Il settore 18 dello storico stabilimento della Volkswagen a Wolfsburg, in Bassa Sassonia, è uno dei luoghi principali del made in Germany. Lì c’è la sede del betriebsrat, il consiglio di fabbrica dell’azienda, una specie di stato nello stato che rappresenta i lavoratori del primo gruppo industriale tedesco, per la maggior parte iscritti al grande sindacato dei metalmeccanici, l’Ig metall, che ne ha 2,2 milioni in tutto il paese.

Il consiglio di fabbrica è un organismo unico nel suo genere, indispensabile nelle scelte della casa automobilistica che ha 630mila dipendenti nel mondo e 295mila in Germania. Dall’estate 2021, e per la prima volta in 75 anni di storia, alla sua guida c’è una donna: Daniela Cavallo, 47 anni. È stata lei a condurre le trattative, durate quasi un mese, che il 23 novembre hanno portato all’accordo per aumentare dell’8,5 per cento gli stipendi dei dipendenti della Germania occidentale, in modo da rispondere alla forte inflazione. La trattativa è stata un test di credibilità per Cavallo che, dalla sua nomina, ha già superato diverse prove del fuoco, a partire dallo scontro con Herbert Diess, all’epoca amministratore delegato dell’azienda, che in seguito è stato licenziato.

Daniela Cavallo a Wolfsburg, giugno 2021 (Patrick Slesiona)

“Non bisogna sottovalutare Daniela Cavallo”, dichiarano molti osservatori (maschi), colpiti dalla sua combattività. Capelli lunghi castani, tailleur e sorriso affabile, Cavallo non ha di certo lo stile austero e a volte bellicoso dei suoi predecessori né tanto meno quello del suo mentore, Bernd Osterloh, ex presidente del consiglio di fabbrica dal carattere vulcanico.

Dopo lo scandalo del 2015 sulle emissioni truccate dei motori diesel, la nuova generazione alla guida della Volkswagen concepisce il potere come un esercizio meno dittatoriale e più collettivo. “Lo scontro continuo non ci permette di evolvere”, dice Gunnar Kilian, direttore delle risorse umane dell’azienda, che in passato ha lavorato a stretto contatto con Cavallo al consiglio di fabbrica. “Credo che questo pensiero sia condiviso anche da Daniela Cavallo e da Oliver Blume, il nuovo amministratore delegato del gruppo. Per raggiungere dei compromessi, il dialogo dev’essere onesto”.

È per questo che Cavallo nei suoi discorsi fa molta attenzione a eliminare tutti gli aspetti che potrebbero indisporre i suoi interlocutori. A proposito del suo scontro epico con Herbert Diess, allontanato dall’azienda anche a causa dei rapporti tesi con il sindacato, lei parla di “divergenze sull’applicazione della strategia” e insiste sul fatto che Diess merita “rispetto e riconoscenza”. Sul suo modo di esercitare il potere dentro un sindacato dominato dagli uomini, si limita a commentare che “ognuno deve trovare il suo stile” e che la sua forza sta nel “rappresentare tutti i lavoratori”.

Non ci sono aneddoti sulla sua vita privata, si sa solo che è sposata e ha due figlie. Nella città industriale di Wolfsburg, in cui la dimensione collettiva ha sempre la precedenza, tutto quello che può somigliare al narcisismo è malvisto. Cavallo, figlia di immigrati italiani originari della Calabria, venuti a lavorare a Wolfsburg negli anni sessanta, vuole essere considerata nient’altro che la rappresentante delle lavoratrici e dei lavoratori e testimone del mito della Volkswagen. Eppure incarna lo stesso una rivoluzione all’interno della casa automobilistica, e anche dell’Ig metall, che in Germania ha un peso economico e politico immenso.

Un equilibrio delicato

A chi appartiene la Volkswagen? È la domanda che aiuta a capire il delicato equilibrio di poteri all’interno dell’azienda. A Wolfsburg si otterranno risposte diverse a seconda di chi risponde. L’azienda che Adolf Hitler aveva voluto per incarnare la sua idea di “auto del popolo”, dopo la seconda guerra mondiale rimase senza proprietari. I britannici, che allora occupavano la regione, si limitarono a rilanciare la produzione, senza rivendicare la proprietà sugli impianti. La Ig metall riteneva che l’azienda appartenesse ai lavoratori, sostenendo che nel 1937 i nazisti avevano espropriato i fondi dei sindacati tedeschi. L’incertezza è durata fino al 1960, quando la Volkswagen fu trasformata in società per azioni. Ma la cosiddetta legge Volkswagen del 1960 garantisce ancora alla Bassa Sassonia una quota del 20 per cento con cui bloccare, se vuole, le decisioni più importanti. Quando la regione si allea con il consiglio di sorveglianza, che secondo la legge tedesca detiene la metà dei seggi al consiglio di vigilanza, insieme possono fermare qualsiasi decisione. Anche la famiglia Porsche, oggi azionista di maggioranza del gruppo, non può imporre nulla senza il loro consenso. Oltre a questa organizzazione ci sono anche tradizioni orgogliosamente difese dai lavoratori. Dal dopoguerra la Volkswagen ha un proprio contratto collettivo, versa stipendi tra i più alti dell’industria automobilistica e offre privilegi ai propri dipendenti.

Anche se esteticamente non è granché, la città di Wolfsburg è un’oasi di ricchezza nella Germania del nord, paragonabile a Francoforte o a Monaco. La sede di Wolfsburg è una delle più potenti e ricche dell’Ig metall, un trampolino per le carriere e una vetrina del sindacato. Per questo la Volkswagen è una realtà atipica, a metà strada tra un’azienda statale, una familiare e una multinazionale. Non esistono esempi di esercizio del potere e di successo economico simili, con un rapporto quasi paritario tra capitale e lavoro.

Questo modello però non è senza macchia: all’inizio degli anni duemila alcuni fondi neri messi a disposizione dalla Volkswagen offrivano ai rappresentanti sindacali viaggi di lusso con tanto di prostitute per “facilitare” le trattative. Quando è venuto fuori, nel 2005, è scoppiato uno scandalo. Proprio intorno al 2000, la giovane Daniela Cavallo muoveva i primi passi come rappresentante del personale. Quando nel 2002 la nuova legge tedesca ha imposto una quota obbligatoria di donne alle elezioni per il rinnovo delle rappresentanze sindacali, lei si è candidata con l’Ig metall ed è stata eletta. Sostenuta da Bernd Osterloh, ha cominciato la sua scalata. “È vero, sono figlia delle quote rosa. Nel 2002 non mi avrebbero mai cercato se non ci fossero state. Ma di certo non è grazie alle quote se sono stata nominata presidente del consiglio di fabbrica”, dice con orgoglio.

“Daniela Cavallo sa farsi valere”, commenta Christiane Benner, numero due dell’Ig metall, che la conosce bene. “Incarna anche un cambiamento di paradigma: è la prima volta che una donna diventa presidente del consiglio di fabbrica di un’azienda automobilistica, in cui le donne rappresentano solo il 15 per cento dei dipendenti. La vediamo nei dibattiti, sui giornali economici. È un modello di cui abbiamo bisogno”, continua. “È nei settori della metallurgia e dell’elettronica che girano gli stipendi più alti in Germania, quelli che permettono alle donne di essere autonome dal punto di vista economico”.

Alla fine la cittadinanza

Daniela Cavallo sta infrangendo un altro tabù: nata in Germania Ovest nel 1975, ha chiesto la cittadinanza tedesca solo nel 2021 per poter votare alle elezioni, quando già dal 2000 la doppia cittadinanza era accessibile a tutti i cittadini dell’Unione europea. Se le chiedi perché, parla del suo forte legame con l’Italia e del fatto che si sente una cittadina europea, condizione che non le faceva sentire la mancanza della cittadinanza tedesca. “Poi però mi sono accorta dell’ascesa dell’estrema destra in Germania e ho deciso che dovevo oppormi con ogni mezzo”, racconta. Il fatto che una persona che ha ricoperto incarichi importanti abbia preso la cittadinanza così tardi la dice lunga sul grado di integrazione degli stranieri nella politica tedesca.

Negli ultimi cent’anni i lavoratori immigrati – italiani, ma anche turchi, polacchi, europei dell’est – hanno contribuito alla ricchezza tedesca, ringiovanendo il paese. Nonostante questo, in Germania è difficile sentire le loro opinioni sulle questioni politiche. “Facilitare l’accesso alla doppia nazionalità per i cittadini dell’Unione europea è una rivendicazione chiara dell’Ig metall”, aggiunge Christiane Benner. “La partecipazione politica dei lavoratori stranieri deve diventare un diritto acquisito nel nostro paese”. ◆ cp

Biografia

1975 Nasce a Wolfsburg, in Germania, figlia d’immigrati calabresi.
1994 Entra alla Volkswagen come impiegata e in seguito si forma come manager.
2002 Comincia a far parte dei consigli di sorveglianza di diversi marchi del gruppo (Seat, Skoda, Porsche, Traton).
2021 Diventa presidente del consiglio di fabbrica, l’organo che rappresenta i lavoratori.
2022 Si scontra con l’amministratore delegato Herbert Diess, che in seguito viene licenziato dall’azienda.


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Questo articolo è uscito sul numero 1490 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati