Oussama Moukmir è nato ad Agadir, una città marocchina che nel 1960 fu in parte distrutta da un terremoto in cui morirono almeno dodicimila persone. Forse perché è cresciuto in quartieri nuovi, dove non rimaneva nulla dell’architettura tradizionale, da imprenditore edile ha deciso di puntare sui materiali e i metodi di costruzione di un tempo. La cooperativa che ha fondato a Marrakech è specializzata in bioedilizia e nel restauro di vecchi edifici. Il terremoto di magnitudo 6,8 che ha colpito il suo paese l’8 settembre 2023 (causando più di 2.900 morti e più di 5.500 feriti) ha messo alla prova la solidità delle strutture che ha costruito, realizzate secondo un rigido regolamento antisismico. “A parte qualche crepa, non si sono mosse”, dice Moukmir. Invece, intorno alle sue case color ocra, che ben s’inseriscono nell’entroterra di Marrakech, altre abitazioni nuove in cemento non hanno retto alle scosse.

Com’era successo con il terremoto in Turchia, anche in Marocco si può dare la colpa alla corruzione e agli immobiliaristi senza scrupoli? Le opinioni sono divergenti. “Gli edifici nuovi, che in teoria rispettano le norme antisismiche, avrebbero dovuto resistere. Invece, l’entità dei danni causati dal terremoto a Moulay Brahim, città vicina all’epicentro in cui le nuove costruzioni sono cresciute nel tempo, o quello che è successo a Ouirgane, che era stata parzialmente ricostruita negli anni duemila, dimostrano che la realtà è ben diversa”, commenta Sion Assidon, dell’ong Transparency international. “Passata l’emergenza, dovremo analizzare le cause umane di questo disastro”, aggiunge l’attivista. Nel 2022 il Marocco era al 94° posto su 180 paesi nella classifica della percezione della corruzione realizzata dall’organizzazione.

Quella in cui è avvenuto il terremoto “non è mai stata una regione a rischio, quindi i nostri antenati non hanno progettato case antisismiche”, spiega Moukmir. L’esodo dalle campagne ha lasciato in abbandono le abitazioni tradizionali ama­zigh (berbere) e fatto perdere un bagaglio di conoscenze. Anche la modernità non ha aiutato molto. “La pavimentazione delle strade impedisce agli edifici di respirare. È stata introdotta l’acqua corrente, ma con il passare del tempo le perdite idriche indeboliscono le fondamenta. La costruzione di nuovi piani e i tetti troppo pesanti mettono alla prova i pilastri”. Il terremoto, sostiene Moukmir, dev’essere un’opportunità per “mettere a norma le aree rurali. Se il Marocco la perde, non avrà più nulla da offrire. Rimarranno solo alcune medine pompate con il botox”.

Scoglio psicologico

“Quando un terremoto causa 350mila morti ad Haiti, si può dire che l’incuria è stata letale. Ma non è quello che è successo in Marocco”, obietta un architetto francese che ha diretto vari progetti nel regno. “È un paese con una radicata tradizione urbanistica, in cui le norme sono severe quanto in Francia”. Insiste sulla potenza del sisma: “Il fatto che sia crollata la parte superiore del minareto della moschea su piazza Jemaa el Fna, che resisteva da dieci secoli, la dice lunga sulla magnitudo di questo terremoto di montagna”.

Oussama Moukmir teme la prossima fase della ricostruzione. “Cementeranno tutto, perfino i villaggi, non rimarrà nulla”, dice. Per lui la “vera sfida è quella psicologica”: le vittime dei disastri chiederanno il cemento, perché lo ritengono più solido. Lui dovrà anche cercare di convincere le autorità, che potrebbero essere tentate dalla soluzione più facile: tirare giù tutto e ricostruire, rapidamente, con il cemento. “Chiederemo allo stato di non escludere la possibilità di usare i materiali locali”. Inerzia termica, rispetto del patrimonio, solidità. Anche la disponibilità dei materiali va tenuta in conto in una regione montuosa difficile da raggiungere. Perché non riciclare le macerie? “Dobbiamo tornare alla terra e ai materiali ecologici e puliti. Non abbiamo scelta”, spiega. ◆ fsi

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Questo articolo è uscito sul numero 1529 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati