Cultura Suoni
Collapsed in sunbeams
Arlo Parks (Chris Almeida)

Gran parte del clamore che circonda Arlo Parks si è concentrato sulla sua precoce arte della parola: questa londinese di vent’anni ha un modo unico di padroneggiare il linguaggio, come ha dimostrato con i singoli dell’anno scorso Cola e Black dog, capaci di creare una visione del mondo affascinante e colorata. Ma il suo album d’esordio è coinvolgente anche dal punto di vista musicale. Collapsed in sunbeams è una serie di ritratti intimi di persone legate alla sua adolescenza. Altri avrebbero tirato fuori storie banali su drammi scolastici e liti con i genitori, ma nelle mani di Parks ci sono storie evocative e splendidamente intrecciate. Caroline, per esempio, mescola l’autobiografia con l’osservazione casuale di una coppia che litiga per strada. Altri pezzi adottano un approccio in prima persona, come Black dog, che affronta con empatia la malattia mentale. Green eyes invece è una canzone d’amore con inclinazione lgbt. Queste canzoni hanno un sapore rnb e soul, e molte ricordano artiste come Lauryn Hill ed Erykah Badu. Questo è uno dei primi grandi album del 2021. Lauren Murphy, The Irish Times

Somewhere between: mutant Pop, electronic minimalism & shadow sounds of Japan 1980-1988

Sono tempi straordinari per la musica giapponese contemporanea nella cultura occidentale. Dischi dimenticati finiscono per valere centinaia di dollari o raccolgono milioni di visite su YouTube. Questo entusiasmo è stato amplificato dagli sforzi della Light in the Attic, la casa discografica di Seattle che da vent’anni riscopre gemme nascoste dai quattro angoli del pianeta. Questa compilation mette insieme quattordici brani che non aderiscono al city pop giapponese ma ne sono una mutazione più elettronica e sintetica. Il filo rosso è tenuto dalla Yellow Magic Orchestra, presente con due dei suoi musicisti che collaborano con altri, a dimostrazione di quanto all’inizio degli anni ottanta volessero provare cose nuove ampliando il loro successo commerciale. Ma Somewhere between testimonia anche quanto le etichette indipendenti avessero assunto un ruolo chiave nella formazione sperimentale del pubblico giapponese. Il confronto con la tradizione tedesca di gruppi come Neu!, Can e Kraftwerk è appropriato, anche se il Giappone è rimasto oscurato dal successo della Yellow Magic Orchestra. Questa raccolta restituisce la memoria di artisti che si sono rifiutati di cavalcare generi più familiari e ci chiedono di scoprire una storia spingendoci oltre la superficie.
Rob Arcand, Pitchfork

Rhye,
Home
Rhye (Concord Music)

Quando Rhye (il cantante di Toronto Michael Milosh) è comparso sulle scene nel 2013 con Woman, un album di morbidissimo rnb appena sussurrato, è riuscito in un’impresa rara per un artista al suo debutto: ha definito immediatamente il suo stile. Come progredire quando sei partito da un lavoro già così a fuoco nei minimi dettagli? Home, sontuosamente prodotto, è il terzo album di Rhye e riesce ad arricchire la sua tavolozza di nuovi colori. Stavolta ci sono abbellimenti orchestrali, assoli di chitarra alla Prince e beat più dinamici. Il miracolo è come Rhye riesca a stratificare tutti questi elementi rimanendo fedele alle sue atmosfere carezzevoli ed eteree. Home mostra che Milosh presta molta attenzione alla contemporaneità e al revival della disco che ha spopolato nella prima fase della pandemia, ma l’album riesce anche a non cadere in quella trappola nostalgica. Rachel Brodsky, Independent

Elmas: concerti per piano n. 1 e 2

Stéphan Elmas (1862-1937) è stato il primo compositore armeno a scrivere un concerto per pianoforte. I due presentati in questo cd sono nati alla fine dell’ottocento, anche se sembrano di mezzo secolo prima. Elmas s’ispirava chiaramente a Chopin, però non senza una sua fantasia melodica. I motivi di Elmas non sono brutti, ma spesso suonano talmente come quelli del modello da essere quasi imbarazzanti. In sostanza, se vi piace Chopin questo album vi garantisce un’oretta piacevole. Certo, l’orchestrazione è elementare e la forma dei primi movimenti è davvero rudimentale nella sua costante ripetizione degli stessi temi, ma la scrittura pianistica è molto brillante, soprattutto sotto le dita di Howard Shelley. Alla fine, sia chi suona sia chi ascolta si divertono molto. È meglio se ascoltate solo un concerto per volta. David Hurwitz, ClassicsToday

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1394 - 29 gennaio 2021
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