“Non si azzardi a prescrivere altri ormoni a mio figlio”. “La nostra famiglia gliela farà pagare”.

Il dottor Pan Bailin è abituato a queste tipo di minacce. Sul tavolo del suo studio c’è sempre una pacchetto di fazzoletti. Sono per le lacrime dei genitori. I più miti lo bloccano sulla porta con gli occhi umidi: “Preferirei non aver mai avuto un figlio piuttosto che vederlo diventare questo… né uomo né donna, un transessuale”. Un padre, che aveva firmato il consenso per l’operazione chirurgica di riassegnazione di genere, ha perfino provato a fermare l’intervento denunciandolo ai suoi superiori: “Il dottor Pan avvelena la mente degli adolescenti cinesi”. E ancora: “Forse è stato infiltrato nell’ospedale da agenti stranieri”. Un altro genitore lo ha accusato di essere “colluso con gli psichiatri e di guadagnare prescrivendo medicine al figlio”. Alcuni hanno chiamato il numero di emergenza della città di Pechino.

C’è chi ha vissuto di peggio: un altro medico aveva appena finito di visitare un ragazzo, quando il padre è entrato nello studio e l’ha accoltellato. Pan è preparato. “Un giorno toccherà anche a me”, dice.

Lavora in quello che è un paradiso sicuro per gli adolescenti transgender. Loro lo chiamano amichevolmente “vecchio Pan” o “zio Pan” e lo raccomandano ai coetanei che stanno affrontando lo stesso percorso: “Vai al terzo ospedale dell’università di Pechino e chiedi di parlare con il dottor Pan”.

Il dipartimento di medicina generale per persone transgender è stato inaugurato nel 2017. Qui i medici non chiamano i ragazzi “pazienti”, un termine che implica una patologia da curare, ma “visitatori”. È stato il dottor Pan a formare la prima équipe medica cinese che si occupa di affermazione di genere. È composta da psicologi, endocrinologi, specialisti della riproduzione, otorinolaringoiatri, chirurghi generali e plastici. Professionisti che mettono le loro competenze al servizio di chi non si riconosce nel proprio sesso biologico. Per la sua squadra è un grande sforzo: i medici lavorano già in altri dipartimenti, e assistono le persone transgender nel tempo libero. Senza contare i reclami, le minacce e le aggressioni.

Circa il dieci per cento dei “visitatori” che si rivolgono a Pan ha tra i quattordici e i diciotto anni, il più giovane appena dieci; quasi la metà delle persone transessuali che ha incontrato si interrogava sul proprio sesso biologico sin da quando era piccola. “In media i problemi che affrontano gli adolescenti sono più complicati di quelli degli adulti”, spiega Pan sottolineando che durante la pubertà si è più soggetti a pregiudizi e idee estreme. Spesso, quando incontra ragazzi e ragazze per la prima volta, nota che hanno ferite sulle braccia. Non dimentica mai di chiedere se hanno tentato di uccidersi o se hanno avuto comportamenti autolesionisti. Il 90 per cento risponde di sì. Il tasso di suicidi fra ragazze e ragazzi trans­gender è cinque volte maggiore di quello dei loro coetanei.

Anche i genitori sono in preda all’ansia: cosa succederà se i figli non troveranno lavoro? E se non si sposeranno? Come loro tutori legali, devono conoscere il piano medico e autorizzare le decisioni degli specialisti. Spetta ai genitori l’ultima parola, e spesso preferirebbero cercare di “aggiustare” i figli invece di accettarli per come sono.

Cai Peijing e Ke Qian: Cai vive a Xiamen, nel Fujian. È un ragazzo trans­gender. I suoi parenti non lo accettano e quindi Cai vuole costruirsi una famiglia tutta sua.

