Camminiamo per circa venti minuti. Non è difficile trovarli: sono loro a guidarci con grugniti, ruggiti e canti disperati. Chi lavora nel mercato orientale di Managua, in Nicaragua, sa qual è il settore in cui si vendono illegalmente gli animali selvatici. Il posto è noto anche alla polizia, che ha un ufficio nel mercato, e all’associazione dei mercati municipali della città, che riscuote le imposte.

Vogliamo capire come funziona questo traffico che va avanti da anni.

Siamo in un labirinto di corridoi che attraversa una ventina di sezioni. I primi animali in cui ci imbattiamo sono i conuri del Pacifico. Poi vediamo i canarini e le amazzoni nucagialla, specie a rischio. Incontriamo anche cebi cappuccino, tucani e are ammassati in gabbie d’acciaio, in uno spazio buio e maleodorante. Centinaia di esemplari – molti di specie protette – in evidenti condizioni di sofferenza: sono stati prelevati dal loro habitat naturale per essere rinchiusi nel più grande mercato illegale di animali selvatici del Nicaragua.

“Qui si trova di tutto: boa, scoiattoli, canarini, perfino cervi”, dice René, un commerciante di trent’anni con la pelle scura e la parlantina veloce. Vende una coppia di tucani malconci, con le ali legate con il nastro adesivo. Li offre a quattromila córdoba (104 euro) l’uno. Se li compriamo entrambi è disposto a farci uno sconto. “Ve li lascio per settemila córdoba (189 euro)”, continua. Quando rifiutiamo non si perde d’animo e tira fuori il cellulare per mostrarci il suo variegato catalogo: “Ho tucani, pappagalli, conuri del Pacifico. Se volete are scarlatte o verdi dovete ordinarle. La consegna non avviene nel mercato, ma in un altro posto o a domicilio”.

Ci mostra un video di una giovane ara scarlatta. È su un bastone di legno e le sue ali sono legate con il nastro adesivo. René non l’ha portata con sé perché è già stata ordinata da un cliente. Tra un paio di giorni gliela consegnerà a casa. Il cliente sa che è stata catturata nella riserva biologica Indio Maíz e che ci è voluta una settimana per averla. Pagherà 850 euro.

René spiega: “Mi ha contattato dicendo di volere un’ara da regalare a sua madre. Gliel’ho trovata in cinque giorni, il contatto a San Carlos ne aveva una giovane a disposizione. L’hanno portata a Managua e ora devono solo consegnarla”.

René si procura tutti gli animali allo stesso modo: concorda il prezzo con un contatto locale e poi fa arrivare l’esemplare a Managua. Una biologa che ha studiato per anni il traffico di animali selvatici e in via d’estinzione in Nicaragua conferma che il procedimento è quello descritto da René.

Rotte conosciute

La legge c’è ed è chiara. Risale all’11 novembre 2001 e stabilisce che le specie protette possono essere catturate solo da persone in possesso di un’autorizzazione specifica del ministero dell’ambiente e delle risorse naturali (Marena), sulla base del “Sistema di licenze e permessi per l’accesso, la commercializzazione locale, l’esportazione e la riproduzione delle risorse della biodiversità”.

Né René né gli altri venditori hanno un’autorizzazione del ministero. Non ne hanno mai avuto bisogno. Da più di dieci anni comprano amazzoni nucagialla, scoiattoli e ocelotti, e nessuna autorità glielo ha mai impedito.

Una fonte interna al ministero dell’ambiente ci spiega che gli animali selvatici venduti a Managua sono catturati soprattutto a Punta Cosigüina, nel dipartimento di Chinandega; a Siuna e Bonanza, nel nord, e a El Rama, nei Caraibi meridionali. Gli animali arrivano anche da Chontales, Matagalpa e Río San Juan, altri dipartimenti del Nicaragua.

Gli esemplari che non sono destinati al mercato nazionale escono dal paese sfruttando punti non sorvegliati nelle zone di confine con El Salvador, l’Honduras e la Costa Rica per poi raggiungere gli Stati Uniti, l’Europa e l’Asia. “Si tratta di rotte tracciate molti anni fa, potrebbero essere facilmente smantellate. Però non c’è la volontà di farlo”, dice la nostra fonte.

“La polizia sa che da anni nel mercato orientale si vendono illegalmente animali. E il ministero sa che tutte le specie a rischio finiscono lì. Non prendono provvedimenti perché non gli interessa”, aggiunge la biologa.

Il traffico di animali selvatici, secondo la fonte del ministero che ha accettato di parlare a condizione di rimanere anonima, “è una catena in cui ognuno svolge una funzione specifica. Alcuni hanno convertito le loro attività per renderle legali. La cosa preoccupante è che al governo non interessa saperne di più. In fin dei conti, è una fonte di profitto”.

In questa catena i cacciatori sono il primo anello. Molti non hanno alcun riguardo per l’ecosistema: se cercano un pappagallo abbattono un albero intero per prendere i piccoli nel nido, con conseguenze non solo per la specie bersaglio, ma per l’intera foresta. Se l’obiettivo sono le iguane nere, bruciano interi tratti di bosco solo per far uscire gli animali dalle loro tane e catturarli più facilmente. Il risultato sono incendi che vanno fuori controllo.

Spesso questi cacciatori, dice la biologa, sono persone che vivono nelle zone rurali vicino alle aree protette. Catturano i piccoli e li tengono in cattività finché non ne hanno accumulati abbastanza. A quel punto li vendono a un primo compratore.

Cebi cappuccini (Ger Bosma, Getty Images)

Il secondo anello sono i trafficanti locali. “Loro abitano nelle città vicine alle aree protette. Personalmente ne ho individuati diversi a San Carlos, nel dipartimento meridionale di Río San Juan”, spiega la biologa. “Lì c’è la riserva Indio Maíz, dove vivono le are verdi e scarlatte, che sono molto richieste sul mercato nero”.

Il principale responsabile

I trafficanti locali gestiscono grandi quantità di animali, che restano in gabbie sovraffollate anche per giorni. Nello stesso spazio finiscono pappagalli, are, cervi, tartarughe, serpenti e iguane nere. Nel frattempo i trafficanti si rivolgono ai loro contatti per la vendita. È il momento più pericoloso per la fauna selvatica.

“Quando gli animali passano una settimana in quelle condizioni rischiano di morire per disidratazione, per le ferite riportate, la mancanza di nutrimento adeguato o per lo stress. Il trafficante locale è il principale responsabile”, dice la biologa.

Circa cinque giorni dopo la cattura, gli esemplari sopravvissuti sono venduti al terzo anello della catena: persone come René, che da anni sono in contatto con i trafficanti locali per ottenere gli animali e piazzarli sul mercato. Di solito René lavora per clienti nazionali, ma ci sono altri che ricevono richieste dall’estero. Il trafficante locale si occupa del trasporto fino alla destinazione, il mercato orientale della capitale o una zona di confine con l’Honduras, la Costa Rica o El Salvador.

“È raro che gli animali selvatici restino in America Centrale. Secondo le nostre informazioni finiscono negli Stati Uniti, in Europa o in Asia”, dice la fonte del ministero dell’ambiente. In Nicaragua il mercato è sostenuto da tutti quelli che vogliono avere una coppia di conuri del Pacifico, di tucani o un’ara per abbellire il giardino. Prima di arrivare nelle loro case, queste specie possono trascorrere anche venti giorni in gabbie condivise con altri animali.

In mancanza di un compratore, gli animali selvatici passano nelle mani di altri venditori che li offrono ai semafori di Managua o in mercati più piccoli. A causa dello stress legato alla cattura e alle condizioni di vita nelle gabbie, molti esemplari muoiono poco dopo essere stati comprati.

“Le persone non se ne rendono conto, ma il quarto anello della catena sono proprio loro, che comprano la fauna selvatica al mercato di Managua o ai semafori. I cacciatori continuano a catturare piccoli per soddisfare la domanda di alcune specie”, dice la biologa.

Quelle più colpite sono le amazzoni nucagialla, i parrocchetti, i conuri del Pacifico, i boa constrictor, gli ocelotti, i cebi cappuccini, le tartarughe e le iguane nere.

“Per ogni pappagallo che arriva in una casa, almeno cinque muoiono prima”, afferma. “La gente non capisce che, decidendo di prendere un pappagallo o un cebo cappuccino, alimenta un mercato che contribuisce a togliere altri animali selvatici dai loro habitat”. Tartarughe, pappagalli, are e gli altri animali della fauna nicaraguense dovrebbero vivere nel loro habitat, non rinchiusi in un cortile di una casa a Managua.

Alcuni cacciatori preferiscono non rivolgersi agli intermediari: vendono le prede direttamente per strada e guadagnano di più. Divergentes ha parlato con uno di loro. Durante un viaggio verso Ciudad Darío, nel dipartimento di Matagalpa, abbiamo trovato almeno cinque bancarelle sul ciglio della strada che esponevano uccelli, rettili e mammiferi. Un uomo offriva un’ara verde adulta al prezzo di circa mille euro. Vendeva anche una coppia di giovani tucani per 235 euro. Sulla sua spalla c’era un cebo cappuccino, che aveva venduto da poco. L’ara verde, secondo il cacciatore, veniva da un villaggio vicino all’Honduras. “È cara perché qui non se ne trovano quasi più. Sono molto poche. Ma possiamo metterci d’accordo sul prezzo”, ci ha detto. “Ho anche un cervo catturato in montagna, potete prenderlo subito”, ha aggiunto.

Nelle vicinanze si trovano le riserve naturali di Apante, Cerro Arenal, Cerro Frío-La Cumplida e Salto Río Yasica. È probabile che gli animali siano stati catturati in questi ecosistemi.

La legge 559 sui crimini ambientali prevede che la polizia, la procura e il ministero dell’ambiente intervengano per arrestare e multare le persone che commettono reati ambientali, come il commercio di specie in via di estinzione. Ma nessuno la rispetta.

