Alcuni osservatori attenti lo avevano detto: Yorgos Lan­thi­mos non va mai via da un festival a mani vuote. Era successo con Dogtooth, premio Un certain regard a Cannes nel 2009, con La favorita, gran premio della giuria a Venezia nel 2018 e con The lobster, premio della giuria a Cannes nel 2015. Ma questa volta per Lanthimos è la consacrazione assoluta. Alla fine dell’80a edizione della Mostra del cinema di Venezia, il regista greco ha ricevuto, a cinquant’anni, il Leone d’oro per il suo ottavo film, Povere creature!, che uscirà nel gennaio 2024.

Probabilmente la giuria presieduta da Damien Chazelle è rimasta sedotta dalla fervida immaginazione di questo film, adattato dal libro dello scozzese Alasdair Gray, pubblicato nel 1992. Stravagante come Lanthimos, Povere creature! rivisita diversi miti (Pigmalione, Frankenstein e altri) attraverso un prisma femminista e brillante. La protagonista, Bella, interpretata da Emma Stone, era ancora nella pancia della madre quando quest’ultima si è suicidata, così un dottore un po’ pazzo (Willem Dafoe) ha inserito il cervello del bebè nel corpo rianimato della madre.

In sintonia con i tempi

A partire da questa idea Lanthimos immagina il percorso di una creatura che cresce in un mondo particolare, senza barriere morali, e si chiede cosa farebbe una donna se potesse vivere la vita che vuole. Bella non fa caso ai pregiudizi, affronta mille avventure e adora il sesso. Emma Stone, che vinse una Coppa Volpi (e un Oscar) per La la land (2016), proprio di Chazelle, offre una prestazione incredibile, trasgressiva, in un film in sintonia con la nostra epoca, di cui si può forse criticare l’estetica molto appariscente.

In ogni caso Povere creature! non poteva sperare in un lancio migliore in vista dei prossimi Oscar. Ma anche le altre opere premiate meritano attenzione. Con un gesto politico la giuria ha riconosciuto il valore di due film sulla tragedia dei migranti. Matteo Garrone ha ricevuto il Leone d’argento per la regia con Io capitano, che segue il destino di due giovani senegalesi decisi a sfidare la sorte per venire in Europa (l’attore protagonista Seydou Sarr ha ricevuto il premio Marcello Mastroianni per il miglior attore emergente).

La polacca Agnieszka Holland ha invece ottenuto il Premio speciale della giuria con il suo intenso film in bianco e nero Green border, quasi una docufiction che segue la tragedia di una famiglia siriana intrappolata al confine tra Polonia e Bielorussia. Attraverso le figure di una guardia di frontiera e di un’attivista, la regista traccia un quadro preciso e implacabile del cinismo politico e dei suoi effetti devastanti sulla polizia di frontiera, cercando di cogliere possibili sentimenti di rivolta e di umanità. Il ministro della giustizia polacco Zbigniew Ziobro ha reagito paragonando _Green border _alla propaganda nazista, come ai tempi in cui “i tedeschi mostravano i polacchi come banditi e assassini”. Il Premio speciale della giuria rappresenta quindi una sorta di dichiarazione in sostegno alla regista, che vuole portare in tribunale il ministro.

Io capitano (Greta De Lazzaris)

Uno dei più bei film di questa edizione, Evil does not exist di Ryūsuke Hamaguchi, ha vinto il Gran premio della giuria. Dopo Drive my car – miglior sceneggiatura a Cannes nel 2021 – il regista giapponese punta la macchina da presa sugli alberi di un paesino. Lì gli abitanti vivono in comunione con la natura, finché scoprono l’esistenza di un progetto immobiliare destinato ad accogliere turisti, che rompe il fragile equilibrio della comunità. Si avvia così un dibattito con i finanziatori del progetto, ma nel silenzio di un’azzurra mattina il film di Hamaguchi prende una via diversa, quella del western. Il film fa trattenere il respiro, e non si sono mai visti titoli di testa e di coda così integrati con la storia. Inoltre, come vedremo più avanti, _Evil does not exist _solleva anche degli appassionanti interrogativi sulla scrittura.

Non si può dire lo stesso dell’ultimo lavoro di Pablo Larraín, El conde, premio per la sceneggiatura, unico riconoscimento a Netflix, che in questa edizione era presente con ben cinque film. Questa satira horror resuscita l’ex dittatore Augusto Pinochet nelle vesti di un vampiro, ma fa fatica ad arrivare alla fine.

Che dire dei vincitori di questa edizione? La giuria ha indubbiamente saputo scegliere i rari film all’altezza, anche se sono stati dimenticati due dei più coraggiosi, cioè _Ferrari _di Michael Mann e _La bête _di Bertrand Bonello, opera futurista con un’affascinante coppia di attori senza età, Léa Seydoux e George MacKay.

Ridiamoci sopra

Un’edizione non eccezionale, quindi, durante la quale in più di un’occasione è mancato l’elemento artistico. Inoltre la presenza di tre registi accusati di violenza sessuale – Luc Besson, Roman Polanski e Woody Allen – ha mandato un segnale difficile da interpretare. Spesso, soprattutto rispetto ai film in concorso, abbiamo alzato gli occhi al cielo di fronte a opere calibrate per un determinato pubblico. Per esempio _Priscilla _di Sofia Coppola, film tratto dal libro autobiografico di Priscilla Presley, che ha permesso all’attrice Cailee Spaeny di vincere come miglior attrice. Di fatto la ragazza vive in una prigione dorata, mentre Elvis fa follie in tournée e mente spudoratamente. Passata la prima mezz’ora il film comincia a ripetersi, suscitando indignazione. Dai Elvis, non si fa così, cattivo Elvis.

E che dire dell’indigesto _Memory _di Michel Franco, che si avventura sul delicato terreno della patologia, il tutto accompagnato da un trauma infantile? Un uomo affetto da demenza precoce, interpretato bene da Peter Sarsgaard (premio per la migliore interpretazione maschile), incontra un’operatrice sociale, ex alcolizzata, interpretata da Jessica Chastain, dal volto senza una ruga. Di fatto il film è un’ode all’eterna giovinezza. Insomma, meglio riderci sopra.

 E comunque a Venezia, almeno in due occasioni, abbiamo riso di gusto con dei film fuori concorso. La prima con Hit man di Richard Linklater, una folle storia di un falso killer improbabile (Glen Powell, bravissimo), ha il suo punto di forza in una sceneggiatura agile e ingegnosa, che mescola elementi romantici e intrigo poliziesco. E poi c’è Daaaaaali! Il nuovo film di Quentin Dupieux, dopo che con il precedente Yannick aveva registrato un notevole successo di pubblico. In Daaaaaali! ci sono tante “a” quanti sono gli attori che incarnano il pittore catalano (1904-1989). E si può interpretare questa fantasia come una satira dell’artista pieno di sé, che si crede al di sopra di tutto. L’uomo fa impazzire una giornalista (Anaïs Demoustier) che cerca d’intervistarlo. E accarezza spudoratamente il seno generoso della truccatrice, che cerca di minimizzare l’incidente: “È un artista…”. Proprio quello che ci serviva per mandare giù il boccone amaro. ◆ adr

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Questo articolo è uscito sul numero 1529 di Internazionale, a pagina 89. Compra questo numero | Abbonati