Taylor Blake e il suo emù Emmanuel sono praticamente due star di fama mondiale. Milioni di persone su YouTube e TikTok hanno visto il video in cui l’uccello impertinente rovescia la telecamera dell’influencer statunitense nella sua fattoria in Florida. Hanno seguito con attenzione Emmanuel quando ha preso l’influenza aviaria e hanno festeggiato la sua guarigione. Poi, l’estate scorsa, il dramma: su Twitter alcuni utenti hanno annunciato la sua morte con l’hashtag #RIP_Emmanuel. Decine e poi centinaia di messaggi di condoglianze sono stati pubblicati. I fan di tutto il mondo erano in lutto.

A dire il vero, l’emù sta benissimo. A colpire Emmanuel non è stata una rara malattia degli animali, ma una campagna di disinformazione. Sono stati i social network a decretare la sua fine. La dichiarazione di morte dell’emù era in realtà una dimostrazione fornita dal Team Jorge, un gruppo israeliano specializzato nella diffusione di notizie false e nella manipolazione dell’opinione pubblica. I suoi componenti, esperti di comunicazione, si vantano di poter offrire vari tipi di servizi, dalla violazione di account di posta elettronica alla creazione di falsi profili sui social network alle interferenze nelle campagne elettorali. I reporter di Forbidden Stories, un consorzio di giornalisti investigativi, hanno incontrato gli israeliani presentandosi come potenziali clienti e chiedendo una prova delle loro capacità. Il Team Jorge poteva davvero inondare i social network con notizie false, per esempio annunciando la morte dell’emù?

La dimostrazione è servita a provare che usando un esercito di avatar, cioè di profili falsi, il Team Jorge può ingigantire praticamente qualsiasi notizia. E così per qualche giorno il mondo ha creduto che il tenero emù fosse morto. La campagna è stata orchestrata in un ufficio a est di Tel Aviv, in cui di solito non si fabbricano notizie false così innocue, ma operazioni di una certa portata, come la manipolazione di elezioni in Africa. Benvenuti nel mondo della disinformazione.

Hackerare e screditare

All’insaputa dei cittadini di tutto il pianeta, è nata un’industria di notizie false con un fatturato considerevole, che ritocca la realtà al servizio di politici, aziende e, a volte, anche di ricchi privati. Secondo una ricerca del centro studi britannico Oxford Internet Institute, nel 2020 in 81 paesi sono state lanciate delle campagne per manipolare l’opinione pubblica, soprattutto a fini politici.

Le campagne di disinformazione esistono praticamente da sempre, ma dopo l’arrivo di Donald Trump e dei suoi “fatti alternativi” sappiamo quanto possano essere efficaci i social network quando si vuole controllare una società a suon di bugie. Meno noto è chi sono i moderni mercenari della disinformazione e quanti strumenti hanno a disposizione nell’epoca della comunicazione senza frontiere.

Secondo le stime dei servizi segreti di paesi occidentali, le aziende specializzate in questo tipo di propaganda sono una sessantina. “Ma sul mercato mondiale lo spazio per loro è in crescita”, osserva un esperto di sicurezza informatica che lavora per l’intelligence di un paese occidentale. I loro servizi vanno dall’hackeraggio dei telefoni alle campagne per screditare avversari politici o in affari. Non sono necessariamente operazioni illegali, ma nel settore se ne vedono abbastanza per poter dire che ci si muove ai confini della legalità, spesso oltrepassandoli, proprio come fa il Team Jorge, il gruppo israeliano che ha spinto la rete a piangere la perdita dell’emù Emmanuel.

Il quartier generale del Team Jorge è al terzo piano di un edificio spoglio a Modiin, una cittadina israeliana a metà strada tra Tel Aviv e Gerusalemme. L’azienda non esiste ufficialmente, non ha un sito internet e neanche una targa sulla porta. “Restiamo fuori dai radar”, spiega uno
di loro.

Un pomeriggio di fine dicembre del 2022 gli uomini del Team Jorge ricevono due giornalisti di Forbidden Stories che si spacciano per gli intermediari di un uomo d’affari in cerca di un modo per posticipare le elezioni in un paese africano, il Ciad.

