“Il peronismo è un’invenzione argentina, inspiegabile per il resto del mondo”, afferma Daniel Narezo, 54 anni, proprietario dei ristoranti Perón Perón. “Non è né di destra né di sinistra. Siamo un movimento che riunisce molte correnti diverse, ma convergiamo su un’idea comune: l’interesse per i più deboli”.

Nel suo ufficio nel quartiere Palermo di Buenos Aires, Narezo racconta di essere stato un militante fin da giovanissimo e che le unità di base (le sedi del partito) erano terribili: “Fredde, umide, noiose”. Così gli è venuta l’idea d’inventare un luogo di ritrovo e di dibattito che fosse più interessante. Nel 2010 un’amica gli disse che il suo bar stava per fallire e lui le propose di aprire un ristorante di partito: i piatti avrebbero avuto nomi di fantasia. Chiamò il tagliere di salumi Pedro Eugenio, in riferimento al presidente de facto Pedro Eugenio Aramburu, rapito e assassinato dall’organizzazione guerrigliera peronista dei Montoneros. L’idea funzionò. “I giornali nemici del peronismo ci criticarono, ma così ci aiutarono a farci conoscere da molti compagni”, dice Narezo, e racconta che il suo obiettivo è che nel ristorante si possa gustare “un pasto casalingo come quello che preparavano le nostre nonne”. Un esempio: l’osso buco con la polenta. E naturalmente il pastel de papas (il pasticcio di carne e patate), “il preferito di Perón”.

La cucina è un atto politico

Tra i clienti si crea un’atmosfera di confidenza: “Le persone chiacchierano o scherzano con quelle degli altri tavoli. Siccome ci consideriamo tutti compagni, essere qui significa avere già molto in comune”. I suoi ristoranti sono facilmente riconoscibili per l’estetica: ci sono murales, foto e altari riconducibili alla scenografia del partito.

Narezo racconta di aver preso spunto da La Bodeguita del Medio all’Avana e anche qui le persone possono lasciare dei messaggi: sulle pareti si leggono saluti, auspici e commenti politici. Qualcuno ha scritto la frase dell’ex presidente argentina e peronista Cristina Fernández de Kirchner: “L’amore vince sull’odio”, un altro ha riportato quella di Perón: “All’amico tutto. Al nemico nessuna giustizia”. Tra il 1946 e il 2023 l’Argentina ha avuto sei presidenti peronisti, dal capostipite Juan Domingo Perón ad Alberto Fernández, che hanno vinto dieci elezioni.

“Il mio non è un locale a tema”, chiarisce Gonzalo Alderete Pagés, originario di Salta, 50 anni, che aveva già lavorato come chef nei ristoranti Perón Perón e ora è proprietario di Santa Evita. “È un ristorante politico e questa è una forma di militanza. Le unità di base hanno perso terreno e proprio nel momento in cui Milei sta demolendo le leggi peroniste e in cui abbiamo più bisogno di stare insieme”.

Al ristorante Santa Evita c’è un altare con una foto di Eva Duarte de Perón, candele, fiori e una macchina da cucire Singer, come quelle che la first lady regalava a chi ne faceva richiesta. Il piatto della casa è l’empanada salteña (fagottino di pasta ripieno di verdure o carne), preparata in un forno di argilla. “Posso affermare senza alcun dubbio che questa è una delle cinque empanadas migliori dell’Argentina”, dice con orgoglio, ed elenca i pesci che cucina al forno: muggini, ombrine, sogliole. Secondo Pagés, gli argentini stanno attraversando un’adolescenza gastronomica. “Hanno molti pregiudizi, mangiano per imitazione e per moda. Esitano quando hanno a che fare con sapori agrodolci o piccanti e cibi fermentati. Dovremmo ampliare i nostri gusti. Per questo preparo piatti che sono una sfida per il palato e che insegnano alle persone a provare i sapori e i contrasti: uso spezie come la cannella, i chiodi di garofano, l’anice stellato o lo zucchero di canna”. E aggiunge: “La cucina è un atto politico. La gente pensa di scegliere quello che mangia: in realtà, sceglie all’interno di quello che le offrono. Io cerco di sottrarmi all’egemonia della carne bovina, cucinando bufalo o cinghiale. In questo modo vendo un prodotto associato all’alta cucina, come la selvaggina, a un prezzo popolare, in un ristorante peronista”. Ogni sera nei ristoranti Perón Perón e al Santa Evita si ascolta Los muchachos peronistas, l’inno del partito (che agli inizi si chiamava Partito peronista e nel 1964 è diventato Partito giustizialista).

Alcuni clienti si alzano in piedi e cantano a squarciagola: “Per quel grande argentino / che ha saputo conquistare / la grande massa del popolo / lottando contro il capitale!”. Altri sorridono imbarazzati o restano in silenzio. “Si vede subito chi è peronista”, dice Pagés.

Sara Penco, insegnante, si avvicina al muro con un pennarello. Vive a Piriápolis, in Uruguay, ed è la prima volta che viene qui a pranzo. È peronista per convinzione e per tradizione familiare. Suo padre Manuel, morto qualche anno fa, era un componente del Partito giustizialista. Scrive: “Manolo, eccoci qui a costruire la patria”.

Prezzi popolari

Nelle vetrine di un altro locale peronista, Un Café con Perón, sono esposti una camicia di seta indossata da Juan Domingo Perón, carte da gioco e francobolli con il suo volto, lettere scritte da lui, medaglie, una candela usata durante la sua veglia funebre e libri che facevano parte della sua biblioteca. All’ingresso, sul tavolo, c’è una statua di Perón a grandezza naturale che sorride. “Questo non è solo un bar, è anche un pezzo di storia argentina”, dice Leonardo Duva, presidente della cooperativa che gestisce il locale.

Nelle vetrine di un altro locale sono esposti una camicia di seta di Juan Domingo Perón, francobolli con il suo volto e lettere scritte da lui

La struttura, che si trova nello stesso isolato della Biblioteca nazionale, apparteneva al palazzo Unzué, simbolo dell’aristocrazia di Buenos Aires all’inizio del novecento. Perón la usò come residenza durante i suoi primi due mandati. È stata dichiarata monumento storico nazionale e oggi ospita anche l’Istituto Juan Domingo Perón. “Qui non suoniamo la marcia peronista. Non ne abbiamo bisogno”, dice Duva con un sorriso, e spiega che nel retro del bar c’è un piccolo cinema dove viene proiettato un documentario che racconta la storia del palazzo.

Il menù si basa sulla gastronomia di Buenos Aires: bistecche, cotolette, i classici panini chiamati choripán e il pasticcio di carne. “Anche se siamo nel cuore della Recoleta (un quartiere centrale della capitale argentina) abbiamo prezzi popolari”, dice Duva. Racconta l’aneddoto di un anziano che ha cominciato a impallidire dopo aver mangiato un pasticcio di carne e patate accompagnandolo con due bottiglie di vino. Hanno chiamato l’ambulanza. Temevano per la sua vita. Un attimo prima che arrivassero gli infermieri l’uomo ha chiamato Duva, gli ha chiesto di non dire nulla al figlio e gli ha confessato: “Il dottore mi ha detto di non bere vino, ma se muoio qui, nella casa di Perón e di Evita, non sarebbe un dispiacere”.

L’edificio che ospita il museo Evita fu costruito nel 1923 ed era un piccolo albergo in stile francese. Anni dopo fu ristrutturato e nel 1948 fu acquistato dalla fondazione Eva Perón che lo trasformò in una casa di accoglienza.

Qui arrivavano donne che non avevano una casa o con problemi di salute e di lavoro. Molte di loro restavano una settimana, mentre gli assistenti sociali le aiutavano. Il museo è stato inaugurato nel 2002. Ci sono tredici sale in cui sono esposti abiti di gala, cappelli, il documento d’identità della first lady, foto, pubblicazioni e le lettere che Perón le inviò quando era imprigionato sull’Isola Martín García, in cui le prometteva di sposarla non appena fosse stato liberato.

Quando però gli chiediamo se il ristorante del museo è peronista, il responsabile esita e sembra a disagio. Resta in silenzio per un momento. “Il quartiere non è peronista”, dice, e indica calle Juan María Gutiérrez, nel cuore di Palermo. “Per la zona e i prezzi direi che non rientra negli ideali del peronismo: è più orientato al turismo”. Poi spiega che il menù è italoargentino: pasta, carne e pesce. Alle pareti ci sono dipinti che raffigurano Eva Perón (1919-1952) realizzati da diversi artisti argentini. “L’unica cosa che si potrebbe definire di partito è lo stemma all’esterno”, spiega Gutiérrez, indicando un’opera a forma di scudo con quattro ruote dentate sul davanti. Piuttosto concettuale, senza sigle e senza alcun riferimento al peronismo.

Juan Bernhard, cameriere dell’Nk Ateneo, non dimostra i suoi 64 anni. Indossa camicia e pantaloni neri e ha una spilla con lo stemma del Partito giustizialista. “Non la indosso per ingraziarmi il proprietario. Il peronismo ce l’ho nel sangue. La mia casa era un baluardo militante”, dice a pochi metri da un tavolo con una statua di Néstor Kirchner, peronista e presidente dell’Argentina dal 2003 al 2007.

Bernhard racconta che durante la campagna presidenziale si tenevano riunioni aperte per discutere di azioni politiche. La specialità della casa è la carne alla griglia, soprattutto l’agnello della Patagonia, il piatto preferito di Kirchner. Ci sono anche pasta, pesce e piatti veloci. “Ho discusso con alcuni compagni che parlavano male di Evita per quella foto”, dice, e indica una foto che ritrae Eva Duarte accanto al dittatore Francisco Franco. “Non con i clienti. Ma se qualcuno entra con l’atteggiamento sbagliato, lo accompagno alla porta”. E spiega: “Se vieni a mangiare, chiudi il becco e porta rispetto. Altrimenti vai altrove”.

Nicolás Quirno Costa si definisce un nostalgico. Forse per questo ha voluto che il ristorante La Capitana, inaugurato nel luglio 2022, richiamasse l’Argentina degli anni quaranta e cinquanta: quella del primo peronismo. Per arredarlo ha visitato vari negozi di antiquariato. La cucina propone piatti dell’epoca: milanesa a la napolitana, empanadas. “Non vogliamo innovare. Cerchiamo i sapori di quegli anni”, dice, e spiega che nel ristorante si ascoltano tango (Nelly Omar, Tita Merello, Carlos Gardel), bolero, jazz e foxtrot.

Per Costa il peronismo è una filosofia che cerca di capire la vita, cercando di immedesimarsi negli altri: “È sapere che non ci si può realizzare se gli altri non si realizzano. Qui accogliamo un pubblico molto vario. Ma a differenza di altri ristoranti, non abbiamo niente contro gli antiperonisti. Ovviamente chi ci odia e pensa che il peronismo sia la cosa peggiore dell’Argentina lo vedrà come un ostacolo. Qui intoniamo anche il canto della marcia peronista”, spiega. “Ma se viene un antiperonista lo serviamo bene, come tutti gli altri. Cerchiamo di convincerlo a entrare nel partito. Gli diciamo: ‘Hai visto che, alla fine, noi compagni non siamo poi così male?’”. ◆ fr

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Questo articolo è uscito sul numero 1558 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati