Kai Slater, chitarra e voce di questa band post-punk statunitense, produce anche la fanzine Hallogallo, ispirata da un pezzo dei Neu!. È fatta a mano e contiene l’energia di una giovane scena musicale “do it yourself” che arriva da Chicago. Il debutto dei Lifeguard è come Hallogallo: nonostante il metodo suoni familiare, alla fine è un disco che grazie alla convinzione e all’intensità risulta essenziale: questo è un raro album moderno che fa suonare l’indie-rock come una cosa importante per la vita. It will get worse comincia pigramente, ma il ritmo cambia presto, spinto da percussioni iperattive e una linea di basso semplice ma devastante. Questo trio non punta sul rumore fine a se stesso e sull’atonalità ma sui ganci melodici, che sembrano spuntare dal nulla. Un’altra questione è quanto siano bravi i Lifeguard a cantare gli “oh”, pronunciandoli con esperta nonchalance. Fanno intendere che non servono troppe parole se sai fare bene il suono di una vocale. Ripped and torn poteva durare più della sua mezz’ora ma invece distribuisce raffiche di rumore in tre intermezzi. È un album fatto con la stessa attenzione e cura di un adolescente davanti a una Risograph per stampare la sua rivista. Alex Robert Ross, Pitchfork

Ben Kelly, in arte Aboutface, ha fatto un viaggio lungo e faticoso nel nord del Perù: cinque ore in fuoristrada e altre quattro in barca sul Rio Santiago. La sua meta era Guayabal, un villaggio abitato dal popolo wampís, nella regione amazzonica. Anche se è stato accolto con gentilezza, i rapporti all’inizio erano tesi: non tutti gli indigeni erano sicuri di volergli concedere un accesso così ampio alla vita della comunità. Kelly aveva però un asso nella manica: aveva imparato a suonare la quena, flauto tradizionale peruviano. Condividere la musica con gli abitanti ha permesso di costruire la fiducia necessaria per registrare l’album collaborativo Los bosquesinos. I wampís, custodi ancestrali dell’Amazzonia da oltre settemila anni, affrontano oggi la minaccia dei cercatori d’oro. Kelly ha potuto lavorare con loro solo a patto che i wampís partecipassero come artisti, non come oggetti di studio. Hanno scelto i luoghi di registrazione, fornito suoni ambientali e strumenti. Il contributo più prezioso è stato il nampet, antica forma di canto mai registrata prima, che racconta la natura dal punto di vista degli animali. Ogni brano è costruito attorno a un nampet, dedicato a pappagalli, pesci, cavallette e falchi, con suoni raccolti nei rispettivi habitat. Los bosquesinos è un raro esempio di arte condivisa e offre uno sguardo profondo su un equilibrio fragile. Matthew Blackwell, Bandcamp
Il pianista austriaco Alfred Brendel è morto a Londra il 17 giugno. Aveva 94 anni. Questo album raccoglie materiale dal vivo e radiofonico. Brendel dice che “riproduce le mie intenzioni musicali in modo più fedele rispetto alle registrazioni in studio”: sono d’accordo. Le Variations sérieuses di Mendelssohn (1990) sono intense e timbricamente varie. La presa di suono leggermente distante contribuisce all’impatto quasi orchestrale delle due Elegie di Busoni (1997). Brendel non ha suonato molto Chopin e qui l’Andante spianato e Grande polonaise (1968) è virile e giocoso. Rispetto alle altre tre registrazioni di Brendel della sonata op. 101 di Beethoven, questa (1992) ha un movimento iniziale più veloce, fluido e sereno e un’articolazione più varia nel finale fugato. Il pezzo forte sono le Variazioni Diabelli (2001), che il pianista considera le migliori tra le sue quattro versioni pubblicate. Sono certamente le più spontanee per tempi, caratterizzazione e dinamica. Tecnicamente, le dita settantenni di Brendel funzionano a pieno regime, nonostante qualche piccolo segno di cedimento. Gli ammiratori ci troveranno molto da apprezzare. Jed Distler, ClassicsToday
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