Cultura Suoni
The age of pleasure
Janelle Monáe (Mason Rose)

Nella sua carriera Janelle Monáe ha sempre interpretato dei ruoli. Ha fatto musica seguendo un concetto un po’ confuso di fantascienza distopica e rilasciando interviste nei panni dell’androide Cindi Mayweather. Poi ha conquistato visibilità recitando in vari film e all’ultimo Met Gala è arrivata sul red carpet con un abito che veniva smontato dai suoi assistenti. Viene da dire che con il suo quarto album continua a spogliarsi, e le piace. In queste nuove canzoni si mostra eccitata e si guarda spesso allo specchio. A un certo punto arriva perfino Grace Jones a sussurrare in un francese sexy: ascoltandole insieme, avrete l’impressione di essere troppo vestiti. I dischi precedenti di Monáe avevano dato prova di una certa versatilità tra Prince, James Brown e un soul elettronico. Ma The age of pleasure è il suo primo disco che suona veramente compatto. La cantante ha dichiarato di avere testato queste canzoni in varie feste tra amici e sono state promosse solo quelle che hanno funzionato bene. I più bacchettoni forse storceranno il naso per alcuni testi, ma per tutti gli altri, posso assicurarvi che questi brani funzioneranno anche ai vostri party. Il suono giusto per l’estate è qui.
David Smyth, Evening Standard

Jarak qaribak
Dudu Tassa e Jonny Greenwood (Shin Katan)

Il titolo Jarak qaribak si traduce più o meno come “il tuo vicino è tuo amico”. Ed è questa generosità di spirito a sostenere il disco collaborativo di Dudu Tassa e Jonny Green­wood. Tassa ha dichiarato che il modo di suonare del chitarrista dei Radiohead rappresenta “tutto quello che non so fare”. Per Green­wood, invece, Tassa è un moderno interprete del canzoniere mediorientale. Negli ultimi anni il gruppo del musicista israeliano, Dudu Tassa & the Kuwaitis, ha modernizzato gli standard del folk iracheno, e il precedente lavoro di Green­wood con il collettivo Rajasthan Express aveva reimmaginato la musica indiana attraverso drum machine e voci sufi con risultati interessanti. La collaborazione in Jarak qaribak funziona bene e porta nuova linfa a canzoni d’amore tradizionali provenienti da luoghi come l’Egitto, il Marocco, l’Algeria e la Giordania. Il disco nasconde molte gemme: in Djit nishrab spicca Ahmed Doma, la cui voce danza su archi glitch e apre uno spazio per percussioni più frenetiche, mentre in Taq ou-dub spiccano le drum machine. Green­wood ha spiegato che lui e Tassa, mentre lavoravano al disco, cercavano di “immaginare cosa avrebbero fatto i Kraftwerk se fossero stati al Cairo negli anni settanta”. Jarak qaribak è emblematico di quella visione.
Siobhán Kane, The Irish Times

Respighi: Gli uccelli; Antiche danze ed arie

La serie di dischi dedicati da John Neschling a Ottorino Respighi si sta imponendo come un punto di riferimento, soprattutto nei pezzi meno celebri. Eravamo curiosi di sentire come il direttore d’orchestra brasiliano avrebbe piegato il suo temperamento all’arte del pastiche e della ricostruzione manierista delle opere di questo album. Esaltata da una presa di suono spaziosissima, la risposta è chiara: Nesch­ling coniuga finezza da merlettaio, vita ritmica inarrestabile, sensibilità armonica e precisione dei dettagli. E così supera la piacevolezza epidermica di queste partiture per approfondirne la forza espressiva. I colori spuntano da tutte le parti, illuminando una scienza della strumentazione e un’immaginazione che in questo terreno neoclassico non hanno niente da invidiare a quelle di Strauss o Stravinskij. Ogni episodio è sempre molto caratterizzato e ricco di vita interiore. Negli Uccelli abbiamo raramente sentito una Colomba più evocativa, e il flauto dell’Usignuolo e del Cucù emerge libero da un tessuto orchestrale che evoca la foresta del Sigfrido wagneriano. Le tre suites delle Antiche danze ed arie evitano il neo­classicismo incipriato, diventando un esercizio di stile che si trasforma in un’incarnazione vivissima.
Rémy Louis, Diapason

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1516 - 16 giugno 2023

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