Cultura Suoni
The collective
Kim Gordon (Danielle Neu)

Il singolo Bye bye mi ha colto alla sprovvista. Non avendo ascoltato il precedente No home record, ero convinto che il secondo disco solista di Kim Gordon proseguisse lo stile dei Sonic Youth. Pensandoci meglio, però, quella canzone è un’evoluzione più sensata, con quel basso distorto, i sintetizzatori abrasivi e le chitarre così dure. Fin dall’inizio della sua carriera l’artista newyorchese non ha esitato nel prendere posizioni femministe attraverso il proprio lavoro. Ora affronta il tema della mascolinità tossica con I’m a man, in cui Gordon assume la prospettiva dell’uomo, tra le percussioni della drum machine 808 e chitarre che non perdonano; qui dimostra la sua abilità nel decostruire argomenti molto discussi e dargli un punto di vista originale. In Tree house le chitarre si fanno ancora più pesanti: tra campionamenti distorti e suoni laceranti la musicista trova uno spazio perfetto per il suo racconto. Molti artisti che invecchiano fanno fatica a trovare un loro posto nell’era degli algoritmi, dell’intelligenza artificiale e degli influencer. Ma in The collective, Kim Gordon è imperturbabile rispetto a questi fattori e riesce a creare un’opera accessibile dall’indubbio valore artistico.
Ethan Rebalkin, Northern Transmissions

Happiness bastards
The Black Crowes (Josh Cheuse)

Il primo verso di Wanting and waiting, il singolo di lancio del primo disco dei Black Crowes in 15 anni, è praticamente uguale a quello di Jealous again, una delle loro canzoni più famose. Il modo in cui i fan reagiranno a questa e ad altre somiglianze determinerà probabilmente il tono dell’accoglienza al nuovo album della band statunitense guidata dai litigiosi fratelli Robinson. Alcuni saranno entusiasti, altri accuseranno il gruppo di concedersi alla nostalgia facile. I Black Crowes nel 2024 navigano in un panorama musicale che è cambiato molto rispetto al loro precedente album in studio, Before the frost… until the freeze del 2009. Non devono confrontarsi con nuove declinazioni del rock, ma con il mondo di TikTok e delle canzoni ridotte a frammenti di pochi secondi. In Happiness bastards il gruppo paga ancora una volta il suo grande debito nei confronti dei Rolling Stones. In Dirty cold sun e Bleed it dry, per esempio, il cantante Chris Robinson imita un po’ Mick Jagger. Ma non è un plagio. È il riconoscimento che i corvi neri sono i tedofori di una razza in via di estinzione. E, tutto sommato, Happiness bastards ci dà dieci buone ragioni per credere che il rock sia ancora molto lontano dal cimitero.
Michael Elliott, PopMatters

New piano works

È un disco importante, non solo perché ci sono alcune delle esecuzioni pianistiche più sorprendenti che abbiate mai sentito, ma perché mette Marc-André Hamelin al centro dell’attenzione come uno dei più importanti pianisti-compositori del nostro tempo, raccogliendo il testimone da artisti come Rachmaninov, Busoni e Godowsky. Come gli ultimi due, dà il meglio di sé come compositore ispirato dalla musica degli altri, sempre interessato a esplorare le potenzialità espressive e tecniche della tastiera. Lungo la strada sentiamo il suo debito verso Alkan, Godowsky (ovviamente), Morton Feldman e molti altri che ha maliziosamente nascosto. Eppure, per qualche misterioso processo osmotico, tutto suona inequivocabilmente hamelinesco. Il lavoro principale sono le Variazioni su un tema di Paganini, del 2011, che sono già un classico moderno. Il programma si conclude con un secondo capolavoro, la toccata su L’homme armé, un’altra opera che probabilmente entrerà nel repertorio pianistico regolare. Qualche pezzo non mi convince completamente, ma è una visione soggettiva che non coglie il punto: qui c’è un pianista di uno standard così elevato che mi chiedo se esista qualcuno di paragonabile. Aspetto con impazienza che scriva un concerto per pianoforte.
Jérémie Bigoire, Diapason

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1554 - 15 marzo 2024

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