chiedono perché mai i tifosi dovrebbero appoggiare una squadra che fa cose immorali. Per loro il tifo si riduce al fatto banale di guardare passivamente altre persone che praticano uno sport e quindi non ci sono dilemmi, perché ai loro occhi i tifosi non perderebbero niente se decidessero semplicemente di sostenere un’altra squadra. Dall’altra parte ci sono i tifosi più irriducibili, per i quali smettere di sostenere la squadra è inconcepibile. Per loro, chiunque possa anche solo immaginare di abbandonare (o di criticare pesantemente) il club del cuore è un traditore, un tifoso a metà.

Chi liquida il tifo come un fatto banale non riesce a riconoscere l’importanza di queste comunità etiche, il modo in cui plasmano l’identità dei partecipanti e i vincoli di fedeltà che stabiliscono. Quando una comunità si allontana troppo dai suoi valori, rimanere fedele ai suoi princìpi etici – essere un buon tifoso – impone di prendere posizione. Se il Barcellona abbandonasse il nazionalismo o se il St Pauli cominciasse a sostenere idee fasciste, per i tifosi vorrebbe dire che la loro squadra non è più quella di una volta. Il Manchester United e i Raith Rovers forse non rappresentano princìpi politici così espliciti, ma i tifosi che li hanno contestati li consideravano espressione di determinati standard morali. Le due tifoserie hanno dovuto prendere in considerazione la possibilità che la loro squadra non fosse più quella che amavano. Se le loro proteste non avessero avuto effetto, la sola scelta possibile sarebbe stata smettere di tifare.

A volte, l’unico modo di essere un vero tifoso è voltare le spalle alla squadra. ◆ fas

Alfred Archer insegna al Centro di filosofia morale, epistemologia e filosofia della scienza dell’università di Tilburg, nei Paesi Bassi.
Jake Wojtowicz si occupa di filosofia del diritto, etica e storia dell’etica al King’s college di Londra, nel Regno Unito.
Questo articolo è uscito sulla rivista culturale online Aeon con il titolo The moral risks of fandom.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1554 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati