David Almond è considerato universalmente uno dei più grandi scrittori per ragazzi. Il suo capolavoro Skellig è un libro che ha fatto il giro del mondo parlando al cuore di una gioventù desiderosa di essere abbracciata. I personaggi delle sue storie non sono mai banali. Hanno la rara dote di essere reali e di un altro mondo allo stesso tempo. Spesso superano barriere invisibili, difficoltà insormontabili. E di questa stoffa è fatta anche la Sylvia Carr di Il canto del bosco, una ragazza di città trascinata da una madre eccentrica, o solo triste, in una brughiera ansiogena quanto quella di Cime tempestose di Emily Brontë. Sylvia è un animale metropolitano. Ama tutto della città: il chiasso, il traffico, le luci, il caos. Nel silenzio della brughiera si sente persa. Finché in suo soccorso arriva uno strano ragazzo, Gabriel, che suona un flauto ricavato da un osso. Chi è Gabriel? Sembra un messaggero tra il mondo dei vivi e quello dei morti. E lentamente Sylvia si fa avviluppare dai segreti della foresta. Almond da buon cattolico riprende alcuni stilemi cristiani, e Sylvia ci sembra un Dante Alighieri che s’inoltra nella selva oscura. Però la storia non è una divina commedia, ma un percorso dentro la solitudine e le paure di una ragazza di oggi. Nella nostra modernità in bilico. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1504 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati