Quando conosciamo Emelie, la narratrice occasionale della Colonia di Annika Norlin, lei è già abbondantemente esaurita. La vita moderna in città è diventata insostenibile. Un tempo era orgogliosa della sua affidabilità, sia nel lavoro sia nella vita sociale: “Prima restavo a lavorare fino a tardi, poi uscivo. Andavo alle partite di calcio, a teatro, alle feste, in palestra. Bevevo cocktail nei bar, correvo, m’iscrivevo a club del libro”. Ma l’iperattività ha lasciato il segno, e un giorno si ritrova incapace perfino di alzarsi dal letto. Così parte per la campagna del nord della Svezia, lancia il suo iPhone in un lago e si prepara a godersi il frastuono del silenzio. Ma Emelie non è sola. Poco dopo l’inizio del suo isolamento, scorge la colonia del titolo: un gruppo sorprendentemente eterogeneo di sette persone che mangiano, si lavano e cantano insieme. Scopriremo che sono lì da circa quindici anni. Ma il loro idillio fuori dagli schemi riuscirà a sopravvivere all’arrivo di un’estranea? La colonia è stato un caso editoriale e un best seller in Svezia ed è stato scritto da un’autrice che ha alle spalle una lunga carriera come pop star con la band Hello Saferide. La fuga e la ricerca di senso nella natura selvaggia è un grande topos americano e il richiamo a tanta letteratura statunitense, da Thoreau a Melville, è evidente, ma Norlin dedica così tanto tempo ai retroscena dei singoli personaggi che rimane poco spazio perché condividano una filosofia comune. Charles Arrowsmith, Los Angeles Times
Wellness, lo studio dello stato di salute di un matrimonio del ventunesimo secolo, presenta molte caratteristiche tipiche dei grandi romanzi sociali americani degli ultimi vent’anni, come quelli di Jonathan Franzen, Michael Chabon o Jennifer Egan. Jack ed Elizabeth si conoscono da studenti nella Chicago degli anni novanta. Vivono in edifici vicini e, di notte, si osservano a vicenda dalla finestra, immaginandosi l’uno nella vita dell’altra molto prima che tra loro ci sia un’intimità reale. Questo corteggiamento attraverso il vetro non può che avere l’aura di un esperimento scientifico, e gli esperimenti scientifici sono proprio il campo di Elizabeth. Lavora in un laboratorio specializzato in studi sull’effetto placebo, esplorando il confine poroso tra rimedi reali e immaginari. L’organizzazione è conosciuta con il nome di Wellness. Le sezioni alternate del romanzo saltano avanti e indietro nel tempo e coprono due decenni. Questo ci offre il piacere (con qualche ridondanza) di ascoltare le storie che i due si raccontano a vicenda, per poi vedere come queste si confrontano con la realtà dei fatti. Il lettore dunque assume il ruolo di osservatore scientifico, rispecchiando il lavoro iniziale di Elizabeth. L’inclinazione di Hill per la sovrabbondanza gli permette di cogliere i contorni della vita americana contemporanea. Wellness è quel tipo di romanzo che appare davvero ampio e vitale, pieno di stanze interconnesse traboccanti di fascinazioni inaspettate. Jonathan Lee, The Guardian
All’estremità della penisola dello Jutland settentrionale, una lingua di sabbia battuta dal vento si assottiglia fino a formare una freccia prima di dissolversi nel mare. Conosciuta come Grenen, parola danese che significa “ramo”, la spiaggia offre una prospettiva unica al mondo. È il punto in cui il mare del Nord incontra il Baltico in un abbraccio straordinario, spesso violento. Quella penisola non è solo il punto terminale della Danimarca, ma anche la tappa finale di un viaggio intrapreso dalla scrittrice e traduttrice danese Dorthe Nors. L’autrice descrive il paesaggio in cui è cresciuta, un luogo con cui ha un rapporto ambivalente di connessione e separazione, dove può essere capricciosa e vasta quanto il mare stesso. Questo reportage intimo cattura un aspetto della Danimarca poco conosciuto ed è l’esatto opposto di Copenaghen, la cosmopolita capitale. Nella Copenaghen ritratta dai pittori del settecento, scrive Nors, si poteva trovare la “vera natura della nazione: una fiaba di Hans Christian Andersen, un idillio biedermeier, privo di burrasche, di terre selvaggee di sabbie mobili” . Nors parte da quella Copenaghen per tornare allo Jutland selvaggio della sua infanzia, una terra che non è più la sua ma in cui sente affondare le sue radici. Courtney Tenz,
The Washington Post
Il tema è un classico senza tempo: uomini e donne, uomini e abuso di potere. L’ambientazione è un ristorante di alto livello a Dublino, un tempo conosciuto semplicemente come T, ma successivamente ribattezzato, in onore del proprietario e chef, Restaurant Daniel Costello. All’inizio del libro scopriamo che Daniel, un uomo ambizioso di 58 anni con le braccia pelose, sta affrontando la propria rovina. Se la sua caduta sarà definitiva dipenderà dall’esito di un processo penale: Daniel è stato accusato da un’ex dipendente, Tracy Lynch, di averla violentata. Si tratta di un argomento delicato e Gilmartin lo affronta con sicurezza, senza mai dimenticare che si tratta di un romanzo e che i personaggi, come le persone reali, a volte devono dire cose che preferiremmo non sentire. Gilmartin è onesta nel raccontare come l’ambiente crei una cultura tossica che si autoalimenta. Il finale mostra tutta la complessità dell’approccio di Gilmartin: se mi perdonate il gioco di parole, questo romanzo è come un gustoso piatto di carne, crudo al punto giusto. John Self, The Irish Times
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