Per David Lynch la felicità sta nella routine, nel ripetersi delle situazioni, mentre il viaggio che eleva dev’essere quello della mente. Nel 1973 il regista concepì una strip minimale all’estremo, che consisteva in una singola immagine con una casa, un giardinetto e un cane ripetuta in tutte le vignette. Variavano soltanto i dialoghi. Esistenzialista e rabbioso, quel lavoro ebbe un’influenza importante sul fumetto, in particolare sull’opera del francese Lewis Trondheim. Minimali­sta e concettuale, l’umorismo di Trondheim è figlio della grande tradizione del non-sense, quella di Alice nel paese delle meraviglie. Da sceneggiatore, in coppia con Keramidas, decostruisce l’universo disneyano per una collana, Disney collection, reinterpretandolo liberamente. Siamo in un universo alterato, intorpidito e ingrigito. Paperino è disegnato male e al contempo benissimo. Lui e gli altri personaggi hanno le espressioni distorte o asimmetriche, ma è evidente la destrezza grafica. Con queste maschere postmoderne, ormai infelici e disconnesse, si ride ma tra le righe. Paperino che va Alla ricerca della felicità, come recita il sottotitolo, alla fine la troverà, nell’eterno presente dei piccoli piaceri della vita di tutti i giorni che equivalgono all’eterna ripetitività delle situazioni in cui sono rinchiusi, come in un limbo, tutti i personaggi del fumetto popolare.

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Questo articolo è uscito sul numero 1483 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati