Non volevo provare l’eroina perché sembrava troppo perfetta. È come “un amore caldo e morbido”, mi aveva confidato un amico. Quando ho ceduto alla tentazione – in un impeto di rabbia per l’infedeltà del mio ragazzo a metà degli anni ottanta – è così che l’ho vissuta. Non è stata l’euforia che mi ha catturato. È stato il sollievo dalla paura e dall’ansia, e una confortante sensazione di essere al sicuro, accudita e amata incondizionatamente.

Ora la scienza ha dimostrato che questo paragone è più di una metafora. Gli oppioidi imitano i neurotrasmettitori che rendono rassicuranti i rapporti sociali: legano il genitore al figlio, l’amante all’amato. Il cervello produce anche i suoi oppioidi “endogeni”, come le endorfine e le encefaline, note per il loro ruolo nel piacere e nel dolore, ma anche fondamentali per la formazione e il mantenimento dei legami sociali. Uno studio del 2004 ha scoperto che i topi neonati privati di certi recettori per gli oppioidi non mostravano alcun attaccamento alle madri.

Mentre gli Stati Uniti cercano di porre fine alla crisi degli oppioidi, che ha provocato 75mila morti dall’aprile 2020 allo stesso mese del 2021, questo aspetto della biologia ci offre importanti informazioni. Non siamo capaci di uscire da un problema causato dal fondamentale bisogno umano di relazioni.

I periodi d’incertezza e disuguaglianza economica tendono a essere associati a livelli più alti di dipendenza dagli oppiacei. Alcuni dei maggiori fattori di rischio di overdose sono l’isolamento sociale e l’uso solitario. I lockdown imposti dalla pandemia, anche se a volte necessari per combatterne la diffusione, hanno aumentato la solitudine e l’isolamento fisico e sociale. Se i politici vogliono curare e prevenire efficacemente la dipendenza, devono capire perché gli oppioidi sono diventati tanto attraenti in queste circostanze, e affrontare il problema con più compassione.

Il rapporto tra gli oppioidi prodotti dal cervello e l’amore materno è stato studiato per la prima volta dal neuroscienziato Jaak Panksepp decine di anni fa. Il dottor Panksepp, morto nel 2017, mi raccontò che quando aveva cercato per la prima volta di pubblicare i dati che collegavano gli oppioidi cerebrali all’attaccamento, il suo articolo era stato rifiutato da un’importante rivista medica. La sua ricerca aveva dimostrato che la morfina, in dosi abbastanza basse da non causare sonnolenza, alleviava il dolore dei cuccioli di animali di varie specie al momento della separazione dalla madre.

L’ipotesi che l’amore più puro e innocente – quello tra genitore e figlio – potesse avere qualcosa in comune con il degrado della dipendenza da eroina era “troppo scottante”, mi disse Panksepp. Oggi, più di quarant’anni dopo la pubblicazione della sua ricerca su un’altra rivista, quella che è conosciuta come la “teoria dell’attaccamento sociale associato agli oppioidi cerebrali” è ampiamente accettata.

Quando qualcuno si occupa di un bambino o s’innamora, il corpo rilascia ormoni come l’ossitocina, che infondono nei ricordi del tempo passato insieme a quella persona un senso di calma, appagamento e soddisfazione, mediati dalle endorfine. È uno dei modi in cui il contatto sociale allevia lo stress e costituisce una protezione fondamentale per la salute mentale e fisica. Se siamo lontani dai nostri cari o sentiamo che le nostre relazioni sono in pericolo, proviamo un’ansia simile a quella per l’astinenza dalle droghe.

“Quando le persone sperimentano uno sballo da oppioidi, provano calore, sicurezza e amore”, afferma Steven Chang, professore associato di neuroscienze a Yale. Succede perché gli oppioidi si sono evoluti anche per alimentare le sensazioni piacevoli che si provano quando si sta con amici e familiari, spiega.

Ci sono molti fattori che contribuiscono alla dipendenza, e l’isolamento è spesso uno di questi. Negli ultimi decenni, negli Stati Uniti il tasso di mortalità per overdose è quadruplicato perché l’isolamento sociale è aumentato. Da uno studio è emerso che dal 1985 al 2004 la rete sociale di uno statunitense medio si è ridotta di un terzo, e il numero di persone che affermano di non avere nessuno con cui confidarsi è triplicato. Solo circa la metà dei partecipanti a un sondaggio del 2018 sentiva di avere qualcuno a cui potersi rivolgere sempre o quasi sempre.

La pandemia potrebbe aver aumentato questo disagio. Da uno studio del 2021 è emerso che più del 60 per cento dei giovani adulti degli Stati Uniti dice di essere da solo spesso o quasi sempre.

Il legame tra oppioidi e sentimenti di amore e connessione offre anche indizi su chi è più vulnerabile. Le persone che hanno subìto traumi infantili o sono state abbandonate sono ad alto rischio di dipendenza dagli oppioidi. Anche le persone con malattie mentali o disturbi dello sviluppo, che spesso portano all’isolamento, sono altamente predisposte. Una condizione socioeconomica bassa o in calo aumenta il rischio di consumo di oppioidi, in parte perché può erodere i legami sociali.

La ricerca ha anche dimostrato che il basso capitale sociale – che è la misura di quanto le persone si sentono interconnesse, si fidano l’una dell’altra e pensano di far parte di una comunità – è fortemente legato ai decessi per overdose. Uno studio che ha esaminato la situazione delle singole contee degli Stati Uniti ha rilevato che in quelle dove ci sono più organizzazioni civiche e non profit e una maggiore partecipazione alle elezioni e ai censimenti (tutte cose collegate alla fiducia e alle reti sociali) il numero di morti per overdose era molto inferiore.

Capire la natura sociale della dipendenza dovrebbe aiutare i politici a prendersi più cura delle persone che ne soffrono. Piuttosto che essere punito, chi ha una dipendenza ha bisogno d’imparare modi più sani di affrontare la vita, e questo richiede una varietà di risorse. Alcuni hanno bisogno di farmaci psichiatrici, compresi gli stessi oppioidi (l’uso a lungo termine di metadone o buprenorfina è l’unico trattamento che ha dimostrato di ridurre almeno della metà il tasso di mortalità per overdose). Altri hanno bisogno di una terapia, di un alloggio stabile o di un lavoro soddisfacente. Altri ancora hanno bisogno di nuovi amici. E molti hanno bisogno di tutte queste cose insieme.

Nessuno deve finire in prigione semplicemente perché ha cercato di stare bene. Per parafrasare lo scrittore Johann Hari, l’opposto della dipendenza non è l’astinenza, è l’amore. ◆ bt

Maia Szalavitz

è una giornalista statunitense. Questo articolo è uscito sul New York Times con il titolo Opioids feel like love. That’s why they’re deadly in tough times.

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Questo articolo è uscito sul numero 1458 di Internazionale, a pagina 104. Compra questo numero | Abbonati