In Russia i leader africani sono stati accolti in un resort sulla costa, davanti al quale erano stati piazzati degli aerei militari in vendita. In Cina hanno cenato in compagnia del presidente Xi Jinping – alcuni a tu per tu – e hanno ricevuto promesse d’investimenti per sessanta miliardi di dollari. In Turchia hanno ottenuto il sostegno del governo di Ankara per la loro richiesta di avere un seggio permanente per il continente al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. E questa settimana i rappresentanti dei paesi africani sono andati a Washington per un vertice con il presidente statunitense Joe Biden. È l’ultimo tentativo di una grande potenza per rafforzare la sua presenza in un continente sempre più importante dal punto di vista geopolitico.

Negli ultimi anni la corsa internazionale per creare legami militari, commerciali e diplomatici in Africa, a lungo dominata dalla Cina, si è allargata a paesi come Russia, Turchia ed Emirati. Gli Stati Uniti sono rimasti indietro, ma ora l’amministrazione Biden spera di invertire la tendenza. Durante il vertice il governo di Wash­ington ha preparato incontri ai massimi livelli, proposte d’affari e una cena alla Casa Bianca. Ma i leader africani sono ormai abituati a essere adulati dai corteggiatori stranieri, e quella statunitense è solo una tappa in un tour che comprende Cina, Russia, Turchia, Giappone, Francia e paesi dell’Unione europea. La domanda centrale allora è: cosa può offrire Biden per soddisfare i leader africani?

“Gli Stati Uniti hanno sempre considerato l’Africa un problema da risolvere”, sostiene Murithi Mutiga, direttore del programma Africa dell’International crisis group. “I loro concorrenti, invece, vedono l’Africa come una terra di opportunità. È per questo che sono in vantaggio”. Macky Sall, presidente del Senegal e dell’Unione africana, spiega che i leader africani prima di tutto vogliono essere ascoltati. “Non permetteremo a nessuno di dirci ‘non dovete collaborare con Tizio o Caio ma soltanto con noi’. Vogliamo collaborare e fare affari con tutti”, ha detto durante un’intervista fatta a Dakar l’8 dicembre.

Le cose sono cambiate molto dai tempi del primo vertice tra gli Stati Uniti e i paesi africani, organizzato da Barack Obama nel 2014. Il commercio cinese con il continente ha continuato a crescere, raggiungendo un volume di 261 miliardi di dollari nel 2021, e parallelamente è aumentato il debito dei paesi africani con Pechino. I loro scambi con gli Stati Uniti, invece, sono scesi a 64 miliardi, l’1 per cento del commercio globale americano.

Nel frattempo la Russia è diventata il principale venditore di armi nel continente e in ampie zone ha acquisito un ruolo rilevante attraverso i mercenari del gruppo Wagner, che hanno più volte aiutato regimi traballanti in cambio dell’accesso a risorse preziose. La Turchia ha aperto ambasciate in decine di stati, mentre le aziende turche hanno allargato di molto le loro attività costruendo aeroporti, moschee, ospedali e stadi, anche in aree di conflitto come la Somalia. Gli Emirati Arabi hanno costruito porti sul mar Rosso e fornito droni armati all’Etiopia.

Punti di forza

I problemi che ostacolano lo sviluppo dell’Africa restano irrisolti, a cominciare dalla povertà, dai conflitti armati, dalle carestie e dalla corruzione. Tuttavia, negli ultimi anni il continente ha mostrato di avere dei punti di forza che attirano le potenze straniere. Mentre i tassi di natalità scendono in buona parte del mondo, la popolazione africana dovrebbe raddoppiare entro il 2050, quando il continente ospiterà un quarto degli abitanti del pianeta. Quindi si tratta di un mercato potenzialmente enorme.

Le grandi riserve africane di minerali rari saranno indispensabili per alimentare le automobili elettriche, e le grandi foreste assorbono una quota importante della CO2 prodotta nel mondo. Anche la rilevanza culturale dell’Africa sta crescendo: la musica afrobeats nigeriana è popolare in tutto il pianeta, mentre l’industria cinematografica è in crescita. In paesi come il Kenya il settore tecnologico è diventato un importante bacino di innovazione e di talenti a basso costo.

