San Pietroburgo, 13 novembre 2023. Fuori dell’aula del tribunale distrettuale di Vasileostrovskij, Aleksej Belozerov, attivista e amico di Aleksandra Skočilenko, prepara i messaggi da pubblicare sul canale Telegram del gruppo di sostegno all’artista. I familiari della ragazza non hanno dubbi: sarà condannata. Gli ufficiali giudiziari allontanano il pubblico per permettere alla giudice Oksana Demjaševa di entrare in aula. Il dibattimento è cominciato l’8 novembre con il duro intervento del procuratore Aleksandr Gladyšev, che ha chiesto otto anni di carcere per l’imputata, accusata di aver diffuso notizie false sull’esercito russo: aveva sostituito cinque targhette dei prezzi in un supermercato con foglietti contenenti messaggi contro la guerra in Ucraina. Uno degli avvocati difensori, Jurij Novolodskij, sostiene che “la traballante impalcatura dell’accusa, basata su quattro punti, è definitivamente crollata durante il processo”. Sentendo la parola “traballante”, Skočilenko sorride.

Per la difesa il primo punto traballante è la dichiarazione stessa dell’imputata, che non ha ammesso di aver diffuso “notizie false”, ma solo di aver sostituito i cartellini dei prezzi. In secondo luogo, non quadra neanche la testimonianza dei soldati russi che hanno combattuto in Ucraina. Agli inquirenti hanno dichiarato che i cartellini contenevano informazioni sui bombardamenti delle città ucraine e “insultavano l’esercito russo”. Ma quei cartellini i soldati non li hanno mai visti.

Il terzo punto è la testimonianza di un amico d’infanzia di Skočilenko, Aleksej Nikolaev, che era con lei al momento dell’arresto. In tribunale Nikolaev ha detto di non sapere che Skočilenko stesse organizzando un’azione contro la guerra. Durante il primo interrogatorio, invece, aveva dichiarato di essere al corrente di tutto. Più tardi ha spiegato che un investigatore aveva modificato la testimonianza.

La quarta – e principale – prova dell’inconsistenza delle accuse è “l’analisi linguistica” dei cartellini, che la difesa (e altri esperti indipendenti) ritiene sia stata condotta in modo “non scientifico”. Mentre Novolodskij illustra l’incompetenza dei periti dell’accusa, Skočilenko manda baci e strizza l’occhio ai suoi sostenitori.

L’avvocato Novolodskij si sofferma su due cartellini. Il primo conteneva informazioni sull’attacco dell’esercito russo a una scuola d’arte di Mariupol. È stato questo messaggio a far arrabbiare la signora pietroburghese che ha sporto denuncia. L’avvocato osserva che l’accusa non ha potuto smentirne il contenuto. Sul secondo cartellino era scritto che Vladimir Putin “ci racconta bugie da vent’anni”. A tale riguardo Novolodskij ricorda diversi casi in cui le parole del presidente si sono discostate dalle sue azioni, per esempio le promesse di non modificare la costituzione per rimanere al potere o di non innalzare l’età pensionabile che, sottolinea, possono essere considerate bugie.

L’avvocato conclude affermando di credere nella giustizia, augurando alla giudice di fare la scelta migliore e leggendo un brano dal diario di Skoči­lenko: “Continuerò a fare tutto quello che posso! Parlare in pubblico, fare disegni, discorsi, azioni creative per accelerare la fine della guerra. Invito tutti a fare lo stesso. È un test per la vostra umanità, avete l’opportunità di superare questa prova”.

Un grande scherzo

Arriva il turno di un’altra avvocata della difesa, Jana Nepovinova: “Questo è un processo che non doveva aver luogo”, dice. “Un paio di anni fa questa storia sarebbe sembrata assurda. E molti ancora la ritengono tale”. Poi elenca le violazioni commesse dal procuratore e cita un altro brano del diario dell’artista: “L’azione deve essere completamente pacifica”.

“Aleksandra non sopravvivrà al carcere”, conclude. Skočilenko soffre di celiachia, cardiopatia e di un disturbo bipolare. Senza accesso alle cure e ai medici, andrà incontro a gravi complicazioni.

Nepovinova chiede l’assoluzione. Il pubblico applaude. L’imputata si porta l’indice alle labbra, ma gli applausi aumentano. La giudice s’infuria. Dopo un diverbio con gli ufficiali giudiziari, molti lasciano l’aula, ma Demjaševa non è soddisfatta e rinvia l’udienza al giorno dopo.

Il 14 novembre il dibattimento riprende con un intervento dell’avvocata di difesa nominata dallo stato, che definisce l’imputata “amichevole”, “premurosa” e “non conflittuale”.

In seguito interviene l’avvocato Dmitrij Gerasimov: “In 17 anni di pratica non ho mai incontrato un caso così facile dal punto di vista legale. L’accusa stessa ha presentato molte prove dell’innocenza dell’imputata”. Poi, però, aggiunge che “sotto il profilo emotivo e psicologico” il caso è tra i più difficili della sua carriera. “È doloroso vedere dietro le sbarre una ragazza giovane, intelligente, con una serie di malattie croniche, accusata di un crimine non violento”, conclude. L’ultima a prendere la parola è Aleksa­n­dra Skočilenko. Legge la sua dichiarazione. Si dichiara innocente e afferma di “aver agito nell’interesse della Federazione Russa e dei suoi cittadini”. Poi sottolinea che prova pietà per tutte le persone uccise o ferite in guerra, compresi i soldati russi. “Secondo me, la decisione più onesta, anche se la più difficile, sarebbe l’assoluzione”, conclude.

A mezzogiorno del 16 novembre fuori dell’aula si radunano circa cento persone prima dell’ultima dichiarazione di Skočilenko. L’imputata parla a braccio: “Il mio caso è così strano e ridicolo che a volte penso: ecco, ora vado in aula e improvvisamente dal cielo comincia a cadere una pioggia di coriandoli, tutti si alzano in piedi e urlano: ‘Ci hai creduto! Ci hai creduto!’. Il mio caso è così strano e ridicolo che il personale del carcere dove sono detenuta ha esclamato stupito: ‘Ma davvero oggi arrestano anche per queste cose?’. Il mio caso è così assurdo che perfino chi sostiene l’operazione militare speciale (così in Russia si chiama ufficialmente la guerra all’Ucraina) non pensa che io meriti di finire in carcere. Tutti vedono e sanno che non state giudicando una terrorista”, continua Skočilenko. “Non state giudicando un’estremista. E neanche una militante politica. State giudicando una pacifista”.

Due ore dopo la giudice Demjaševa legge la sentenza: sette anni di carcere. Il pubblico grida “Vergogna!” e chiede alla giudice come riuscirà a dormire di notte dopo una simile decisione. Demjaševa lascia l’aula senza dire una parola. ◆ ab

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Questo articolo è uscito sul numero 1539 di Internazionale, a pagina 33. Compra questo numero | Abbonati