Un pomeriggio di giugno del 2018 un uomo di nome Mickey Barreto fa il check-in al New Yorker Hotel. È appena arrivato dalla California. Gli viene assegnata la stanza 2565, una doppia con vista sul centro di Manhattan quasi interamente oscurata da un muro esterno. Per un soggiorno di una notte l’uomo paga 200 dollari e 57 centesimi.

La mattina dopo, però, non lascia l’albergo. Al contrario, trasforma l’hotel nella sua casa per i successivi cinque anni, senza mai pagare un centesimo.

In una città in cui i patrimoni immobiliari sono fuori mercato per i prezzi troppo alti e in cui gli appartamenti abbordabili sono merce rara, Barreto ha trovato la migliore offerta abitativa nella storia di New York. Ora, però, quell’affare potrebbe farlo finire in carcere.

Barreto ha un debole per le teorie del complotto e senza prove rivendica di essere il cugino di undicesimo grado del figlio maggiore di Cristoforo Colombo. La storia di come ha ottenuto e poi perso i diritti sulla stanza 2565 potrebbe sembrare poco plausibile. Eppure è vera.

Nonostante le sue idee inverosimili, su una cosa Barreto – che ha 49 anni, è nato a Uruguaiana, in Brasile, e si è trasferito negli Stati Uniti all’inizio degli anni novanta – aveva ragione: esiste un’oscura legge sugli affitti della città di New York che gli garantiva il sogno di molti newyorchesi.

In quel pomeriggio d’estate di quasi sei anni fa Barreto ha attraversato le porte girevoli dell’hotel sulla Eighth avenue ed è entrato nella hall con al centro un lampadario art déco di sei metri di diametro, un tributo all’architettura geometrica dell’albergo.

Quando aprì in pompa magna nel 1930, il New Yorker hotel non era solo l’albergo più grande della città, ma anche il secondo più grande del mondo. Era opulento e futuristico, con 92 centralinisti, un impianto di produzione di energia e una radio a quattro canali in ogni stanza. Oggi quell’aura mistica è sbiadita, anche se la struttura, grazie alla sua posizione centrale, attira ancora turisti. Meno della metà delle stanze sono disponibili per gli ospiti, il tappeto del corridoio è usurato e punteggiato da una schiera di distributori automatici che vendono bibite gasate e merendine. La maggior parte dell’edificio è occupato dai seguaci del reverendo Sun Myung Moon, il capo di una setta coreana che ha comprato l’edificio nel 1976 facendone la sede della sua organizzazione.

La stanza assegnata a Barreto era piccola, perfino per gli standard di New York: poco meno di diciotto metri quadrati. I letti occupavano gran parte della superficie, rivestita di una moquette bordeaux e oro. Nel minuscolo armadio c’era spazio solo per pochi vestiti. C’era anche una televisione da 42 pollici con l’abbonamento al canale Hbo.

In alcune recenti interviste, Barreto ha raccontato cos’è successo in seguito. Quando parla, oscilla tra lucidità e instabilità. Dice di aver avuto attacchi di panico e convulsioni, ma aggiunge che non gli è mai stata diagnosticata una malattia mentale (anche se sostiene di essere il capo di una tribù indigena da lui fondata in Brasile).

Equo canone

Gran parte della storia di Barreto trova riscontro in anni di carte processuali, ma uno dei momenti cruciali della vicenda è solo nel suo racconto. La prima notte l’uomo si è sistemato nella stanza affacciata sulla città insieme al suo partner, Matthew Hannan. Prima di allora, spiega, Hannan gli aveva citato di sfuggita un aspetto singolare della legge sugli affitti calmierati negli hotel di New York. I due allora hanno acceso i loro portatili, cercando di capire se quella norma, una sezione poco conosciuta di una legge statale sugli alloggi, valesse per il New Yorker hotel.

Approvato nel 1969, il Rent stabilization act definisce un sistema di regolazione dei canoni in tutta la città, che si applica anche a una certa categoria di camere d’albergo, in particolare quelle dei grandi hotel costruiti prima del 1969 che nel maggio 1968 avevano stanze disponibili a meno di 88 dollari a settimana.

Secondo la norma, un ospite dell’albergo può diventare un abitante permanente, chiedendo un contratto di locazione a una tariffa ribassata. Inoltre tutti gli ospiti diventati inquilini avrebbero diritto agli stessi benefici dei clienti giornalieri, tra cui il servizio in camera, le pulizie e l’uso delle strutture interne, come la palestra. La stanza diventa, in sostanza, un appartamento.

Sarebbe ragionevole pensare che la mossa di Barreto fosse orchestrata fin dall’inizio, ma lui sostiene di no.

Secondo i documenti processuali, la mattina del giorno successivo l’uomo ha lasciato la stanza, è sceso con l’ascensore e ha salutato un impiegato alla reception. Poi gli ha consegnato una lettera indirizzata al direttore, nella quale chiedeva un contratto di affitto di sei mesi. L’impiegato allora ha chiamato il direttore e, dopo una breve conversazione, ha detto a Barreto che non era possibile affittare la stanza, chiedendogli di liberarla entro mezzogiorno. La coppia, però, non ha portato via le sue cose, per cui i fattorini hanno sgomberato la camera. Allora Barreto è andato al tribunale di Lower Manhattan, che si occupa di dispute sulla casa, e ha fatto causa all’hotel.

Nelle tre pagine di deposizione scritta a mano, datata 22 giugno 2018, Barreto citava leggi statali, norme locali e precedenti giudiziari, sostenendo che la sua richiesta di un contratto di locazione lo rendeva un “inquilino permanente dell’hotel”. Lo sgombero dei suoi effetti personali equivaleva a uno sfratto illegale, concludeva.

Nell’udienza del 10 luglio, in assenza di rappresentanti legali dell’albergo che si opponessero alla richiesta, il giudice Jack Stoller si è pronunciato a favore di Barreto. Stoller non solo gli ha dato ragione, ma ha ordinato all’hotel di “restituire tempestivamente al richiedente la proprietà dei locali fornendogli una chiave”. Nel giro di qualche giorno Barreto è tornato alla stanza 2565, stavolta in qualità di residente.

L’ordine del giudice

Tornati nella stanza dopo la sentenza, Barreto e il suo partner hanno letto e riletto il pronunciamento del giudice Stoller. La sentenza non li obbligava a pagare un affitto e non prevedeva alcun limite al loro soggiorno. Ma c’era una parola che veniva ripetuta più volte in tutto il documento: “proprietà”. A Barreto era stato comunicato un “provvedimento definitivo di proprietà”.

L’uomo racconta di aver chiamato il tribunale per chiedere che qualcuno gli spiegasse bene il significato di quel “proprietà”. “Lei ha la proprietà”, signor Barreto, così gli avrebbero risposto, dice, enfatizzando lentamente e con forza ogni sillaba di quell’ultima parola. “Non è un inquilino. Lei ha la proprietà di un immobile”.

“Cavolo, tra le sviste del dipartimento del catasto questa le batte tutte”

E come viene registrata la proprietà di un immobile? A New York si va al dipartimento delle finanze. Con l’ordinanza del giudice in mano, Barreto e Hannan sono andati negli uffici del dipartimento nel quartiere di Lower Manhattan. Barreto racconta di aver chiesto a un dipendente di registrare a suo nome la stanza 2565, come avrebbe fatto un nuovo proprietario di casa, ma il funzionario gli avrebbe risposto che si trattava di un’operazione impossibile perché l’albergo, a differenza degli appartamenti, non è diviso per stanze nel catasto comunale. In archivio l’immobile risultava come un’unica entità. Quindi, citando l’ordinanza del giudice, Barreto ha compilato i documenti dichiarando la proprietà. “Se ho il diritto di registrarlo tutto a mio nome, allora lo registrerò tutto a mio nome”, pensava.

A New York un passaggio di proprietà viene protocollato nell’Automated city register information system (sistema informatico automatizzato del registro cittadino, Acris), che contiene i dati catastali di tutti gli immobili. Migliaia di documenti come atti di proprietà e mutui sono pubblicati quotidianamente, troppi perché gli impiegati possano esaminarli con cura prima che siano messi online. Barreto ha provato più volte a presentare un atto di proprietà, ma la sua domanda veniva sempre respinta per motivi tecnici. Al sesto tentativo, gli hanno detto che avrebbe dovuto contattare l’ufficio dello sceriffo, all’interno del dipartimento delle finanze. Barreto racconta di aver parlato con un investigatore, che gli ha chiesto perché aveva fatto tante richieste. Lui gli ha risposto che gli era stato riconosciuta la proprietà dell’immobile, ma che c’erano difficoltà tecniche.

Intanto i proprietari dell’albergo gli avevano a loro volta fatto causa per sfrattarlo, sostenendo che il New Yorker hotel era esente dalla legge a cui si appellava l’inquilino della stanza 2565. Alla fine, però, gli avvocati dell’albergo non sono riusciti a fornire la documentazione necessaria. Il giudice ha archiviato la causa.

Barreto ha richiesto per la settima volta un atto di proprietà. E stavolta gli è stato concesso.

I diritti

Il pomeriggio del 17 maggio 2019, quasi un anno dopo aver prenotato il suo primo soggiorno di una notte, Barreto è stato identificato dall’Acris come il proprietario del New Yorker hotel, un edificio di più di 110mila metri quadri. Adesso con un atto registrato dimostrava di possedere l’hotel, ma l’unico vero padrone dal 1976 era in realtà l’Unification church del reverendo Moon.

Le mosse successive di Barreto sono andate ben oltre i diritti di un ospite permanente. Ha inviato un’email a un avvocato dell’albergo, chiedendo di conoscere i bilanci della struttura e aggiungendo che avrebbe dovuto riscuotere quindici milioni di dollari di profitti. “Questo pagamento è insoluto e va saldato immediatamente”, ha scritto.

Alcuni giorni dopo, un’altra richiesta: il 38° piano doveva essere liberato dagli ospiti. “Devo fare il prima possibile un’ispezione dell’edificio con il mio architetto”, diceva nel messaggio.

Nel giro di poco tempo l’avvocato gli ha risposto: “A cosa si riferisce?”.

Il New Yorker Hotel, febbraio 2024 (John Taggart, The New York Times/Contrasto)

“Ho diritti di proprietà su questo edificio”, ha ribattuto Barreto. “Ecco a cosa mi riferisco”.

Nelle sue comunicazioni Barreto parlava anche di voler fare delle ristrutturazioni, per esempio voleva rifare la porta girevole dell’ingresso sull’Eighth avenue tra la 34ª e la 35ª strada. “Quell’area sembra una zona di guerra”, ha commentato. Mentre l’avvocato si affannava a fargli causa per ristabilire la proprietà dell’hotel, Barreto ha inviato un’email alla Wynd­ham Hotels and Resorts, la società che gestiva la struttura, comunicando che adesso era lui il proprietario. Un rappresentante della Wyndham gli ha chiesto di mandargli una serie di documenti legali e di vendita come prova. Barreto allora ha inviato una nota alla M&T Bank, la banca dell’hotel, chiedendo che tutti i conti fossero intestati a lui. L’istituto non ha mai accettato la sua richiesta.

Un giorno Barreto è entrato nel Tick Tock diner, il ristorante collegato alla hall da una doppia porta, e ha consegnato una lettera ai proprietari. Gli assegni mensili per il pagamento dell’affitto, diceva nel messaggio, da quel momento in poi dovevano essere mandati a un nuovo indirizzo: la stanza 2565. Uno dei proprietari del locale, Alex Sgourgos, l’ha riconosciuto. Barreto e Hannan mangiavano spesso al Tick Tock, un posto aperto a tutte le ore in stile anni cinquanta, con luci al neon, tavoli rossi e menù di plastica. I due uomini ordinavano spesso la colazione, panini e primi di pollo, racconta Sgourgos, e pagavano in contanti. “Sembravano dei tipi strani”, aggiunge.

Dopo aver visto la lettera, Sgourgos ha chiamato la Unification church, che l’ha invitato a ignorare le richieste di Barreto. La coppia poi ha continuato a mangiare al ristorante, racconta, e non ha più fatto cenno al pagamento dell’affitto.

Due giorni dopo quella visita al Tick Tock l’avvocato dell’albergo era in tribunale a spiegare la situazione e a supplicare il giudice di ordinare a Barreto di non presentarsi più come il proprietario.

Negli Stati Uniti capita a volte che archivisti municipali sovraccarichi di lavoro accettino degli atti di proprietà presumendo che siano legittimi, e che alcuni speculatori immobiliari approfittino della situazione. Ma Bill Lienhard, un avvocato che ha rappresentato molte persone che avevano subìto il furto di titoli di proprietà a New York, si è detto stupito dell’apparente facilità con cui il signor Barreto aveva intestato a suo nome un hotel di 41 piani a Manhattan. “Cavolo”, ha commentato, “tra le sviste del dipartimento del catasto questa le batte tutte”.

Difendendosi da solo in tribunale, Barreto ha ribadito di non aver mai fatto niente di male. “Sono andato dalle persone a dichiararmi proprietario solo dopo aver ottenuto l’atto”, ha dichiarato di fronte ai giudici.

Qualche mese dopo il giudice ha emesso la sentenza: “L’atto in oggetto è un falso sotto tutti i punti di vista”, ha scritto. Barreto non era il proprietario dell’immobile. Ma non è finita lì.

Nonostante la sentenza del giudice, Barreto era ancora legalmente residente nell’albergo. La sua stanza, la 2565, si trova quasi alla fine di un corridoio lungo e stretto che procede a zig-zag dagli ascensori. Dietro l’angolo c’è la 2549, dove nel 1971 Muhammad Ali passò la notte dopo aver perso l’“incontro del secolo” contro Joe Frazier al Madison Square garden.

Parente di Colombo

Non avendo un lavoro, ogni giorno Barreto passava ore nella sua stanza a fare ricerche sulla storia della sua famiglia in Brasile. Ha un volto spigoloso e giovanile, un taglio di capelli in stile militare, e quando parla si tocca nervosamente i vestiti. Un suo parente ha raccontato che a scuola era uno studente brillante, che non si era mai messo nei guai, e che si era trasferito negli Stati Uniti negli anni novanta. Da adolescente era considerato il più intelligente della famiglia.

Negli ultimi anni, però, aveva sviluppato un’ossessione per la sua genealogia, affermando di aver scoperto una diretta connessione con Cristoforo Colombo tramite i reali portoghesi. In una dichiarazione depositata al tribunale civile nel 2021 ha cominciato a invocare il nome dell’esploratore: “Il mio nome di famiglia è Muniz Barreto Columbus”, ha scritto.

Barreto si è anche messo a indagare sulle origini della Unification church nella penisola coreana, sui suoi crescenti interessi economici in altri continenti e sui legami commerciali con la Corea del Nord. Si è convinto che i leader della chiesa mandavano gli introiti dell’organizzazione, compresi quelli dell’hotel, alla Corea del Nord, violando le sanzioni imposte dagli Stati Uniti. In un’intervista, ha spiegato che i suoi sospetti sulla situazione finanziaria della chiesa erano diventati il motivo principale che lo spingeva a restare nell’albergo. L’ha definito il suo dovere patriottico di cittadino statunitense, paragonandosi a una persona che prima dell’11 settembre avrebbe avuto la possibilità di fermare uno dei dirottatori. “Mi dispiace di aver ostacolato il vostro tentativo di finanziare armi di distruzione di massa”, ha detto l’uomo. “Qui si tratta di Mickey Barreto contro la Corea del Nord”.

Anche se Moon, morto nel 2012, era nato nell’attuale Corea del Nord, i legami tra la sua chiesa e il paese d’origine non sono dimostrati. La setta, però, è stata oggetto di forti attenzioni in Giappone dopo l’uccisione dell’ex primo ministro Shinzō Abe nel 2022. Il presunto assassino riteneva che Abe avesse legami con la chiesa di Moon, che da tempo è accusata di adescare persone vulnerabili per convincerle a fare donazioni in Giappone e altrove.

Un portavoce della Unification church si è rifiutato di rilasciare commenti riguardo alle accuse di Barreto, al suo soggiorno nell’albergo o ai processi.

Negli ultimi anni Barreto aveva avuto la meglio in due processi diversi: aveva il diritto a un contratto di affitto a canone calmierato per una stanza al New Yorker, e aveva accesso al servizio in camera, alle pulizie e a tutti i servizi dell’hotel. Ma si rifiutava di firmare un contratto. E di pagare un affitto.

Il primo contratto di locazione offerto dall’hotel secondo lui superava il canone d’affitto fissato dalla legge. Negli anni ha anche respinto ulteriori offerte, dichiarando di avere sospetti su come la chiesa di Moon gestiva la finanze.

Alla fine nel 2023 l’albergo ha avuto finalmente la meglio in tribunale. Un giudice si è pronunciato in suo favore, citando il rifiuto di Barreto di pagare e di firmare un contratto. A luglio Barreto è stato sfrattato.

Anche quando il secondo procedimento di sfratto è andato avanti arrivando fino al tribunale per le dispute sulla casa, lui non ha smesso di presentarsi come il proprietario dell’immobile. A settembre ha presentato un altro atto che dimostrava che l’hotel era stato nuovamente intestato a lui, e che il comune aveva accettato quella disposizione. Con il passaggio di proprietà, sosteneva, l’hotel aveva perso un’esenzione fiscale, facendo salire la tassa di proprietà di 2,9 milioni di dollari.

Tornati in tribunale, gli avvocati dell’hotel hanno chiesto al giudice di denunciare Barreto per oltraggio alla corte, e il 7 febbraio un magistrato ha annunciato che ci sarebbe stata un’altra udienza.

Una settimana dopo, prima dell’alba, alcuni ufficiali di polizia si sono presentati all’appartamento nell’Upper West side abitato da Barreto e Hannan. Barreto è stato arrestato e citato in giudizio nella stessa mattina in un tribunale di Manhattan con 24 capi d’accusa, tra cui quattordici reati di frode, in quello che la procura ha definito un piano criminale per rivendicare la proprietà dell’hotel.

Hannan, che secondo Barreto non era coinvolto al di là del fatto che aveva soggiornato con lui nell’albergo in quei cinque anni, non ha ricevuto alcuna accusa.

Oggi Barreto è in attesa di processo presso la corte suprema di New York e rischia diversi anni di carcere. Ha raccontato che in prigione, prima di essere rilasciato sulla parola, avrebbe usato la sua unica telefonata disponibile per chiamare la Casa Bianca e comunicare dove si trovava.

Non c’è motivo di credere che la Casa Bianca abbia interesse nel caso o una qualche idea di chi sia Mickey Barreto. Ma con Mickey non si può mai sapere. Ha già avuto ragione una volta. ◆ fdl

Biografia

1974 Nasce a Uruguaiana, in Brasile.
1990 Si trasferisce in California.
2018 Va a New York e prende una stanza per una notte al New Yorker hotel. Chiede di restare pagando un affitto calmierato e, dopo il rifiuto dei proprietari, fa causa all’hotel.
2019 Ottiene un certificato che stabilisce che è proprietario dell’intero albergo.
2023 Condannato da un tribunale e sfrattato, ora potrebbe finire in prigione.


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Questo articolo è uscito sul numero 1558 di Internazionale, a pagina 74. Compra questo numero | Abbonati