L’espressione mercato del lavoro non rende giustizia al rapporto complesso tra le persone e la loro occupazione. A differenza dei normali beni e servizi, come le lastre di acciaio o le tazze di caffè, i lavoratori fanno caso a come sono trattati e hanno altri modi d’impiegare il loro tempo. Tutto ciò è emerso con estrema chiarezza in questi giorni, quando i lavoratori delle ferrovie statunitensi hanno minacciato di scioperare per ottenere migliori condizioni di lavoro, come i congedi retribuiti per motivi di salute. Nel Minnesota le infermiere hanno incrociato le braccia per avere salari più alti e il diritto di rifiutare quelle che considerano condizioni di lavoro rischiose. In Pennsylvania gli operatori delle case di cura hanno appena ottenuto un aumento in busta paga e un limite al numero di pazienti di cui ognuno di loro è tenuto a occuparsi. Tutto questo suggerisce che la mentalità e il potere negoziale dei lavoratori sono cambiati molto negli ultimi anni. Una conseguenza è che la manodopera è diventata più scarsa e più costosa.

È chiaro che le idee e le aspettative dei lavoratori si sono costantemente evolute nel corso dell’ultimo secolo, riflettendo cambiamenti più profondi, per esempio su questioni come il lavoro minorile, il fatto che le mamme dovrebbero restare a casa dopo il parto o che i datori di lavoro dovrebbero pagare gli straordinari e l’assicurazione sanitaria. A volte, però, un singolo evento ha il potere di accelerare il cambiamento. La seconda guerra mondiale impresse una forte spinta alla partecipazione delle donne alla forza lavoro. Allo stesso modo la pandemia di covid-19 ha favorito una riconsiderazione di quello che i lavoratori sono disposti a fare, per quante ore e per quale salario.

Ci sono dei dati empirici che sembrano puntare in questa direzione. Negli Stati Uniti il tasso di disoccupazione è al 3,7 per cento, un livello paragonabile al 2019, ma ci sono molti più posti di lavoro disponibili. La quota di popolazione che lavora o cerca un’occupazione – il tasso di partecipazione – è crollata sensibilmente con la pandemia e non ha ancora recuperato del tutto, soprattutto tra chi ha almeno 54 anni.

Questi dati potrebbero inoltre sottostimare il declino della disponibilità di manodopera. Secondo uno studio condotto da Ayşegül Şahin, dell’università del
Texas ad Austin, insieme a due colleghi, dopo la pandemia quest’indicatore registra una diminuzione tra gli uomini, le donne, gli anziani, i giovani, le persone di mezza età, i lavoratori a tempo pieno e le persone non più in età da lavoro. Secondo gli autori, considerando non solo il numero di persone pronte a farsi assumere ma anche la quantità di ore che avrebbero voluto dedicare al lavoro, alla fine del 2021 le aziende avevano a disposizione molte meno ore lavorative potenziali rispetto al periodo precedente alla pandemia.

Diversi fattori possono erodere la volontà di lavorare. Innanzitutto, alternative come le ore trascorse in famiglia o dedicate al tempo libero possono diventare più allettanti. Lavorare da casa potrebbe essersi rivelato così piacevole che alcuni preferiscono licenziarsi piuttosto che tornare in ufficio. Per alcuni la decisione è stata facilitata dal rialzo delle azioni in loro possesso o dai sussidi governativi. Altri semplicemente hanno cominciato a dare meno valore ai soldi.

In secondo luogo, lavorare di per sé potrebbe essere diventato meno piacevole. Il covid-19 ha reso il lavoro in presenza più rischioso mentre i posti vacanti e le assenze hanno appesantito il carico per chi invece al lavoro doveva andare. Questo è stato un problema cruciale per i ferrovieri, a cui sempre più spesso viene chiesto di coprire i turni di colleghi che sono ammalati o semplicemente assenti, riducendo il loro tempo libero o quello trascorso in famiglia. Questi lavoratori devono comunque fare anche le loro ore regolari. L’ultimo contratto firmato non risolve del tutto il problema, ma se non altro prevede un aumento dei congedi per malattia.

In alcuni casi l’effetto delle condizioni di lavoro è abbastanza evidente. Già molto tempo prima del covid-19 i lavoratori delle case di riposo si sentivano sovraccarichi e sottopagati. È quanto sostiene Matthew Yarnell, presidente della Seiu health­care Pennsylvania, il sindacato che di recente ha negoziato il contratto con diverse residenze per anziani nello stato. In un turno giornaliero di sette ore e cinquanta minuti, un infermiere qualificato può ritrovarsi a seguire venti – ma a volte anche cinquanta – pazienti. “Dipendono quasi tutti interamente da te. Non ci si può prendere cura di tante persone in una sola giornata ed essere felici del proprio lavoro”, dice Yarnell.

La pandemia, continua il sindacalista, ha determinato un picco nella domanda e un’impennata dei rischi sanitari, aggravando la carenza di personale. In tutti gli Stati Uniti il 30 per cento dei dipendenti delle case di riposo ha lasciato il lavoro durante la pandemia. Nel 2019 in Pennsylvania settemila persone avevano fatto domanda per diventare infermieri qualificati. Nel 2020 e nel 2021 si è scesi a duemila domande all’anno. Il crollo era un segnale del fatto che le persone non erano più disposte a tollerare le stesse condizioni di lavoro con lo stesso salario. Con il nuovo contratto la paga oraria è aumentata in media del 20-25 per cento ed è stato limitato il numero di pazienti di cui un infermiere deve occuparsi in un giorno, passato prima a dodici e poi a dieci.

Il ruolo della Fed

Quanto durerà questa nuova mentalità e il suo relativo potere negoziale? Le cose potrebbero essere già sul punto di cambiare: da alcuni sondaggi condotti da Şahin e dai suoi colleghi è emerso che quest’anno i lavoratori sono tornati ad augurarsi un monte ore più alto. Ad agosto è aumentata anche la partecipazione della manodopera e, secondo l’azienda di sicurezza Kastle Systems, ai primi di settembre la quota di persone in ufficio è arrivata al 47,5 per cento rispetto ai livelli precedenti alla pandemia.

E questo prima che la Federal reserve (Fed, la banca centrale degli Stati Uniti) cominciasse a raffreddare l’economia aumentando il costo del denaro. Gran parte del cambiamento nella volontà di lavorare “è determinata da un potere negoziale dei lavoratori storicamente più alto, a sua volta legato a un’alta domanda di personale, alla pandemia globale e a una forte carenza di manodopera”, sostiene Şahin. “Un tasso di disoccupazione superiore al 6 per cento potrebbe capovolgere rapidamente questi punti di vista sul lavoro”. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1480 di Internazionale, a pagina 112. Compra questo numero | Abbonati