È il primo incontro in presenza dopo cinque videochiamate grazie alle quali i giornalisti sono riusciti a creare un clima di fiducia. “Jorge”, un uomo robusto che indossa una camicia azzurra e un orologio vistoso, si presenta come il capo. Poi ci sono anche suo fratello, che si fa chiamare “Nick” e un altro che chiamano “Max”. Sembra che vari componenti del gruppo abbiano un passato nei servizi segreti. Dalle ricerche svolte in seguito salta fuori che Jorge si chiama in realtà Tal Hanan e ha cinquant’anni. Pare abbia prestato servizio nelle forze speciali dell’esercito israeliano per poi mettersi in proprio negli anni novanta, quando ha fondato una società che opera nel settore della sicurezza.

Ai giornalisti di Forbidden Stories Tal Hanan dice di aver condotto insieme ai suoi collaboratori trentatré manipolazioni di campagne elettorali “di livello presidenziale”, delle quali “ventisette di successo”. Aggiunge che, per elezioni di questo tipo, il prezzo del servizio si aggira intorno a quindici milioni di euro, anche se non c’è modo di verificarlo.

I giornalisti gli chiedono se è possibile far rinviare il voto africano, ormai imminente. Si può fare, rispondono gli israeliani. Il costo: due milioni al mese, per un totale di circa sei milioni. Bisognerà creare a tavolino un evento e andranno trovate informazioni sulla controparte, motivo per cui servirà l’accesso a un operatore telefonico locale, presumibilmente per intercettare le comunicazioni. E poi ci vorrà qualcuno sul posto per dirigere gli avatar che porteranno avanti la campagna di disinformazione. Per loro la manipolazione di un’elezione sembra essere una questione di ordinaria amministrazione. Lasciano intendere di essere intervenuti in Nigeria, a Trinidad e Tobago e nel sudest asiatico. In un loro video promozionale fanno riferimento anche a un attacco informatico contro il referendum per l’indipendenza della Catalogna nel 2014.

Manifesti elettorali per le presidenziali keniane, Nairobi, Kenya, 10 agosto 2022 (Tony Karumba, Afp/Getty)

Non è possibile verificare le loro affermazioni, e alcune potrebbero essere esagerate. Ma, dopo mesi di ricerche, alcuni punti chiave sono confermati. I documenti in possesso di Forbidden Stories mostrano che, alle presidenziali nigeriane del 2015, il Team Jorge ha collaborato con la Cambridge Analytica, la famigerata società di consulenza che ha sostenuto Donald Trump nell’elezione a presidente degli Stati Uniti nel 2016. All’epoca, in un’email interna, il capo della Cambridge Analytica segnalava il suo apprezzamento verso un’“azienda israeliana per le operazioni sotto copertura”.

Secondo Hanan, è nelle elezioni che i suoi collaboratori danno il meglio, perché in quelle occasioni si coniugano due aree in cui sono esperti: reperire informazioni e influire sugli eventi. Ai giornalisti Tal Hanan dà una dimostrazione di quello che intende, entrando davanti ai loro occhi nella casella di posta Gmail del ministro dell’agricoltura del Mozambico. Clic dopo clic, percorre il profilo come fosse il suo, entra in Google Drive e sfoglia i documenti del ministro. Accenna solo vagamente a come funzioni, dal punto di vista tecnico, quello che ha tutta l’aria di essere un hackeraggio. Probabilmente i suoi collaboratori si procurano l’accesso alla rete cellulare locale ed entrano negli account attraverso degli sms intercettati.

Hacking for hire, scassinatori digitali a pagamento.

Un pericolo per la democrazia

Dopo qualche minuto, Hanan apre l’app di messaggi Telegram. Anche qui sembra muoversi senza problemi nell’account di un’altra persona, questa volta di un altro paese africano: è il profilo Telegram di un consigliere dell’attuale presidente del Kenya William Ruto. Sembra che gli uomini di Tal Hanan siano stati coinvolti nell’ultima campagna per le elezioni presidenziali keniane, che si sono svolte nel 2022. Hanan scorre le chat, dice “siamo attivi” e poi ne apre una, apparentemente a caso. È quella tra il consigliere di Ruto e un imprenditore keniano. Tal Hanan invia un messaggio a caso: scrive il numero 11. In seguito, l’uomo d’affari confermerà di averlo ricevuto.

L’industria della disinformazione, popolata di aziende come il Team Jorge, è pericolosa per la democrazia, perché interferisce con la possibilità di formarsi liberamente delle opinioni e inquina il confronto delle idee. Se le persone non riescono a informarsi o se vengono diffuse sistematicamente informazioni false, le elezioni non possono dirsi libere e indipendenti.

Non a caso, i giornalisti – e ancor più spesso le giornaliste – che fanno domande scomode e svelano scandali finiscono nel mirino dell’industria della disinformazione e dei suoi committenti.

Da sapere
Vittime di interferenze

◆ I servizi del Team Jorge, racconta il quotidiano britannico The Guardian, sono stati usati in Kenya, prima delle elezioni presidenziali del 2022 per violare gli account di due consiglieri politici del candidato William Ruto. L’intervento non è servito, perché Ruto è stato eletto presidente, nonostante le accuse di brogli portate avanti dal suo principale avversario. Secondo il quotidiano britannico, rivelazioni come questa mettono in luce i rischi derivanti dal coinvolgimento di specialisti della disinformazione nei sistemi e nelle istituzioni democratiche, relativamente giovani, dell’Africa. Da alcuni documenti ottenuti dal Guardian risulta che il Team Jorge è stato coinvolto, insieme alla società di consulenza Cambridge Analytica, anche nelle elezioni presidenziali in Nigeria nel 2015, per favorire la vittoria del presidente uscente Goodluck Jonathan sul suo avversario Muhammadu Buhari (che in realtà ha vinto e governato per due mandati). Dall’analisi dei bot usati in queste operazioni, si ricava che il Team Jorge potrebbe essere intervenuto anche nelle presidenziali in Senegal nel 2019. Infine, l’inchiesta del consorzio Forbidden Stories ha preso in esame il caso del Burkina Faso. I giornalisti hanno incontrato Royi Burstien, l’attuale capo di un’altra azienda israeliana, Percepto, che ha parlato di una campagna di disinformazione lanciata nel 2020 per screditare il lavoro della Croce rossa internazionale nel paese africano, attraverso la pubblicazione di un articolo sul settimanale di estrema destra francese Valeurs Actuelles. L’articolo ha alimentato un sentimento di ostilità verso la Croce rossa tra gli utenti di social network burkinabé.


Per esempio, Maria Ressa, la giornalista filippina premio Nobel per la pace, che con la sua redazione aveva svelato i legami del presidente Rodrigo Duterte con la criminalità organizzata, ha subìto varie campagne diffamatorie e per questo ha cominciato a uscire di casa indossando sempre il giubbotto antiproiettile. Nel 2017 la giornalista indiana Gauri Lankesh, che contrastava la diffusione di notizie false, è stata uccisa per il suo lavoro.

Ghada Oueiss, una presentatrice libanese di Al Jazeera, ha trovato su internet delle sue foto private in bikini in una vasca idromassaggio. Le immagini, che qualcuno aveva rubato dal telefono di suo marito, sono state condivise centinaia di migliaia di volte. Un venerdì di fine gennaio di quest’anno, in un rifugio di Davos in Svizzera, guardando le montagne innevate che fanno da sfondo al Forum economico mondiale, Oueiss commenta: “Non dimenticherò mai quel momento”. Il 19 aprile 2020 un account Twitter appena aperto pubblicò delle foto in cui la si vede fumare, bere alcol e poi fare l’idromassaggio. Comparvero più di 1.500 tweet in cui Oueiss era etichettata come “puttana” e “troia”.

“Pensavo: ora hanno le mie foto, quale sarà la prossima mossa?”, racconta la presentatrice tv, che in passato ha criticato la casa reale saudita. Dalle ricerche della Zeit è emerso che, probabilmente, un principe saudita si è rivolto a un’azienda degli Emirati Arabi Uniti specializzata in hackeraggio e a una rete statunitense di influencer, facendo prima infiltrare il cellulare di Oueiss e poi scatenandole contro una shitstorm, una gogna mediatica. Oggi l’Fbi sta indagando su questa rete di influencer.