Questa rinascita ha cambiato il rapporto tra l’Africa e i paesi occidentali ricchi. Durante una visita organizzata nel 2009, Obama cercò di trasmettere amore ma fece anche un rimprovero, sostenendo che l’impegno degli Stati Uniti per aiutare l’Africa doveva essere accompagnato da quello degli stati africani ad assumersi le responsabilità per i loro problemi. Oggi invece i funzionari statunitensi sottolineano la vicinanza di valori e d’interessi. Ad agosto Antony Blinken, il segretario di stato americano, ha dichiarato che l’Africa è “una grande forza geopolitica, che ha plasmato il nostro passato, sta plasmando il nostro presente e plasmerà il nostro futuro”. Resta da capire cosa farà Washington per dare seguito a questi discorsi.

I leader africani non vogliono schierarsi su questioni di politica internazionale

Il vertice ha preparato il campo per accordi tra aziende africane e statunitensi e per rafforzare “l’economia digitale” del continente. Biden ha annunciato che
Washington appoggerà l’assegnazione all’Africa di un seggio al G20 e una maggiore rappresentanza del continente nelle istituzioni globali come il Fondo monetario internazionale. Si è discusso anche di iniziative per favorire il contributo della diaspora africana nel campo dell’alta formazione, delle industrie creative e dell’ambiente, oltre alla collaborazione nei programmi spaziali della Nasa.

Il grande progetto per combattere l’aids presentato da George W. Bush nel 2003, costato cento miliardi di dollari, ha salvato secondo le stime del governo statunitense 25 milioni di vite, mentre la più importante iniziativa di Obama è stata Power Africa, che ha portato la corrente elettrica in sessanta milioni di case africane. Biden sembra voler proporre una politica più ampia, basata sull’idea di “una partnership per il ventunesimo secolo”, ha detto Judd Devermont, direttore per l’Africa del consiglio di sicurezza nazionale. Secondo Devermont, i prossimi dieci anni rimodelleranno l’ordine mondiale e il contributo dell’Africa sarà “cruciale”.

Resta il fatto che durante i vertici organizzati in altri paesi i leader africani hanno ricevuto promesse concrete di aiuti, dalle infrastrutture cinesi alle armi russe e ai droni turchi. Gli esperti pensano che la politica adottata da Washington, basata sul rispetto di valori condivisi, potrebbe non essere sufficiente. Per Michelle Gavin, responsabile del settore di studi africani per il Council on foreign relations, “i paesi africani vogliono la cancellazione del debito, vogliono parlare dei risarcimenti per i danni causati dal riscaldamento globale, vogliono la sospensione dei brevetti sui vaccini”.

Possibilità di scelta

In ogni caso gli Stati Uniti continuano a esercitare un’importante influenza in Africa. I diplomatici americani hanno avuto un ruolo cruciale nel recente accordo di pace in Etiopia e sono stati gli attori esterni più rilevanti in Somalia nella lotta contro i militanti di Al Shabaab. Washington invia miliardi di dollari di aiuti negli angoli più poveri del continente, molto più della Cina e della Russia.

Eppure i cambiamenti nella politica internazionale, che hanno permesso la nascita di nuove potenze, hanno aumentato le possibilità di scelta per i leader africani, che per esempio possono rivolgersi a un paese per gli aiuti economici e a un altro per le armi. I governi africani non vogliono essere costretti a schierarsi su questioni di politica internazionale. Sulla guerra in Ucraina diversi paesi – tra cui il Sudafrica, la principale potenza economica del continente – sono riluttanti a schierarsi contro la Russia.

Questo spiega perché i funzionari statunitensi si sono sforzati di non dare l’impressione che il vertice di questa settimana fosse legato alla competizione tra Stati Uniti e Cina. Ma in Africa la rivalità tra i due paesi è evidente. All’università Makerere, in Uganda, la studente Abiji Mary Immaculate riconosce a Washington il merito di aver “fatto molto” per il suo paese. Gli Stati Uniti spendono circa un miliardo di dollari all’anno per la sanità e lo sviluppo ugandese. Tuttavia, Immaculate sottolinea che gli abitanti spesso non colgono questi benefici, mentre possono vedere le strade e i ponti costruiti dai cinesi.

Sithembile Mbete, politologa dell’università di Pretoria, pensa che il successo dell’iniziativa di Biden dipenderà dalla sua volontà di trattare gli africani da pari a pari e non da “fratello maggiore che dice agli altri cosa devono fare”. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1491 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati