Il parlamento di Jakarta ha approvato un piano per dividere in quattro la provincia di Papua, nonostante l’opposizione degli abitanti. Secondo i suoi sostenitori, la misura favorirà lo sviluppo della provincia più povera del paese e avvicinerà il governo alla popolazione perché i nuovi enti locali coincideranno con “zone culturali indigene”. Agli occhi dei papuani, però, è un modo per sfruttare le divisioni politiche nella regione invece di affrontare i suoi problemi, dalle violazioni dei diritti umani all’emarginazione degli indigeni.

Il governo centrale è da tempo favorevole alla divisione di Papua perché la considera un modo per contenere la minaccia separatista. Nel 2001 è stata approvata una legge sull’autonomia speciale in risposta alle richieste di un referendum, in base alla quale le nuove province dovrebbero essere approvate dalle amministrazioni locali, incluso il consiglio popolare di Papua. Ma nel 2003, senza consultarlo, la presidente Megawati Sukarnoputri divise Papua in Papua e Papua occidentale, violando la legge e aumentando la sfiducia dei papuani verso Jakarta. Nel 2021 la questione è riemersa con l’approvazione di una norma sull’autonomia, che toglie alle amministrazioni papuane voce in capitolo nella definizione di nuove province. Ad aprile del 2022 il parlamento ha accolto la proposta di istituirne quattro: Papua settentrionale, Altopiano papuano centrale, Papua centrale e Papua meridionale.

Frammentare Papua offre vantaggi soprattutto al governo centrale e alle élite locali. Jakarta potrà erogare finanziamenti e portare a termine progetti con più facilità. I nuovi enti giustificherebbero inoltre un budget maggiore per l’esercito e la polizia. Le élite che riempiranno le nuove amministrazioni provinciali si aspettano più soldi dai progetti governativi e dagli investimenti stranieri, che non dovrebbero più essere divisi con altre regioni. La provincia di Papua centrale manterrebbe il grosso dei guadagni delle sue miniere di rame e oro.

Sulla questione i papuani sono divisi. Decisamente contrarie le comunità degli altopiani centrali, la regione montuosa teatro di alcune delle proteste più dure contro la misura. I papuani della costa, invece, chiedono l’autonomia da tempo. Separandosi dalla regione degli altopiani i politici della costa potranno rivendicare più potere e governare Papua settentrionale, dove c’è l’attuale capitale, Jayapura.

L’indifferenza di Joko Widodo

Il punto, però, è che le nuove province difficilmente risolveranno i conflitti violenti e il separatismo. Papua ha gravi problemi di sicurezza dovuti all’insurrezione armata, alle tensioni tra immigrati e indigeni, alla polarizzazione interna alla società, alle violenze che regolarmente accompagnano le elezioni e ai conflitti legati alla terra. Aggiungere nuovi enti locali potrebbe peggiorare le cose.

I papuani temono che per amministrare le nuove province arriveranno funzionari da fuori. Gli immigrati dal resto del paese hanno superato gli indigeni e occupano gli incarichi politici nelle reggenze più sviluppate della costa. Alle elezioni del 2019, a Jayapura solo 13 seggi su quaranta sono andati a papuani, a Merauke tre su trenta. Quell’anno le proteste antirazziste in diverse regioni si sono trasformate in conflitti tra diverse comunità che hanno preso di mira gli immigrati.

È difficile che le nuove province riescano a frenare l’Esercito di liberazione nazionale di Papua occidentale, braccio armato dei separatisti: oggi l’insurrezione si è estesa da quattro a undici reggenze. Pur avendo visitato Papua più spesso dei suoi predecessori, il presidente Joko Widodo ha mostrato indifferenza verso le richieste d’inclusione dei papuani nel processo decisionale, con il rischio di far crescere la voglia d’indipendenza. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1466 di Internazionale, a pagina 34. Compra questo numero | Abbonati