“In Cina le terapie di riassegnazione di genere sono solo agli inizi”, spiega Pan. E se si tratta di adolescenti, la materia diventa incandescente. Ma le cose, anche grazie alla sua esperienza, stanno cambiando. Nel 2021 l’ospedale pediatrico dell’università Fudan, a Shanghai, ha aperto il primo reparto multidisciplinare per bambini e adolescenti transgender. Anni fa, quando c’era meno sensibilità sul tema, molti medici erano convinti che Pan fosse solo “in cerca di attenzione”. Un collega una volta gli chiese: “Non pensi che il tuo lavoro violi l’etica medica?”. Ma oggi gli esperti la pensano diversamente. Zhao Yede, primario del reparto di chirurgia plastica di una delle sedi dell’ospedale Changhai di Shanghai ricorda le parole del suo maestro He Qinglian, il “padre” delle operazioni chirurgiche di riassegnazione di genere in Cina: “Negli anni novanta, quando le persone trans non riuscivano a farsi aiutare dai medici, si pungevano un dito e gli inviavano lettere scritte con il loro sangue. Le ho viste con i miei occhi”.

Ancora oggi i genitori, quando scoprono che i figli non si riconoscono nel sesso biologico, spesso si trincerano su posizioni tradizionaliste e cercano dei responsabili. Le reazioni più comuni sono: “Sono stati corrotti da internet”. Oppure: “È la cattiva influenza della cultura giapponese, tutta anime, manga e videogiochi”. La realtà è opposta: “Gli adolescenti trans sono confusi e preoccupati e quindi cercano su internet le risposte che nessuno intorno a loro sembra avere”, spiega Pan.

Abbandonati a se stessi

Huaxian è una donna transgender. Ha cominciato a sentirsi confusa sul proprio genere quando era in seconda elementare. Una mattina, preparandosi per andare a scuola, disse alla madre: “Non voglio più essere un maschio”. Sua madre la rimproverò e lei non toccò più l’argomento, ma rimase sorpresa dalle sue stesse parole. In quinta elementare o in prima media, cominciò a notare qualche cambiamento nei compagni: la voce si faceva più grave, cominciavano a crescergli i baffi e i peli sulle gambe. Spaventata, fece qualche ricerca su internet. All’epoca il concetto di transessualità non era molto diffuso in Cina. Tutto quello che riuscì a trovare fu un sito sui ladyboy thailandesi, descritti come ragazzi poveri che non avevano altro modo di guadagnarsi da vivere se non prostituirsi. Il sito dava per scontato che quelle persone non avrebbero vissuto oltre i trent’anni.

Spaventata cercò di seppellire la sua curiosità provando a essere “normale”. Per non essere vittima dei bulli a scuola, diventò una di loro. Imitando chi la minacciava, esternava aggressività e chiedeva “il pizzo” in cambio di protezione ai ragazzi della sua classe. Se nei bagni incontrava qualcuno che non era abbastanza “maschio”, lo avvicinava da dietro e gli abbassava i pantaloni. Oppure lo strattonava all’improvviso.

Ripensare a quel periodo la disgusta, anche se è stata una parentesi molto breve della sua vita. Ben presto, infatti, non riuscì più a vestire i panni del carnefice, e tornò a essere vittima.

I genitori si chiedono spesso se la transessualità non sia un semplice capriccio da ragazzi. Pan ha notato che gli adolescenti trans cominciano a prendere coscienza cinque o sei anni prima di raggiungere la maturità sessuale. “Crediamo che l’identità di genere sia legata ai geni, non si impara e non è influenzata da fattori ambientali. Vale per le persone”, ha spiegato Pan in una conferenza. Non è un caso che un ragazzo trans abbia ricordato in un’intervista che da piccolo cercava di convincere i suoi genitori che lui il pene lo aveva, ma gli era stato tagliato.

Le ragazze e i ragazzi transgender non hanno niente di sbagliato. L’identità non dipende dall’ambiente in cui si è cresciuti

Ogni anno, si rivolgono al dottor Pan minori che hanno provato a castrarsi da soli. Trovano tutta la procedura su internet: da come recuperare anestetici e strumenti a come effettuare la mutilazione. Troppo spesso, però, si causano emorragie e gravi complicazioni. “Questi casi sono più comuni tra i minori, perché gli adulti capiscono meglio le conseguenze delle loro azioni”, spiega Pan.

Quando gli adolescenti trans attraversano fasi di depressione, si imbottiscono di farmaci. Se non riescono ad accedere ai medicinali giusti, si procurano da soli quelli usati in veterinaria. Huaxian, per esempio, comprava gli ormoni femminili su una chat, senza sapere che avevano pesanti effetti collaterali sulla salute.

Il più delle volte questi ragazzi sanno a cosa vanno incontro. Anni fa, le persone trans consideravano la morte un’opzione preferibile rispetto a vivere intrappolate in un corpo in cui non si riconoscevano. E capita spesso che chi è stato allontanato dalla famiglia decida di prostituirsi per comprare i farmaci o pagare l’operazione di riassegnazione di genere.

Niente da riparare

Pan cerca di convincere i genitori di chi si rivolge a lui per la prima volta. “Non c’è nulla di sbagliato nei vostri figli. Loro possono rimanere come sono, siete voi a dover cambiare il vostro punto di vista”, dice gentilmente. Anche se a fatica, alcuni comprendono la situazione e a quel punto Pan può presentare le alternative.

Non tutti hanno bisogno di seguire una terapia ormonale. Se preferiscono, possono provare opzioni non mediche come truccarsi, cambiare il modo di vestirsi e modulare la propria voce. A quel punto se stanno bene con se stessi non c’è bisogno di nessun trattamento, altrimenti possono prendere in considerazione i bloccanti della pubertà. Una dose al mese, o ogni tre mesi, mette in pausa i cambiamenti fisici che caratterizzano l’adolescenza; se si interrompe la terapia, il corpo riprende a svilupparsi. È una strada che permette di prendere del tempo per capire cosa vogliono. Ma nei casi in cui la disforia di genere (il termine usato dalla medicina per definire lo stato di chi non si riconosce nel proprio sesso biologico) è particolarmente acuta, questo piano terapeutico non funziona: “Che senso ha, se non posso affermare il mio genere?”. Se il visitatore ha più di sedici anni e i genitori sono d’accordo, si può ricorrere alla terapia ormonale, a patto che l’intero trattamento sia eseguito sotto il controllo medico. E non tutti gli adolescenti trans sono disposti ad accettare queste regole.

Educare i genitori è un compito essenziale. Senza il loro sostegno per le persone transgender è impossibile essere felici

Educare i genitori è uno dei lavori più importanti che si porta avanti in un centro per l’affermazione di genere. Serve tempo e pazienza. La famiglia è il primo ambiente sociale a cui ragazze e ragazzi sono esposti. E se le famiglie non li capiscono e non li aiutano, difficilmente questi giovani saranno felici.

Il rapporto del 2017 sulla popolazione cinese transgender pubblicato congiuntamente dal Beijing lgbt center e dal dipartimento di sociologia dell’università di Pechino mostra come, su 1.640 intervistati con genitori o tutori che conoscevano la loro identità trans, solo sei non avevano subìto violenze domestiche. La maggior parte era stata immobilizzata a terra, picchiata; non poteva contare sul sostegno economico della famiglia, era stata abbandonata o mandata in un centro per le terapie “riparative”.

Huaxian fa parte del Beijing lgbt center, un’organizzazione non profit che promuove l’inclusività sessuale. Con gli altri volontari ha dato vita a una rete di pronto intervento per gli adolescenti trans che attraversano momenti difficili. Ha incontrato molte famiglie e ha visto la complessità delle relazioni genitore-figlio in Cina. “Qualsiasi pressione vissuta sul posto di lavoro, a scuola o nella società è niente di fronte a un duro attacco che arriva da un familiare”, ci spiega. Alcuni genitori cominciano a interrogarsi su se stessi solo dopo aver visto i propri figli sul letto di un ospedale o in un obitorio. Ma a volte neanche questo basta. Dopo che una ragazza trans si è suicidata, ci racconta ancora Huaxian, i genitori hanno continuato a chiamarla “ragazzo mio”. Perfino sulla lapide hanno scritto “figlio amato”. Non le è stato permesso di essere se stessa neanche dopo la morte.

Le terapie “riparative” o di “riorientamento sessuale” sono state dichiarate illegali in molti paesi, ma in Cina hanno ancora un’ampia popolarità, anche se spesso si svolgono in centri che dichiarano di occuparsi della dipendenza degli adolescenti da internet. Huaxian e gli altri volontari si sono finti clienti e hanno raccolto informazioni. Ma convincere i genitori a non mandare i figli in questi posti è più difficile che raccogliere prove sugli abusi compiuti dal personale che ci lavora. E di fronte alle famiglie, i volontari hanno le mani legate.

I genitori giustificano le loro scelte citando Mencio, il filosofo confuciano del quarto secolo aC : “Il Cielo manda tante prove difficili prima di conferire un incarico importante a un grande uomo”. Oppure più semplicemente ricorrono all’esperienza personale: “Pensate ai sacrifici delle generazioni che ci hanno preceduto. Pensate a come sono addestrati i soldati. Se mio figlio non riesce ad accettare il suo corpo, come riuscirà a farcela nella nostra società?”.

Gli istituti che praticano le terapie riparative chiedono tra i dieci e i ventimila yuan al mese (1.300-2.600 euro) e a volte vogliono un anticipo di tre, sei o addirittura dodici rate. Così, anche se scoprono che i figli subiscono abusi, molti genitori non cambiano idea: riportarli a casa significherebbe perdere una somma considerevole e quindi è più facile convincersi che i ragazzi soffrano per il loro bene.

Di fronte a situazioni di questo tipo, Huaxian dice alle famigle: “Non preoccupatevi dei soldi, li riavrete facendo causa all’istituto”. Huaxian gestisce anche un gruppo online su WeChat dedicato ai genitori. Rispetto al passato, nessuno di loro critica o attacca i volontari. Alcuni hanno accettato l’identità dei figli, altri chiedono aiuto, altri ancora hanno un atteggiamento ambivalente. Ci sono voluti quattro anni per raggiunge i circa quattrocento iscritti attuali. La maggior parte dei genitori è entrata nel gruppo su consiglio di medici che, come Pan, si occupano di transessualità e che, dopo decenni di esperienza sul campo, hanno capito che anche i familiari hanno bisogno di essere assistiti.

Nel mondo
Identità alternativa
Le persone che non si riconoscono nel loro sesso biologico, percentuale (Fonte: Ipsos)

Quando scoprono di avere un figlio o una figlia transgender, quasi tutti i genitori si chiedono se hanno commesso degli errori, e cercano di trovare risposte ricorrendo a spiegazioni fuorvianti. Le madri single incolpano l’assenza della figura paterna, altri il fatto di essere stati poco presenti o troppo duri. Spesso Pan deve ripetere la stessa cosa: le persone nascono trans. Non c’è niente di sbagliato in quelle ragazze e in quei ragazzi, e la loro identità ha poco a che vedere con l’educazione ricevuta.

Momenti difficili

Quando si affrontano questi temi, la conversazione può durare un’ora o due. La consapevolezza dell’opinione pubblica sta crescendo, ci sono ong dedicate all’aiuto e all’assistenza delle ragazze e dei ragazzi trans e più persone cominciano a capire la differenza tra sesso biologico e identità di genere. Ma gli anziani continuano a fare fatica.

Una volta la madre di un visitatore della clinica si è disperata: “La nostra famiglia è distrutta. La nonna si è arrabbiata al punto che é finita in ospedale e non abbiamo abbastanza soldi per curarla. Non possiamo neanche chiedere aiuto. Significherebbe rendere pubblica la vergogna che stiamo vivendo”.

Anche i genitori più aperti hanno attraversato momenti difficili. “Quando mio figlio si è dichiarato, ho tagliato corto: ‘Mamma e papà ti ameranno sempre, e comunque’, racconta un padre che ha condiviso la sua esperienza sulla piattaforma del Beijing lgbt center. Ha cominciato a fare qualche ricerca su internet, ma si è spaventato troppo per continuare: “Mi sono sentito impotente. È qualcosa che va oltre le mie conoscenze e competenze”. Per qualche tempo ha cercato di non pensarci e ha nascosto la sua preoccupazione al figlio, che durante la pandemia seguiva le lezioni da casa. Ma nei momenti in cui rimaneva da solo si chiudeva nel suo studio: beveva e piangeva. Un mese più tardi è andato a Pechino per chiedere aiuto a un ospedale e alle ong che si occupano di persone trans.

