Cultura Suoni
Little oblivions
Julien Baker (Bryan Schutmaat)

Nei suoi primi album Julien Baker ha abbinato la sua voce tremante, gli arrangiamenti delicati a temi come il disgusto di sé, la difficoltà a comunicare con gli altri e la solitudine. Nel suo nuovo disco, Little oblivions, affronta gli stessi argomenti ma con ancora più sicurezza, abbracciando sonorità sempre più indie-rock. Il brano di apertura dell’album, Hardline, comincia con un suono di organo che ricorda un film horror. “Comincia a chiedere perdono in anticipo per tutte le cose che distruggerò”, canta Baker. In seguito il brano prende una piega più folk, che fa pensare ad Angel Olsen e Pj Harvey. Phoebe Bridgers e Lucy Dacus invece contribuiscono al ritornello di Favor con i loro cori. Con Little oblivions Baker aggiorna il suo stile folk per adattarsi a un approccio più rock. Come A.A. Williams, Snail Mail e Soccer Mommy traduce il suo tono confessionale in canzoni coinvolgenti. Questo album è un passo avanti significativo.

John Amen, Slant

Distractions
Tindersticks (Christophe Agou)

I Tindersticks, quei romantici eternamente delusi di Notting­ham, hanno passato il 2020 in isolamento, creando il loro ventunesimo album (colonne sonore incluse). Come tutti noi, hanno lavorato osservando il distanziamento sociale. Niente più grandi arrangiamenti orchestrali, quindi, ma uno stile più minimalista che sembra reggersi solo su una tastiera Casio da pochi soldi e un campionatore per i loop vocali e strumentali. Eppure questo suono si adatta perfettamente ai loro pezzi un po’ tetri e claustrofobici. Distractions contiene tre cover, rispettivamente di Neil Young, Dory Previn e dei Television Personalities, oltre a qualche pezzo originale all’inizio e alla fine dell’album. You’ll have to scream louder dei Television Personalities è un gioiellino di cover, con un groove funky che avvicina sorprendentemente i Tindersticks a Nile Rodgers. Ci pensano i pezzi originali a farli ripiombare nelle loro tenebre: in particolare Tue-moi, una bella ballata al pianoforte che Stuart Staples canta in un francese dolente.

Guy Oddy, The Arts Desk

An overview on phenomenal nature

Appena il cielo sbiadisce nel rosa, un ammasso di luce rimane sospeso nell’aria. È solo un inganno dell’occhio o è un raduno di stelle sulla riva? Il nuovo album di Cassandra Jenkins vive in questo preciso momento, sospeso tra il reale e l’irreale. La cantautrice newyorchese ripensa completamente il proprio suono, creando un’iridescente odissea folk jazz, arricchita da dettagli che danno le vertigini. In sole sette tracce, il disco sembra vasto e compiuto, come se ne contenesse il doppio. Grazie alla vocalità pura di Jenkins e alla produzione impeccabile di Josh Kaufman, ascoltare questo album è un’esperienza intima: i suoni, così precisi e pacati, solleticano la superficie del cervello, in una danza di piccoli impulsi elettrici. Le tastiere, il sax e le chitarre si confondono come amebe in moto perpetuo. La scrittura dell’artista è cerebrale, lavora tra la mente e il cuore ma questo intellettualismo non è mai fastidioso, anzi rivela gli sforzi per parlare dell’inspiegabile. An overview on phenomenal nature vive nel caos delle idee; le storie si accatastano l’una sull’altra, gli uccelli volano, i vecchi amici tornano sotto nuove forme e l’esistenza diventa un groviglio sconcertante. In qualche modo, nei sette minuti e nove secondi di The ramble, il finale dell’album, Jenkins riesce a districarlo. Kaelen Bell, Exclaim

Skrjabin: mazurche

Quando si dice mazurche per piano si pensa a Chopin, però anche quelle di Aleksandr Skrjabin meritano la nostra attenzione. I pezzi dell’op. 3 colpiscono per il carattere, la fantasia, la dolce luminosità e la vivacità appassionata. Le mazurche dell’op. 25 non sono allo stesso livello. Peter Jablonski trova comunque sempre il tono giusto per renderle al meglio. Bertrand Boissard, Diapason

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1398 - 26 febbraio 2021
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