Il milanese Marco Rota è tra i migliori autori Disney della scuola italiana, rinomata in tutto il mondo. Specialista della quotidianità, il suo Paperino ha sempre l’espressione e la posa perfetta in ogni situazione. Il primo racconto, Paperino pendolare, del 1977, si apre con una straordinaria tavola a tutta pagina in cui Paperino contempla dall’alto il viavai incessante di treni dalla stazione ferroviaria. Una citazione e insieme reinvenzione delle celebri visioni metropolitane che aprivano i fumetti di Carl Barks negli anni cinquanta. Il segno grafico è preciso anche nelle architetture e il modo in cui la stazione centrale di Milano diventa la stazione di Paperopoli è quasi onirico: gli spazi sono dilatati con effetto straniante. Al contempo, con piccoli tocchi di pennello, quasi delle macchie, Rota riesce a restituire questa giungla sterminata e uniforme di pendolari e automobili. Come nel secondo racconto, Ingorgopoli, del 2019, quasi il rovescio del primo, perché la minuscola utilitaria di Paperino, che qui pare di gomma, è la vera protagonista. Nel teatrino disneyano, Rota fa di Paperino una perfetta maschera all’interno di una meccanica narrativa esemplare, con qualcosa dell’ultimo Jacques Tati. Questi racconti sono due apologhi satirici e minimalisti sull’alienazione moderna, a tratti dal tono surreale, che completano quelli di Pianeta Paperone, sempre Panini Comics. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1499 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati