Nel 1967, Luud Schimmelpenninck, neoeletto rappresentante nel consiglio comunale di Amsterdam, presentò una proposta innovativa: perché non risolvere il problema del traffico mettendo a disposizione una flotta di biciclette gratuite? A quell’epoca, le strade della capitale olandese erano intasate dalle automobili, e gli incidenti gravi che coinvolgevano i pedoni erano frequenti. Non sarebbe stato meglio, diceva Schimmelpenninck, offrire a tutti un ciclismo facile ed economico?

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Oggi Amsterdam ha la reputazione di capitale mondiale delle due ruote, ma la reazione degli amministratori della città a quella proposta, che sarebbe diventata il primo servizio di noleggio bici urbano al mondo, può sorprendervi: la respinsero all’unanimità.

Manuele Fior

I motivi del rifiuto rivelano molto del passato radicale del bike sharing, un’industria multimiliardaria che coinvolge più di tremila città in tutto il mondo. I problemi erano due: il consiglio comunale di Amsterdam era certo che le automobili fossero il futuro, e la proposta non arrivava da un partito convenzionale ma da un noto gruppo di anarchici convinti che la dipendenza olandese dalle automobili rappresentasse non solo una cattiva politica ma anche “il terrore su asfalto della borghesia motorizzata”.

Quel gruppo si chiamava Provo (abbreviazione di “provocazione”) e nel 1967 riempiva già i quotidiani locali. Ne facevano parte esponenti della beat generation, attivisti contro il nucleare e giovani appartenenti alla subcultura olandese nozem (analoga ai teddy boys del Regno Unito). Provo era un movimento che sperava di scuotere quello che considerava un mix tossico di conservatorismo e consumismo dominante nella società olandese. Inizialmente, lo strumento principale per raggiungere il suo obiettivo non fu la politica municipale ma l’elemento ludico delle proteste.

Dal 1965 in poi Provo organizzò ogni settimana degli eventi pubblici nel centro di Amsterdam, con lo scopo di mettere in luce i pericoli e le assurdità della cultura consumistica. Ai primi incontri i sostenitori del gruppo distribuirono gratuitamente del ribes (considerato “simbolo d’amore”) e dipinsero la k di cancro (in olandese kanker) sui cartelloni pubblicitari delle sigarette. Ma si fece conoscere soprattutto per il lancio di fumogeni al corteo nuziale della futura regina Beatrice (un matrimonio controverso, perché lo sposo da adolescente aveva fatto parte della gioventù hitleriana) e per aver diffuso strane voci su zollette di zucchero imbevute di lsd date ai cavalli che guidavano la carrozza della regina.

Nonostante l’approccio burlesco, o forse proprio grazie a questo, Provo aveva molto seguito tra i giovani olandesi. Probabilmente perché si occupava di questioni che all’epoca potevano sembrare scandalose: volevano il disarmo della polizia; l’occupazione degli edifici vuoti; l’accesso illimitato e gratuito per i giovani ai contraccettivi.

Ideato da Schimmelpenninck, attivista Provo, anche il Witte fietsenplan, “piano delle biciclette bianche”, fu presentato come un evento: persone che appartenevano al movimento dipingevano di bianco biciclette, davanti a una piccola folla che li osservava. Mentre la vernice si asciugava, distribuivano volantini in cui si scagliavano contro le automobili: “Sacrifici umani quotidiani vengono fatti per quella nuova autorità alla quale la folla si è sottomessa”, era scritto. “L’auto è sinonimo di autorità. Il soffocante monossido di carbonio è il suo incenso. La sua immagine contamina migliaia di strade e canali”.

Il piano di Provo prevedeva che le biciclette fossero lasciate in giro per il centro di Amsterdam e chiunque ne avesse avuto bisogno poteva prenderle liberamente

Il piano delle biciclette bianche era qualcosa di molto più improvvisato dei bike sharing moderni. Non prevedeva lucchetti né abbonamenti, le biciclette sarebbero state lasciate in giro per il centro di Amsterdam e chiunque ne avesse avuto bisogno poteva prenderle e lasciarle dove riteneva opportuno, nella speranza che il senso civico prevenisse il furto. Può sembrare un’ingenuità, ma a quei tempi le strade della capitale olandese erano già disseminate di biciclette incustodite. Erano rubate senza troppi scrupoli dai cittadini, per poi essere abbandonate una volta giunti a destinazione. Le biciclette bianche avrebbero semplicemente regolarizzato questa situazione fornendo un’alternativa legale, e la flotta si poteva formare a basso costo usando tutte quelle senza proprietario che erano disseminate per la città.

Il piano non funzionò mai davvero perché non era questo l’obiettivo di Provo. Secondo Schimmelpenninck il gruppo voleva solo dimostrare che un progetto del genere avrebbe potuto funzionare, usando all’inizio solo una decina di biciclette. Alla fine, furono quasi tutte portate via, non dai ladri ma dalla polizia, perché lasciare bici incustodite era illegale.

