Han Shaogong, che ha lavorato nelle campagne cinesi durante la rivoluzione culturale, tra il 1966 e il 1976, ha scritto un eccentrico manuale su un villaggio dimenticato. In questo romanzo in forma di dizionario, le voci descrivono la provenienza delle espressioni locali. Il risultato è un collage di storie che vagamente si uniscono man mano che il lettore familiarizza con la logica bizzarra di Maqiao (“impossibile da trovare, quasi scomparso dalla mappa”). Durante il regno di Mao, la standardizzazione minacciava di smussare la variegata trama dei dialetti cinesi. Il lavoro di Han illustra le perdite di sfumature – così come gli esilaranti scontri – che hanno accompagnato il progetto. Ben lontano dall’idillio pastorale, Il dizionario di Maqiao racconta le abitudini violente degli abitanti dei villaggi, il sangue e il sudore che sono all’origine degli eufemismi locali. Il libro resiste ostinatamente all’analisi. Entrare nelle sue pagine è come attraversare un mondo di banditi e fantasmi, dove “rude” significa “carino” e la gente non muore, si “disperde”. I riferimenti incrociati abbondano, e lentamente il romanzo emerge come un unico grande idioma. Una meditazione sulle zone oscure del linguaggio e sulle microstorie sepolte nelle parole. Katherine Wolff, The New York Times
A tirare le fila di questo romanzo lunghissimo e intrigante è una storia d’amore, con sfumature di tragedia shakespeariana alla Romeo e Giulietta ma con uno scenario messicano contemporaneo: guerre tra i narcos, corruzione politica, ingiustizia sociale, razzismo, disuguaglianza, discriminazione, crisi economica, morti. L’ingrediente “cinematografico” che si coglie nelle pagine di Salvare il fuoco non è casuale: Guillermo Arriaga è lo sceneggiatore di film celebri come Amores perros, 21 grammi e Babel, una trilogia di narrazioni non lineari dove la vita e la morte appaiono come temi centrali. Lo stesso accade in questo romanzo. Marina, la protagonista, è una coreografa di classe agiata; ha un marito, tre figli, una casa, un autista, tate, cameriere. Eppure, c’è qualcosa che manca. Le sue coreografie, per esempio, mancano di fuoco. In preda alla sua angoscia esistenziale, finisce per mettere in scena una danza giocosa in una prigione, dove s’innamora perdutamente di un parricida e, per inciso, del rubacuori di questa storia: José Cuauhtémoc. L’amore è ricambiato ma le condizioni perché si concretizzi sono a dir poco avverse: lei è una brava ragazza, lui è un criminale – alto, biondo, con gli occhi chiari – condannato all’ergastolo. Ciononostante, accade di tutto. A un certo punto del romanzo arriva la domanda chiave: “Se la mia casa bruciasse e potessi salvare solo una cosa, cosa salverei? Il fuoco, il fuoco, il fuoco”. Paula Conde, Clarín
Mentre David Sibelius fa bollire le aragoste per la cena annuale offerta ai suoi studenti laureati al Boston institute of technology, sua figlia di dodici anni, Ada, lo osserva con un senso di presagio. “Non riusciva ad articolare cosa ci fosse di diverso nel suo contegno, ma questo scatenava in lei una profonda inquietudine”, scrive Liz Moore nel suo nuovo, avvincente romanzo. Ada scoprirà che il suo brillante ed enigmatico padre scienziato informatico è nelle prime fasi del morbo di Alzheimer. Più tardi nella stessa sera David, che ha ancora la presenza di spirito per capire che sta vacillando, dà ad Ada un floppy disc in una custodia di plastica bianca. Sul disco c’è una curiosa stringa di codice che Ada impiegherà più di vent’anni a decifrare. Sbloccherà oscuri segreti del passato di David e fornirà la chiave per il mondo invisibile. Ambientato negli anni ottanta, nel periodo pre-internet, il romanzo si muove agilmente tra i generi. È un affresco d’epoca ricco e convincente che cattura la vita quotidiana nel modesto quartiere di Dorchester, ma è anche un thriller cerebrale e avvincente, un romanzo su un codice che è anch’esso scritto in una sorta di codice. Attraversando il tempo, ci porta indietro nel Kansas negli anni venti, salta in avanti nella San Francisco del 2009, e poi illumina brevemente uno scorcio fantascientifico del futuro. Un romanzo elegante sull’identità e sull’alba dell’intelligenza artificiale, e insieme il ritratto interiore di una giovane donna tra mondi visibili e invisibili. Susan Coll, The Washington Post
L’avvocato è ancora un novellino quando il caso gli cade in grembo, negli anni settanta. Non sa opporsi alle astuzie dell’affascinante Irene, proprio come gli altri due uomini che lei tiene in pugno. Irene ha sposato il finanziere di successo Gundlach, ma fugge con il pittore Schwind incaricato dal marito di farle un ritratto. Gundlach si vendica infliggendo ripetutamente piccoli danni al ritratto e chiamando a ripararlo Schwind, che sprofonda sempre più nella rabbia e nell’inibizione creativa. Alla fine i rivali concludono un contratto immorale: la donna in cambio del quadro. Ma non hanno fatto i conti con la padrona di casa. L’avvocato – di cui non conosciamo il nome e che parla in prima persona – vede il quadro, un nudo che scende le scale, e s’innamora. Irene storce il naso a tutti e tre e si nasconde, insieme alle opere d’arte rubate. Poi presta il quadro perduto a una mostra dell’ormai famoso Schwind. Questo mette in moto tutti e tre, ormai abbastanza anziani. Ne segue un incontro tra gli antichi rivali, resi ancora più tronfi da una vita di successi. Una storia eccitante, vivace e spiritosa. Burkhard Müller, Süddeutsche Zeitung
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