Cultura Suoni
1989 (Taylor’s version)
Taylor Swift (Beth Garrabrant)

L’epica pop massimalista di 1989 risale a un periodo dell’universo di Taylor Swift molto lontano da quello di oggi. Era il 2014 e Spotify fu la prima multinazionale a subire l’ira divina della musicista statunitense, che tolse il suo catalogo dal servizio di streaming per contestarne la politica sui diritti economici degli artisti. Poi uscì il disco che trasformò Swift da ottima artista pop country a grande industria.

La perfezione raggiunta da 1989, grazie anche alla produzione dello svedese Max Martin (responsabile anche di …Baby one more time di Britney Spears), significava semplicemente che quello sarebbe stato l’album più difficile da replicare. Nonostante questo anche 1989 è stato riregistrato e ripubblicato, come altri tre dei suoi primi lavori. In questa nuova versione, gli ormai abituali produttori Christopher Rowe e Jack Antonoff non fanno decollare le tracce che nel 2014 avevano giovato del tocco di Martin (tra cui Style e New romantics), mentre quelle che non aveva prodotto lui sono sicuramente migliorate (come Out of the woods o Welcome to New York). Un altro aspetto negativo è la voce: se le versioni aggiornate degli altri dischi di Taylor Swift avevano beneficiato della maturità dell’artista, qui si punta solo a dei miglioramenti tecnici, perdendo l’energia dell’originale. È un’operazione non del tutto riuscita, che serve a ricordarci l’intoccabile grandezza di 1989.
Adam White, The Independent

The roaring forty (1983-2023)
Billy Bragg (Pete Dunwell)

Nella sua storia della musica di protesta, 33 revolutions per minute, il giornalista Dorian Lynskey dice: “Se chiedi a qualcuno di nominare un cantante di protesta britannico la risposta è invariabilmente: Billy Bragg”. Il cantautore è da anni un punto fisso della musica alternativa e della politica di sinistra, ed è bello ritrovarlo in questa compilation che celebra i quarant’anni della sua carriera solista (la versione super deluxe è di 14 cd, ma ce n’è anche una da due). Bragg è popolare e apprezzato dalla critica, ma ha avuto successo negli anni ottanta, e gli artisti legati a un momento storico preciso di solito non riescono a trascenderlo. I suoi primi due album, Life’s a riot with spy vs spy (1983) e Brewing up (1984), riflettevano un mondo monocromatico, oggi in gran parte dimenticato grazie alla nostalgia che domina la cultura pop. Eppure il suo lavoro è sempre attuale e The roaring forty fa capire perché. Il suono si è sempre arricchito e presenta un grande eclettismo musicale. Sorge il dubbio che la sua vera forza non sia nella politica. Bragg è anche riuscito nella rara impresa d’invecchiare insieme al suo pubblico, onesto nel sentirsi sempre più disorientato dal mondo moderno e aggrappato a idee “comode come una poltrona”. Vale sempre la pena di applaudirlo.
Alexis Petridis, The Guardian

Fantasia. Musiche di Bach, Liszt, Berg, Busoni

Il programma di Igor Levit comincia con la trascrizione di Aleksandr Siloti dell’Aria dalla suite per orchestra n. 3 di Bach, un momento di quiete presto dissipata da un’esecuzione sorprendentemente aspra della Fantasia cromatica e fuga. Lo stesso rigore intellettuale è alla base della sua sonata in si minore di Liszt: c’è qualcosa di terrificante nei fortissimo dei suoi accordi. Con la trascrizione lisztiana di Doppelgänger di Schubert l’intensità non diminuisce, come nel frammento brahmsiano del Klavierstück in si minore e nella sonata op. 1 di Berg. Debitrice di Bach e Liszt, la Fantasia contrappuntistica di Busoni può essere un’opera impenetrabile. L’approccio di Levit è lucido e poco sentimentale, mentre l’autore spinge le possibilità della fuga in un territorio inesplorato. È un risultato straordinario. Solo alla fine la Nuit de Noël ci concede qualche minuto di tregua.
Rebecca Franks, Bbc Music Magazine

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1536 - 3 novembre 2023

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