La foto l’ha scattata Omar Martínez, fotoreporter del quotidiano La Jornada Baja California, a Tijuana, in Messico. Si vede un gigantesco magazzino di Amazon bianco e azzurro. È nuovo e scintillante. Tutt’intorno una selva di baracche marroni, lamiera e cartone, strade sterrate, macchine sfasciate.

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Fino a poco tempo fa, ha scritto Charmaine Chua, economista dell’università della California, lo snodo più importante per la logistica di Amazon era l’Inland Empire, una regione a due passi dai porti di Los Angeles e di Long Beach, da cui transita il 40 per cento di tutte le merci destinate agli Stati Uniti. E dove terra e manodopera sono a buon mercato. Ma con la guerra commerciale di Donald Trump contro Pechino, le tariffe applicate alle merci importate direttamente dalla Cina sono aumentate molto. “La soluzione? Il Messico”, scrive Chua.

Il nuovo centro di distribuzione di Amazon a Tijuana è grande 32mila metri quadrati ed è costato 21 milioni di dollari, ma non è stato pensato per il mercato locale. Spencer Potiker, un ricercatore dell’università della California, ha capito a cosa servirà.

Alla fine del mandato di Barack Obama è stata introdotta una piccola modifica del Nafta – l’accordo commerciale tra Stati Uniti, Canada e Messico – che permette l’importazione senza costi aggiuntivi per merci il cui valore non superi gli 800 dollari. Sfruttando questa scappatoia, Amazon ha messo a punto un sistema per aggirare i dazi: dalla Cina le merci saranno inviate in Messico, nel nuovo magazzino di Tijuana, qui saranno smistate (da lavoratori pagati 11 dollari all’ora) e trasportate al di là del confine, nel magazzino di Amazon a Otay Mesa, che si trova ad appena 24 minuti di distanza, dove saranno infine spedite in tutti gli Stati Uniti.

Commentando la foto di Martínez, il sociologo spagnolo Carlos Gómez Gil ha scritto: “È un’immagine brutale che riflette in modo crudo l’avanzata delle disuguaglianze nel mondo”. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1428 di Internazionale, a pagina 5. Compra questo numero | Abbonati