Il disastro aereo avvenuto nei pressi dell’isola di Ustica la sera del 27 giugno 1980 è una delle tante tragedie in parte ancora oscure che costellano la storia dell’Italia repubblicana e continuano a infestarne la memoria. L’idea di un coinvolgimento francese nel dramma, sullo sfondo delle tensioni geopolitiche all’epoca molto forti tra Parigi e la Libia, è stata rilanciata dall’ex presidente del consiglio italiano Giuliano Amato.

In un’intervista al quotidiano La Repubblica del 2 settembre 2023, Amato ha ripreso la tesi sostenuta dalle famiglie delle vittime, secondo cui un aereo francese avrebbe lanciato un missile colpendo il Dc-9 in volo da Bologna a Palermo e provocando la morte dei suoi 81 passeggeri. “La versione più credibile è quella della responsabilità dell’aeronautica francese, con la complicità degli americani”, ha dichiarato Amato, che oggi ha 85 anni e ha guidato il governo italiano dal 1992 al 1993 e tra il 2000 e il 2001. Amato ha precisato di essersi interessato al caso nel 1986, quando era ministro degli esteri e il presidente del consiglio era Bettino Craxi, suo compagno nel Partito socialista italiano (Psi). Secondo l’ipotesi a cui Amato attribuisce maggiore credibilità, un caccia francese prese di mira nello spazio aereo italiano un aereo libico sul quale avrebbe dovuto viaggiare il leader libico Muammar Gheddafi, sferrando un attacco di cui i passeggeri del Dc-9 furono vittime collaterali.

Il tentativo di uccidere Gheddafi sarebbe stato pianificato con la copertura di esercitazioni militari della Nato nel mar Mediterraneo. Amato sostiene che Gheddafi era stato avvertito da Bettino Craxi, all’epoca segretario del Psi, ma che ci furono comunque combattimenti aerei che coinvolsero apparecchi libici nelle vicinanze del Dc-9. L’aereo sarebbe stato distrutto da un missile lanciato contro uno o due caccia libici che si erano posizionati sulla sua scia per nascondersi ai radar.

All’epoca Gheddafi, pur essendo vicino all’Italia, guidava un regime antioccidentale ed era coinvolto in un conflitto in Ciad, dove la Francia sosteneva i suoi avversari. La pista di un legame tra l’incidente e le tensioni tra Parigi e Tripoli si è rivelata difficile, ma ha fatto più volte irruzione nel dibattito pubblico. Gli inquirenti hanno incontrato molti ostacoli: secondo il giornalista Andrea Purgatori, uno specialista della vicenda morto da poco, l’indagine è stata segnata dalla morte sospetta di una ventina di testimoni.

Già nel 2008 l’ex presidente della repubblica Francesco Cossiga aveva parlarto di responsabilità della Francia, provocando la riapertura delle indagini. Nel 2011 il giudice Rosario Priore, che per dieci anni ha seguito il caso, denunciò l’ostruzionismo di Parigi. Nel 2013 la corte di cassazione ha attribuito l’esplosione letale a un missile aria-aria, ma senza stabilire la nazionalità dell’aereo responsabile del lancio.

Un’ipotesi condivisa

Le dichiarazioni di Amato riprendono quindi un’ipotesi condivisa negli ambienti interessati alla vicenda in Italia, ma che non è mai stata dimostrata in via definitiva dalla giustizia. Daria Bonfietti, che presiede l’associazione dei familiari delle vittime, ha dichiarato a Repubblica che la Francia deve “porre fine alle bugie di stato”. Nella sua intervista anche Amato aveva lanciato un appello: “Mi chiedo perché un giovane presidente come Macron non voglia togliere l’onta che pesa sulla Francia. E può toglierla solo in due modi: dimostrando che questa tesi è infondata oppure porgendo le scuse più profonde all’Italia e alle famiglie delle vittime in nome del suo governo”.

La presidente del consiglio Giorgia Meloni ha dichiarato che le parole “importanti e degne di attenzione” di Amato sono “frutto di deduzioni personali” e l’ha invitato a rendere noto se ha elementi precisi che permetterebbero di riaprire le indagini. La ministra francese degli esteri Catherine Colonna ha dichiarato che Parigi ha fornito “gli elementi a sua disposizione tutte le volte che è stata sollecitata” e che resta “a disposizione per lavorare con l’Italia se ne viene fatta richiesta”. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1528 di Internazionale, a pagina 33. Compra questo numero | Abbonati