Nel 1966 il movimento cercò uno spazio all’interno della classe dirigente e si assicurò un seggio alle elezioni municipali di quell’anno (non male per una forza giovanile, in un’epoca in cui l’età minima per il voto nei Paesi Bassi era 23 anni). Gli attivisti decisero che avrebbero occupato quel posto a rotazione. Quando, nell’inverno del 1967, fu il suo turno, Schimmelpenninck propose un piano molto più ambizioso: una flotta di diecimila biciclette bianche.

Il progetto non ebbe l’approvazione del consiglio, ma la sua audacia stimolò molte menti. Provo influenzò movimenti in tutta Europa e il piano delle biciclette bianche ispirò alla band britannica Tomorrow la canzone rock psichedelica My white bicycle. Nel 1969 una delle biciclette bianche finì nella camera dell’Hilton di Amsterdam dove John Lennon e Yoko Ono stavano facendo il loro bed-in per la pace.

Con il passare dei decenni, gli eventi di Provo sono entrati nella memoria popolare. Le biciclette bianche possono sembrare una nota a piè di pagina un po’ bizzarra nella storia del trasporto urbano. Tuttavia, è possibile tracciare una linea che unisce la provocazione controculturale di Provo e l’industria del bike sharing di oggi.

Tanto per cominciare, le biciclette bianche non sono mai scomparse del tutto: dal 1974, nel parco nazionale Hoge Veluwe, uno dei più popolari dei Paesi Bassi, ci sono 1.800 biciclette gratuite, senza stazioni di noleggio. Inoltre, l’esperimento di Provo è stato prezioso per cominciare a pensare a come poteva funzionare un sistema municipale di noleggio delle bici. Dimostrando quanto fosse fondamentale la sicurezza nelle strade, ha ispirato la seconda generazione di programmi di bike sharing, che hanno introdotto stazioni da dove prelevare le bici inserendo una moneta o un gettone. Schimmelpenninck fornì una consulenza per il primo di questi schemi, istituito a Copenaghen nel 1995. E anche quando, nel 1998, Amsterdam lanciò un sistema di bike sharing ufficiale, che prevedeva una tessera dotata di microchip anziché monete, il piano che la città aveva usato come modello era ancora una volta quello delle biciclette bianche.

Nel frattempo, Schimmelpenninck aveva continuato a promuovere la condivisione dei veicoli con una tenacia tale che alla fine diede i suoi frutti. Passò ai veicoli elettrici e ideò un piano che prevedeva il noleggio di piccolissime auto elettriche bianche. Incredibilmente, il progetto decollò nel 1974. Gli autisti pagavano una quota associativa per accedere ai venticinque veicoli disponibili in quattro (e più tardi cinque) stazioni nella città di Amsterdam. Le auto bianche furono sospese negli anni ottanta, ma l’idea originaria sopravvive nei servizi di car sharing come Enjoy e Share Now.

Molte problematiche affrontate dal piano delle biciclette bianche sono riapparse nei dibattiti pubblici. Nate decenni prima delle tecnologie che gestiscono l’industria moderna, come gli smart­phone e il gps, le guerrilla bikes di Provo anticiparono sia l’effetto dirompente prodotto dallo scooter sharing e dalle biciclette senza stazioni di noleggio sia l’allarme per il disordine dei marciapiedi e il vandalismo che quei servizi hanno portato con sé.

Mentre il primo esperimento ebbe vita breve, la critica della cultura automobilistica resta attuale. Nel 1971 i pedoni morti nelle strade di Amsterdam raggiunsero il picco di 3.300 (tra cui più di quattrocento bambini). Attivisti infuriati reagirono con azioni dirette, per esempio bloccarono con le biciclette punti nevralgici del traffico dove avvenivano gli incidenti, per costringere la città a un cambiamento. Quel movimento di massa contribuì a rendere Amsterdam la città che conosciamo oggi: uno degli spazi urbani con la più alta densità di biciclette al mondo. Lì il bike sharing ha finito per avere un impatto minore che altrove solo perché il numero di persone che possedeva un veicolo a due ruote era già molto alto.

Nella Amsterdam di oggi la mobilità attiva e l’uso ridotto dell’automobile sono considerati un bene inequivocabile, anche (o forse, soprattutto) tra la borghesia, le cui abitudini furono il primo bersaglio di Provo. Vale la pena di ricordare che l’idea rivoluzionaria del gruppo, come tante altre diventate poi convenzionali, era stata liquidata come roba per pochi giovani radicali. ◆ va

Feargus O’Sullivan

è un giornalista britannico Questo articolo è uscito su Bloomberg con il titolo The radical roots of bikesharing.

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Questo articolo è uscito sul numero 1458 di Internazionale, a pagina 104. Compra questo numero | Abbonati