Quel padre è solo uno dei genitori indifesi che Pan incontra spesso. Ma il gruppo dei medici non è abbastanza numeroso per potersi prendere cura anche dei familiari. “La maggior parte delle volte facciamo affidamento sulla comunità”, ci racconta Pan che nel 2020 ha fondato Bailin Jijin, grazie a una raccolta fondi. Si tratta della prima organizzazione non profit cinese dedicata esclusivamente alla comunità transgender.

Nel gruppo WeChat, oltre a professionisti come Pan, ci sono avvocati e psicologi. I genitori fanno un sacco di domande: “L’operazione per la riassegnazione di genere è la scelta giusta?”; “Si può cambiare il genere sui diplomi?”; “Cambiare sesso non influenzerà la ricerca di lavoro?”. Il percorso che si trovano ad affrontare è complicato, e incontrano problemi diversi a ogni tappa.

Alcuni genitori che ci sono già passati e sono rimasti nel gruppo rispondono alle domande prima ancora dei volontari. “Magari avessi conosciuto prima questa comunità”, commentano in molti. Alcuni hanno deciso di sostenere i figli e di assisterli nel loro percorso. In fondo, avevano solo bisogno di trovare le persone giuste con cui parlare. Ma quando si confrontano con gli altri le incomprensioni restano. Non sanno come spiegare ai nonni cosa è successo ai nipoti, o cosa rispondere agli amici che chiedono se i figli si sono sposati o no. Devono combattere con i pregiudizi degli insegnanti e con gli sguardi dei curiosi. Possono trovare sostegno solo nelle persone che capiscono quello che hanno vissuto. Sono come tanti fili separati che uniti formano una rete.

Viaggiare insieme

Una volta, un genitore che si era appena iscritto al gruppo ha chiesto: “Conoscete qualche centro per il riorientamento sessuale da consigliare?”. Uno dopo l’altro le persone hanno raccontato la loro esperienza e hanno cercato di fargli cambiare idea. Dopo un po’ di tempo la stessa persona ha chiesto: “Qual è il modo migliore per prendere gli ormoni?”; “Qual è un buon ospedale per le operazioni di riassegnazione di genere?”. Mesi dopo ha confidato agli altri genitori: “Quant’è difficile trovare un nuovo nome per mio figlio!”.

Al momento dell’iscrizione nel gruppo aveva scelto di identificarsi con lo pseudonimo “Vicolo cieco”, che diceva molto di come vedeva il futuro: buio, incerto, senza aiuto né speranza. Ora lo ha cambiato in “Viaggio”. La vita è un viaggio. E lui ha deciso di mettersi in cammino accanto a suo figlio. ◆cag

Da sapere
Le foto di questo articolo

Solace, portraits of queer chinese youth è un progetto della fotografa olandese Sarah Mei Herman dedicato ai giovani della comunità lgbt cinese. Fa parte della serie Diverse humanity, pubblicata da The New Press. I primi ritratti sono stati realizzati nel 2019 a Xiamen, una città portuale del Fujian, nella Cina sudorientale, e dopo l’inizio della pandemia la ricerca è continuata nei Paesi Bassi, in Francia e in Germania. Il lavoro di Herman esplora i rapporti interpersonali, la sessualità e le ambiguità dell’amicizia nell’adolescenza, inserendoli nella cultura cinese. In Cina le relazioni omosessuali erano accettate fino al settecento, quando gli occidentali portarono valori diversi. L’omosessualità, criminalizzata sotto Mao, fu depenalizzata solo nel 2001, e ancora oggi è classificata come un disturbo mentale. Nel 2021 il governo ha vietato agli uomini “effeminati” di comparire in tv.


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Questo articolo è uscito sul numero 1503 di Internazionale, a pagina 66. Compra questo numero | Abbonati