Strumenti avanzati

Tal Hanan e il suo Team Jorge, però, sono già passati oltre. Hanno programmato una piattaforma per muoversi sulla rete a piacimento. Si chiama Aims, l’acronimo di Advanced impact media solutions (soluzioni mediatiche a impatto avanzato), un nome innocuo che però nasconde un distopico strumento di manipolazione. Gli israeliani mostrano ai giornalisti il programma che, con pochi clic, permette di creare avatar dotati di nome, città e data di nascita. Nel giro di pochi secondi aprono account social con foto e profilo Amazon collegato. In totale, come indica la schermata, il Team Jorge ha a disposizione decine di migliaia di avatar e può decidere chi e quando pubblicherà notizie, apprezzamenti o critiche, e quando far partire una tempesta di fango da migliaia di account.

Si è parlato spesso di presunte campagne condotte sui social network da eserciti di bot, di cui però finora si vedevano solo i risultati. Il dietro le quinte restava nascosto. Per la prima volta, grazie alla presentazione di Tal Hanan, abbiamo dato uno sguardo alla sala macchine di un’industria in cui la verità è negoziabile e le ideologie sono una merce. In uno degli incontri, il Team Jorge mostra il finto account di una donna, con tanto di carta di credito e bitcoin. Gli israeliani raccontano di aver inviato dal suo conto Amazon un pacco pieno di sex toys, accompagnato da un messaggio d’amore, a un politico. La moglie del politico l’ha aperto, ha cacciato di casa il marito e la storia è finita su tutti i giornali. Seguendo le tracce degli avatar usati nella campagna sull’emù che Tal Hanan ci ha mostrato, arriviamo ad altre campagne. Sembra che gli account del Team Jorge abbiano attaccato un’azienda che affitta yacht, che si siano schierati a favore del nucleare in California e che si siano immischiati nella campagna elettorale senegalese. E, a detta di Hanan, la piattaforma Aims è stata venduta ad alcune agenzie d’intelligence.

Non è un caso se a offrire questi servizi sono società israeliane, saudite o emiratine. In questa regione informazione e disinformazione si scontrano spesso, e i governi locali lasciano ampi margini di manovra alle aziende informatiche. Anni fa il capo del governo israeliano Benjamin Netanyahu diceva che “ai veterani dell’esercito e dei servizi segreti è permesso mettersi in proprio”. La sicurezza informatica è “come un’arma”, di cui approfitta anche lo stato. Non sorprende che, quando i giornalisti gli hanno chiesto di commentare i risultati dell’inchiesta, Hanan abbia risposto di aver bisogno “di un’autorizzazione delle autorità preposte”. Ogni “pubblicazione di dati personali” che lo riguardano sarebbe una violazione di “normative nazionali sulla sicurezza”. Hanan nega qualsiasi illecito e anche un’altra persona del gruppo sostiene di aver sempre rispettato la legge. Se Hanan stia bluffando o se effettivamente collabori con le autorità d’Israele non è chiaro.

In Europa la situazione è diversa: ci sono più regole, una forte vigilanza e un’opinione pubblica molto critica. La Cam­bridge Analytica, per esempio, è stata oggetto di un esame così minuzioso e attento che alla fine è stata costretta a chiudere. Nel caso del Team Jorge non sappiamo cosa succederà: l’hackeraggio è illegale anche in Israele e, grazie alle inchieste giornalistiche, ci sono le prove video di come agisce la sua azienda. Perciò Hanan potrebbe finire nei guai. Ma per l’industria della disinformazione non sarà il colpo di grazia: il settore è pieno di aziende pronte a prendere il posto del Team Jorge. Viste le possibilità offerte dalla tecnologia in futuro “non si potrà più credere a ciò che si vede o si sente”, avverte Gabi Siboni, ex comandante dell’esercito israeliano e consulente del governo in materia di sicurezza informatica. “Abbiamo davanti un futuro spaventoso”. ◆ sk

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Questo articolo è uscito sul numero 1500 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati