Più passa il tempo e più acquisiscono in forza e bellezza queste storie di memoria e dolore pubblicate nella seconda metà degli anni novanta, disegnate dall’argentino José Muñoz e sceneggiate dallo statunitense Jerome Charyn. In Panna Maria, siamo nella New York dei primi decenni del novecento, in un caseggiato che ospita prostitute polacche gestito in realtà dai boss del Partito democratico, i quali dominano la città in guerre losche con i repubblicani. Ma le donne malgrado tutto si ribellano, minacciando uno sciopero senza precedenti per proteggere dagli abusi proprio colui che era incaricato di sfruttarle ma che si è redento grazie al suo amour fou. Nel sublime Il morso del serpente, in un’imprecisata epoca contemporanea si scivola da New York al Cile, al seguito di una storia di traffico di droga e di fratelli. Ma il fratello che deve salvare il fratello è qui invece una sorella, una sergente di polizia. Immagini di rara eleganza e suggestione magnificano il personaggio di una poliziotta in verità androgina, in fin dei conti gender ante-litteram, che a New York pare The Shadow e in Cile lo Zorro di Alex Toth (riproposto da Nona Arte in un volume con i neri dalla stampa perfetta), padre stilistico-spirituale di Pratt insieme a Milton Caniff e quindi dello stesso Muñoz. Il quale amplifica il senso di tutto con incessanti volti diafani da cinema muto, isolando spesso occhi e sguardi che ci scrutano nell’anima. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1541 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati