“Mia madre è morta quando avevo otto anni e io sono morto quattro anni dopo”. Sembra un incipit molto cupo per un romanzo: i ricordi postumi di un orfano di Mosca che, nella sua breve vita, affronta violenza domestica e razzismo. Ma lo scrittore uzbeco esiliato Hamid Ismailov intreccia questa storia di miseria quotidiana a un’elegia luminosa per la Mosca del tardo periodo sovietico. Usa le stazioni della metropolitana della città, sontuose come palazzi, per costruire un memoir romanzato ispirato a episodi della sua stessa vita travagliata. Minacciato di essere arrestato perché il governo uzbeco considerava il suo giornalismo “inaccettabilmente democratico”, Ismailov fuggì da Tashkent all’inizio degli anni novanta e si stabilì infine a Londra, dove oggi lavora per la Bbc. Nel mezzo, da rifugiato, passò molti mesi a Mosca. Il figlio del sottosuolo esplora le complesse sfaccettature dell’identità russa, espresse in modi diversi nella musica, nell’arte o nell’architettura sovietica. Il narratore paragona la stazione Majakovskaja alla sinfonia n. 5 di Čajkovskij, mentre la sontuosa Kijevskaja gli ricorda “una figurina di Gžël o una miniatura laccata di Palekh… la vera essenza della vecchia Russia”. Canzoni, fiabe popolari, racconti inediti e versi poetici, scritti da Ismailov e da altri autori formano un mosaico scintillante come le decorazioni della metropolitana di Mosca. Mentre la società sovietica va in pezzi, i suoi frammenti diventano più grandi della somma delle parti.
Phoebe Taplin, The Guardian
Da più di quarant’anni l’autore olandese Cees Nooteboom vive in Spagna, nelle Baleari, a Minorca. In Pioggia rossa lo scrittore restituisce la sua immagine dell’isola – e questa differenza è essenziale, come spiega in uno degli intermezzi sulle sue primissime peregrinazioni isolane, nei primi anni cinquanta. Quando oggi Nooteboom sfoglia i vecchi diari di viaggio, ci ritrova un certo entusiasmo, ma “neanche un alito di talento”. Quello che non aveva ancora imparato, osserva, è che il racconto delle esperienze e delle impressioni prende vita solo quando entra in gioco l’immaginazione: anche quando tutto è “vero”, occorre trasformarlo, inventare qualcosa. La casa, il giardino e la cucina di Cees Nooteboom – lo scenario quotidiano su cui si posa il suo sguardo durante la scrittura – ci vengono mostrati ma non senza filtri. I suoi schizzi trasmettono, a una lettura superficiale, una grande spensieratezza: Nooteboom giardiniere che esplode in pura gioia quando la sua agave fiorisce (cosa che accade solo una volta ogni 25 anni); l’amico degli animali che, sentendo un tipico lamento acuto, corre fuori perché l’accoppiamento delle tartarughe è uno spettacolo eroico. Diverse osservazioni in Pioggia rossa sono così precise da sospendere per un attimo la transitorietà che domina ogni cosa. Anche se è un’illusione pensarlo, queste cose resteranno per sempre: la sabbia rossa del Sahara portata dalla pioggia sull’isola, le “falene grandi quanto un pollice” e la solitaria farfalla del vulcano.
Peters Arjan, De Volkskrant (2007)
Lev Sergeevič Termen è una figura realmente esistita, un inventore russo, ma in questo romanzo la sua voce è interamente frutto della fantasia dell’autore che riesce a dar vita a un’opera che sembra al tempo stesso classica (con echi di Dostoevskij e Solženicyn) e profondamente contemporanea. La narrazione attraversa decenni e paesi, ma mantiene una prospettiva intima grazie alla scrittura di Termen che, confinato su una nave, tiene una sorta di diario di bordo. In realtà racconta una vita che l’ha condotto dall’alta società statunitense precedente alla grande depressione nella prigioni di Stalin. Termen era arrivato in America per promuovere la sua invenzione: “Uno strumento musicale, uno strumento dell’aria”, il cui suono è controllato dal movimento delle mani e dalla loro vicinanza a un’antenna. Questo strumento era il theremin. La sua invenzione gli offrì grandi ricchezze, con le aziende che sognavano “un theremin in ogni casa”. Ma gli offrì anche l’opportunità di servire la sua patria come spia riluttante, con agenti russi che gestivano i suoi affari e ne monitoravano ogni mossa. L’ascesa di Stalin riportò l’inventore, prosperato sotto Lenin, nel suo paese come traditore e “povero in una terra dove credevo che la povertà fosse stata abolita”. L’eco delle balene è un romanzo storico che riesce a essere contemporaneamente fresco e senza tempo.
Kirkus Reviews
Zacharias è un pescatore e vive a Campo, in Camerun, probabilmente negli anni settanta; Zachary, suo nipote, psicologo, abita a Parigi. La scrittrice camerunese Hemley Boum intreccia le loro vicende, almeno nella finzione, perché i due non si conoscono. Entrambi appartengono a una stirpe maledetta di uomini in fuga: non sanno come vivere, anche se le loro donne gli danno la forza per farlo. Zacharias e Zachary vogliono credere alla propria innocenza, come chiunque. Hemley Boum fa cominciare e finire la loro storia alla foce del fiume Ntem, cornice e al tempo stesso metafora della narrazione. La prosa di Boum non smette mai di creare echi tra Zacharias e Zachary – come se volesse mostrare ai suoi personaggi che sono amati. È come un’aria di rumba congolese che attraversa le epoche. Hemley Boum ferma il tempo per cogliere il momento in cui le nostre esistenze vacillano, in un romanzo luminoso destinato a diventare un classico.
Gladys Marivat, Le Monde
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