L’undicesimo album dei Mogwai comincia con un arpeggio elettronico avvolto nel riverbero, al di sotto del quale si sviluppano altri suoni più scuri. L’effetto è allo stesso tempo inquietante e cinematografico, forse perché il suono somiglia alle colonne sonore di John Carpenter. È un’apertura adeguatamente grandiosa per The bad fire, un album che coincide con il trentesimo anniversario della band scozzese. Se siete abbastanza vecchi da ricordare i Mogwai come adolescenti in tuta ai margini dell’alt-rock degli anni novanta – con le loro interviste oziose e le magliette con la scritta “Blur Are Shite” (i Blur sono una merda) – l’idea di vederli come una band solida, i cui album ora entrano in classifica sembra strana. Ma sono diventati un’istituzione, i più longevi esponenti britannici di quello che potremmo chiamare post-rock, nonostante l’avversione della band per questo termine. Il titolo di The bad fire, termine scozzese che indica l’inferno, è eloquente. È stato registrato in uno stato di agitazione personale, a causa di una malattia che ha messo in pericolo la vita della figlia di Barry Burns (nel frattempo si è ripresa). I Mogwai più giovani avrebbero incanalato queste emozioni in un rumore feroce, ma questo album si poggia più sulla melodia. Forse questo ci dice qualcosa sulla maturità che hanno raggiunto. O forse dice qualcosa sul fatto che a una certa età si considera la musica come una sorta di santuario. The bad fire è una delizia, una situazione cupa trasformata in musica aggraziata e perfino ottimista.
Alexis Petridis, The Guardian


E se vi dicessi che potete cominciare il vostro anno con un album che contiene l’anima di un’artista alle prese con la crescita, il cambiamento, la fine del mondo e che comunque vi fa ballare? Ecco a voi Día, il secondo lavoro di Ela Minus, musicista di origine colombiana che suonava la batteria in gruppi punk di Bogotá per poi studiare percussioni jazz ed elettronica al Berklee di Boston. Con il debutto del 2020 Acts of rebellion si è guadagnata la stima della critica e una fedele schiera di fan. Al nuovo disco ci ha lavorato per tre anni e in tre paesi diversi. Nei testi ha capito di volere andare più a fondo, di esporsi con le emozioni suscitate dalla piega presa dal nostro mondo. Senza rinunciare a momenti pop irresistibili, ci offre composizioni complesse e idiosincratiche. Il trittico composto da Onwards, And e Upwards è un trionfo, seguito dal finale di Combat, un crescendo che sale fino al paradiso. Día è un passo in avanti enorme per Minus e rende le sue canzoni capaci di stare bene nei festival come nei club. È uno dei primi dischi del 2025 da meritare davvero attenzione.
Broc, Everything Is Noise
Figlia dell’architetto di corte degli Este a Ferrara e diventata monaca a 14 anni, nel 1593 Vittoria Aleotti pubblicò la Ghirlanda de madrigali, la sua prima opera profana. È una raccolta emblematica della musica moderna della fine del rinascimento. All’epoca Ferrara era un centro cardinale dell’avanguardia musicale anche grazie al Concerto delle dame, il gruppo femminile della duchessa Margherita Gonzaga che era stato formato da Luzzasco Luzzaschi (qualche suo pezzo è qui un buon complemento al programma). Raffaella Aleotti fu allo stesso tempo testimone ed erede di quel momento glorioso della storia musicale italiana: ne danno prova i sapienti contrappunti che offre ai testi di Torquato Tasso e Battista Guarini, altre due glorie ferraresi. La Ghirlanda trova in Christoph Dittmar e nel suo ensemble degli interpreti scrupolosi e ispirati: sei cantanti che si combinano per formare quartetti adatti a ciascun madrigale, mantenendo in perfetto equilibrio la polifonia. Liuto e clavicembalo danno alla musica un supporto che non oscura mai né il contrappunto né le parole.
Denis Morrier, Diapason
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