Gertrude Bell è l’antitesi di Mata Hari. Entrambe nate alla fine dell’ottocento, le due donne avevano solo otto anni di differenza ed entrambe sono state, a modo loro, avventuriere e spie. Ma la somiglianza finisce qui. Mata Hari è diventata una sorta di mito, Gertrude Bell invece, scrittrice e archeologa, è stata travolta dai sommovimenti della storia. Grazie a Olivier Guez, che ha passato sei anni a percorrere i luoghi della sua vita e a spulciare le numerose fonti archivistiche che la riguardano, in particolare la sua corrispondenza, Gertrude Bell rivive oggi in Mesopotamia. Il libro è tanto un romanzo quanto un prezioso documento sulle radici del terribile caos dell’attuale Medio Oriente, una regione che l’archeologa britannica ha in larga parte contribuito a plasmare all’inizio del secolo scorso. Nata in una ricca famiglia vittoriana, Gertrude Bell è una bambina viziata ma brillante e la sua vita è una fuga in avanti ostinata e cieca verso ciò che lei ritiene giusto, ovvero un disegno politico per una regione che assecondi gli interessi britannici. Quasi un secolo dopo, la catastrofe geopolitica è totale. Eppure Gertrude Bell vi aveva consacrato tutta la sua energia: ha trascurato l’amore, fonte di infelicità più che di gioie, e anche il lento processo di emancipazione femminile, disprezzando il desiderio delle donne di giocare un ruolo nello spazio pubblico. Rimane comunque un personaggio da romanzo: idealista, imperialista e temeraria.
Alexandra Schwartzbrod, Libération
Brian racconta la storia di un uomo che va al cinema ogni sera per trent’anni. Brian vive da solo in un piccolo appartamento nel nord di Londra, lavora nell’ufficio delle imposte commerciali di Camden e pranza ogni giorno alle 14 e 15 in punto nello stesso caffè. Finito il lavoro va al British Film Institute dove, insieme a una piccola comunità di eccentrici, guarda film classici e contemporanei. Cataloga le sue reazioni a ogni film e vive seguendo un mantra ansioso: “Rimani vigile. Attieniti alla routine. Proteggiti dalle sorprese”. Per gran parte del romanzo sappiamo poco del passato di Brian, solo che è nato in Irlanda del Nord, sua madre è morta e non ha contatti con il padre e il fratello. I cinefili apprezzeranno i discorsi divertenti di Brian sul cinema e molti lettori riconosceranno i film più noti (Le iene, Il grande Lebowski eccetera) che lui analizza ossessivamente nel suo taccuino. Ricorderanno anche gli eventi storici, come la guerra in Iraq e gli attentati di Londra del 2005, che sono menzionati nel corso del romanzo, la cui vicenda trentennale parte dalla metà degli anni ottanta. Brian cerca di catturare i rapidi cambiamenti che Londra ha vissuto negli ultimi decenni e ritrae una città troppo costosa che rischia di essere fagocitata dalle multinazionali. Cooper sembra fin troppo impaziente di sottolineare questi aspetti e a volte Brian più che un romanzo sembra un’invettiva sociale. Ciò nonostante è molto divertente e riuscito.
Max Liu, Financial Times
Maschio nero è il primo romanzo dello scrittore e giornalista d’origine senegalese Souleymane Gassama detto Elgas. Il suo narratore è un antropologo con il talento della procrastinazione. Arrivato in Francia da giovane diplomato senegalese, si laurea all’età di 33 anni. Ignaro dei meccanismi intricati della carriera accademica, si ritrova in una grande incertezza professionale, ma è comunque deciso a vivere questo periodo di precarietà con stile. Lo vedremo via via come un dandy curioso dei grandi dibattiti che agitano la società, poi come un libertino conquistatore. Si mostra anche pienamente inserito nel tessuto cittadino, assaporando, da un caffè all’altro e da un quartiere all’altro, i mille e uno piaceri delle sue città d’adozione: Parigi, Nizza e Lione. Dietro questa fierezza, però, il giovane uomo nasconde grandi dubbi esistenziali: che cos’è veramente l’amore? Come riconoscerlo (o riconoscerlo di nuovo) e avere il coraggio di viverlo pienamente quando ci si sente, come lui, inadeguati in partenza a causa di una mancanza affettiva che risale all’infanzia? Un’altra preoccupazione lo tormenta: quella della libertà che ci si può o non ci si può concedere nei confronti della propria comunità d’origine, del proprio paese, del proprio continente e, più in generale, della sua condizione di uomo nero.
Kidi Bebey, Le Monde
Era davvero bruna quella ballerina con cui il narratore condivise, un tempo, alcuni frammenti di vita e passeggiate innevate, da Pigalle fino a porte de Champerret? Oppure era castana scura? Fin dalla prima frase s’insinua il dubbio e la memoria vacilla. Come sempre in Patrick Modiano (premio Nobel per la letteratura nel 2014), i ricordi sono incerti, appena ravvivati da circostanze particolari in cui momenti del passato “riemergono come se arrivassero da una stella che si credeva morta da tempo”. La trama di questo testo breve e arioso è molto contemporanea e perfino molto precisamente datata (siamo nel gennaio del 2023), ma una moltitudine di dettagli confonde i riferimenti temporali e c’immerge in un’incantevole vaghezza. Nella Parigi attuale di Modiano si continua a ordinare una granatina al bar e a lasciare il numero di telefono fisso. È tutta qui la sua arte: seminare inquietudine e incertezza dietro la dolcezza apparente di situazioni raccontate con disarmante semplicità.
Isabelle Lesniak, Les Echos
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