“Ogni tanto la polizia e il ministero dell’ambiente decidono di fare un’azione di facciata e sequestrano un po’ di animali. Ma il giorno dopo i cacciatori tornano a vendere cebi cappuccini, pappagalli, are, cervi. Manca una politica seria per mettere fine al traffico di animali, che avviene sotto gli occhi di tutti”, dice la biologa.

Nelle bancarelle illegali si possono fare anche delle richieste. Un cacciatore che ci ha offerto una coppia di canarini ci ha spiegato che avrebbe potuto procurarci anche un ocelotto, bastava scrivergli o telefonargli.

Un cacciatore che ci ha offerto una coppia di canarini ci ha spiegato che avrebbe potuto procurarci anche un ocelotto, bastava telefonargli

Grandi profitti

Oltre al traffico illegale della fauna selvatica, i difensori dell’ambiente puntano il dito contro un settore regolamentato dal governo sandinista di Managua: gli allevamenti zoologici. L’obiettivo di queste attività è “preservare” la natura attraverso la riproduzione di animali esotici in cattività ed esportarli all’estero per generare reddito.

Le istituzioni responsabili della promozione e del controllo di queste attività sono il ministero dell’ambiente e dell’economia. In Nicaragua si tengono corsi e congressi per formare nuovi imprenditori del settore. Anche se è tutto legale, la principale critica mossa dagli attivisti consultati da Divergentes è la mancanza di trasparenza sul funzionamento delle aziende e sui loro profitti.

Per esportare questo tipo di animali serve l’autorizzazione di un ufficio del ministero dell’ambiente che si occupa del servizio Cites, la convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione, diretto da René Salvador Castellón.

In una nota pubblicata su 19 Digital, un sito di notizie di proprietà del presidente Daniel Ortega e della moglie e vicepresidente Rosario Murillo, la ministra dell’economia Justa Pérez ha riferito che in Nicaragua ci sono più di duecento allevamenti zoologici certificati che si occupano della produzione, del mantenimento e della vendita di animali selvatici.

“Siamo felici dei profitti generati dall’esportazione di specie allevate in cattività nel rispetto delle norme e delle leggi”, ha detto Pérez

Un’analisi dell’associazione dei produttori ed esportatori del Nicaragua ha specificato che, nel 2021, la prima destinazione degli esemplari selvatici esportati dal Nicaragua erano gli Stati Uniti, seguiti dalla Cina e dalla Spagna. La lista comprendeva anche il Giappone, il Canada, l’Italia, la Germania, i Paesi Bassi, il Guatemala, il Messico, il Regno Unito e Taiwan. Ci sono allevamenti che rispettano tutte le normative, liberando una parte degli animali ed esportandone un’altra, in modo da generare profitti e mantenere un certo equilibrio negli ecosistemi. Tuttavia ci sono molti altri allevamenti, secondo alcune associazioni per la difesa dell’ambiente, che hanno il permesso del governo ma non lavorano secondo le norme previste.

“Queste aziende comprano animali selvatici e li esportano. A volte rimpiazzano gli esemplari che muoiono prima di essere venduti con altri provenienti dalla foresta. È tutto illegale perché non rispettano l’obiettivo principale e il ministero non se ne occupa”, spiega la biologa.

Secondo la fonte del ministero, c’è un ordine non scritto delle massime autorità del regime sandinista, che impone di promuovere gli allevamenti zoologici per aumentare le esportazioni e i profitti derivati dalla vendita di animali selvatici.

Secondo i dati pubblicati dal Centro per le esportazioni, nei primi sei mesi del 2021 il Nicaragua ha esportato esemplari selvatici per un valore di circa 420mila euro. “In soli sei mesi ci siamo avvicinati ai 440mila euro fatturati nel 2020”, commenta la fonte del ministero.

Nel 2019 Sumaya Castillo, all’epoca ministra dell’ambiente, dichiarò a un giornale vicino al governo che i profitti delle esportazioni di flora e fauna selvatiche potevano superare nel complesso i quindici milioni di dollari.

“E qui c’è il primo buco nero. Si pubblicano delle cifre, ma non esistono informazioni dettagliate o affidabili sul funzionamento di questi allevamenti e su quanti animali nascono in cattività. Ci potrebbero essere degli accordi sottobanco, come succede nel settore del legname, per concedere permessi in cambio di favori, un atteggiamento tipico di questa amministrazione”, dice la biologa.

Abbiamo chiamato l’ufficio del ministero che si occupa delle esportazioni per chiedere un commento. Non abbiamo ricevuto risposte. ◆ fr

Divergentes è un sito indipendente nicaraguense. Molti giornalisti, a causa delle minacce e delle ritorsioni del governo autoritario del presidente Daniel Ortega, sono andati in esilio. Chi è rimasto nel paese per precauzione non firma gli articoli, come in questo caso. Per lo stesso motivo le fonti sono protette dall’anonimato. Inoltre il governo non fornisce dati e informazioni, e censura la stampa.

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Questo articolo è uscito sul numero 1503 di Internazionale, a pagina 60. Compra questo numero | Abbonati