L’irrealtà come realtà proiettata è lo spirito in cui opera Pathemata, esplorando le ampie e intime conseguenze del dolore cronico e acuto sulle nostre vite e sulle nostre esperienze del tempo e della materia. Nelson descrive l’impatto che il dolore ha su di noi attraverso piccole scene svincolate da qualunque progressione narrativa lineare. Queste vignette si accumulano e si confondono tra ricordi, sogno, presente e passato. Momenti di sensibilità particolarmente accentuata, così come il movimento attraverso scene diverse, descrivono il disorientamento e l’irrealtà che possono accompagnare l’esperienza di un dolore acuto. La narrazione già frammentaria di Pathemata è continuamente disturbata da sogni, descrizioni di un mondo plasmato dalla pandemia, dalle difficoltà del matrimonio e dalla paura di cosa fare di fronte all’angoscia di uno sconosciuto o di una persona cara. Quest’attenta esplorazione della sofferenza è una profonda riflessione sulla vulnerabilità, la perseveranza e su come cerchiamo di entrare in contatto con gli altri dopo un trauma, un dolore e un lutto. Agile e sottile, la scrittura di Maggie Nelson è sensazionale nella sua nuda e cruda intensità. I fatti qui sono esperienze emotive: “Mentre ripercorro la mia vergogna – visibile, come sempre, sul mio volto – mi rendo conto che la magia non sta nella lavastoviglie, ma nel getto di sangue, nella mortificante abbondanza di narrazione”.
Godelieve de Bree, Chicago Review of Books
Quando Louise Michel – insegnante, anarchica e rivoluzionaria in esilio – arrivò a Londra dopo sette anni di esilio nel Pacifico meridionale, portò con sé cinque gatti. Fatti uscire dalla nave sotto i cappotti dei suoi compagni, i felini oceanici, esausti dal viaggio di diecimila miglia, si ripresero rapidamente quando gli fu presentata “un’enorme ciotola di latte” sotto l’occhio amorevole della padrona. Tornata a Parigi qualche anno dopo – con i gatti al seguito – Michel cercò di spiegare la sua attenzione per quei fragili animali. Portati dalla Nuova Caledonia, il suo luogo di esilio, in Francia, la sua terra di origine, i gatti rappresentavano per lei qualcosa di sfuggente, prezioso, istintivo. Le ricordavano casa, diceva. E sebbene Tre isole di William Atkins ruoti intorno al dolore dell’esilio, è l’idea di casa che muove i suoi protagonisti e li riporta, alla fine, al punto di partenza. L’esilio non è tanto un luogo quanto un processo, un movimento. Tutti e tre i protagonisti del libro – Louise Michel, l’antropologo russo Lev Shternberg e il deposto re africano Dinuzulu – scoprono che è un movimento che può durare tutta la vita. Come osserva Victor Hugo, una volta esuli, si rimane esuli per sempre. I tre protagonisti di Atkins però sfuggono a qualunque aspettativa: Shternberg inventa l’antropologia moderna; Dinuzulu reinventa la regalità. Michel va oltre e sogna un futuro in cui l’esilio, strumento di oppressione, possa diventare il seme della liberazione.
Madoc Cairns, The Guardian
Sebbene L’insieme delle parti dello scrittore sudafricano di origine croata Ivan Vladislaviċ sia in gran parte un libro su Johannesburg o Gauteng, questi quattro racconti lunghi potrebbero tranquillamente ambientarsi in qualsiasi città sudafricana di oggi. I protagonisti sono tutti uomini sensati e onesti che s’impegnano a lavorare nel Sudafrica del post-apartheid e cercano di trasformare la società che li circonda. C’è un uomo del ministero dell’interno che lavora ai nuovi moduli del censimento e prova a fare in modo che “parlino a tutti”; un ingegnere che si occupa di un progetto di edilizia popolare; un artista famoso e un uomo che affigge cartelloni pubblicitari per costruttori edili. In ogni storia si nota una preoccupazione per l’edilizia, per lo spazio urbano, per le persone in un ambiente costruito dall’uomo. Non possiamo non riconoscerci in questa ricerca di una casa, di un riparo, di uno spazio dove sentirci al sicuro. A un certo punto l’autore osserva: “I confini di Johannesburg si stanno allontanando, scivolando su crinali e valli incontaminate – dove la città sfuma momentaneamente nel veld, nuove atmosfere inimmaginabili si evolvono”.
The Mail & Guardian
I chiurli eschimesi sono stati decimati dai cacciatori nel corso della prima metà del novecento, una storia non certo nuova nel Nordamerica. Questa specie però è affascinante perché alcuni sparuti esemplari sopravvissuti sono occasionalmente avvistati in mezzo agli stormi di altri uccelli migratori. Questo piccolo volume illustrato è una ristampa di un classico del 1955 in cui il giornalista e naturalista canadese Fred Bodsworth immagina un anno nella vita dell’ultimo chiurlo eschimese sopravvissuto. E nel farlo ricostruisce il suo comportamento e il suo ambiente ecologico lungo una rotta migratoria che dall’estremo nord dell’America arriva all’estremo sud del continente. Particolarmente ben raccontato è l’incontro con un potenziale partner per l’accoppiamento che però non sopravvive. È un racconto dal punto di vista del volatile che si basa tutto sull’istinto ma, in aggiunta, Bodsworth cita, spesso alla lettera, all’inizio di ogni capitoletto, la letteratura scientifica. Il volume, illustrato da Abigail Rorer, si chiude con un epilogo in cui l’autore documenta gli avvisatamenti sparsi ma mai provati degli ultimi cinquant’anni.
Francis R. Cook, The Canadian Field-Naturalist (1996)
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