Incontrai Binyavanga Wainaina su internet anni fa, quando conoscere le persone online era ancora una novità. Successe su un sito di scrittori statunitensi. “Hai letto l’altro africano in questo sito?”, mi scrisse qualcuno. Così mi misi a cercare l’altro africano.

Lui era keniano. Leggemmo l’uno i lavori dell’altra. Forse intuii, già allora, che sarebbe diventato non solo un caro amico ma anche una sorta di partner impossibile da definire con precisione: lettore, collaboratore, compagno di viaggi letterari. Le nostre sensibilità erano diverse. Spesso eravamo in disaccordo e discutevamo ferocemente, ma non ho mai ricevuto commenti o osservazioni che rispettavo come le sue.

La letteratura era il suo dio. Nutriva la sua curiosità luminosa, vagabonda. Si considerava un praticante immeritevole. “Non ho ancora trovato la lingua”, mi disse una volta parlando di un pezzo che voleva scrivere da anni. Scrivere per lui era un tormento, e le sue email tormentate erano esempi di scrittura squisiti. Ammiravo le sue frasi, come sembravano fluttuare sulla pagina. Ammiravo il suo stile tortuoso, la sua insofferenza per ogni forma di costrizione, la sua disponibilità a perdere se serviva per trovare. E perdere cosa? La consuetudine, la tiepida sicurezza, le regole. La sua scrittura era piena di coraggio che lui non avrebbe mai chiamato coraggio, e di una specie d’integrità emotiva portata con grande leggerezza.

Amava l’Africa, in un modo che capiva intuitivamente e intimamente il suo splendore e la sua prostrazione. Questo amore contava, perché era alla base di tanto di quel che scriveva. Dal momento che le sue gioie più pure erano letterarie, credeva in ciò che la letteratura può fare, in quanto arte ma anche in quanto storia, e come balsamo per alleviare le ferite africane. Scoprì, nella sua infinita ricerca, storie del Ghana, dello Zimbabwe e del Sudan, storie di dignità, scambi e relazioni, e me ne parlava deliziandomi con un piacere quasi infantile e anche con tristezza per quanto fossero sconosciute queste storie. Voleva scriverle tutte, e sapeva che non ci sarebbe riuscito. A volte sembrava che avesse un bisogno disperato di affrettare l’Africa verso la gloria che l’attendeva.

Mi ha insegnato tanto, come persona e come scrittore. Il suo umorismo e la sua malizia, il suo brio, la sua generosità, il suo ottimismo, la sua gentilezza, la sua sbalorditiva intelligenza, le sue contraddizioni, la sua vulnerabilità e la sua dolente umanità. È uno degli spiriti più grandi che abbia mai conosciuto. Era una di quelle rare persone dotate di una complessità eccezionale, così difficile da esprimere che per descriverla non riesco a evitare un linguaggio noioso: era un originale. ◆ gc

Chimamanda Ngozi Adichie è una scrittrice nigeriana. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è Quella cosa intorno al collo (Einaudi 2022). Questo articolo è l’introduzione di How to write about Africa (Hamish Hamilton 2022), una raccolta dello scrittore keniano Binyavanga Wainaina (1971-2019), a lungo collaboratore di Internazionale.

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Questo articolo è uscito sul numero 1496 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati