Ospite nel podcast del fidanzato Travis Kelce, Taylor Swift aveva detto che quello che si scrive su di lei online “non è affar suo”. Ma The life of a showgirl, il suo dodicesimo album, dimostra il contrario. In Eldest daughter affronta i commenti taglienti e i meme ironici che la riguardano, ma nel tentativo di rispondere ai critici perde parte della sua autenticità. Il disco è solido, ma pieno di contraddizioni che rivelano una pop star in crisi d’identità. Wood è il brano più discusso: un’ironica risposta a un meme del 2021 che prendeva in giro le sue metafore romantiche. Qui Swift scrive la sua canzone più esplicita, emulando lo stile malizioso dell’amica Sabrina Carpenter. Il risultato è più imitazione che innovazione. In Actually romantic fa riferimento a Charli XCX, con cui ingaggia un gioco di rimandi pungenti, mentre in Father figure si proclama la più potente dell’industria e avverte le giovani protette – da Carpenter a Olivia Rodrigo – che il tradimento si paga caro. Contrasti evidenti con l’immagine fragile di Eldest daughter.Le canzoni d’amore, come Elizabeth Taylor o Wi$h li$t, sognano semplicità e vita privata, ma nel brano finale Swift rivendica la dedizione alla fama. Musicalmente, il disco ripercorre le ere da Red a Reputation, con il ritorno di Max Martin e Shellback, ma senza la brillantezza di 1989. Il pezzo migliore è Ruin the friendship: una storia adolescenziale che richiama la sua scrittura più sincera. Il resto dell’album appare come un esercizio di stile: tanti trucchi da showgirl, ma poca anima.
Mary Kate Carr, Av Club
Non succede spesso che l’ottavo album sia il migliore nella carriera di un musicista, ma nel caso di Baxter Dury è così. L’anima dance di Allbarone funziona grazie al produttore Paul Epworth, già negli studi di Adele e Florence + The Machine. Un incontro tra i due al festival di Glastonbury l’estate scorsa ha spinto il musicista britannico oltre il suo approccio minimalista. Già la collaborazione nel 2021 con Fred Again aveva fatto intuire delle potenzialità in quella direzione. In questo nuovo lavoro Dury l’abbraccia completamente all’interno di nove canzoni, ricche di personaggi particolari e osservazioni taglienti. Il brano che dà il titolo al disco rende bene quanto funzioni l’unione tra beat, ritornelli e le scene criptiche ma divertenti narrate nei testi. Schadenfreude deve molto a un ritmo più sostenuto imposto da Epworth, che costringe Dury a fidarsi dei suoi istinti. Le influenze versatili che ascoltiamo in Allbarone non hanno mai effetti negativi sulla coesione generale. Gli arrangiamenti del produttore scivolano fluidi, offrendo varietà ma lasciando che il cantante, con il suo stile diretto, resti al centro della scena.
Jamie Wilde, The Skinny
L’instancabile Paavo Järvi ci presenta l’interessante combinazione di due opere dagli stili diversi ispirate dal dramma simbolista di Maurice Maeterlinck Pelléas et Mélisande: quelle di Arnold Schönberg e di Gabriel Fauré. Il lavoro dell’austriaco è un poema sinfonico scritto nel 1903, quattro anni dopo La notte trasfigurata, quello del francese è musica di scena composta nel 1898 per una messa in scena teatrale dell’opera. L’ampia partitura di Schönberg, con una carica drammatica ed evidenti risonanze post-wagneriane, crea un curioso contrasto con quella di Fauré, concentrata sull’aspetto poetico dalla straripante emotività. Il maestro estone interpreta entrambi in modo straordinario alla guida della magnifica orchestra sinfonica della radio di Francoforte. Cattura il flusso drammatico della partitura di Schönberg con maestria e rende con intensità la sezione finale. Ci riesce anche con Fauré, reso con eleganza e sensibilità. La solenne tristezza del brano finale è l’esempio perfetto di questa interpretazione esemplare.
Rafael Ortega Basagoiti, Scherzo
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