Come presentare un edificio che consuma un sacco di energia e genera una formidabile bolla di calore in tempi in cui i prezzi delle bollette esplodono? Il gruppo immobiliare del Québec Ivanhoé Cambridge, proprietario delle torri Duo – due colossi che impongono il loro profilo siamese a chilometri di distanza lungo il boulevard Périphérique parigino, tra la Senna e i binari della stazione d’Austerlitz –, ha scelto come data d’inaugurazione il 21 settembre, proprio alla fine della seconda estate più calda dall’inizio del novecento.

Alti rispettivamente 120 e 180 metri, i due grattacieli inclinati incarnano tutto ciò che bisognerebbe evitare se si vogliono azzerare le emissioni in tempi ragionevoli: usano enormi quantità di materiali (vetro, acciaio, cemento) che producono livelli disastrosi di anidride carbonica, riscaldano l’atmosfera intorno e creano all’interno un “effetto forno”. I pannelli solari installati sul tetto e le tecniche che hanno permesso all’edificio di ottenere alcuni riconoscimenti ambientali (come il sistema di riciclaggio delle acque grigie) sono ben lontani dal compensare il consumo di energia dell’insieme.

La sindaca di Parigi Anne Hidalgo non era presente all’inaugurazione. Era a New York per la 14a edizione della Settimana del clima. Ma fu proprio lei a promuovere il progetto agli inizi degli anni 2010, quando era ancora vicesindaca di Bertrand Delanoë e assessora all’urbanistica. Nel 2012 sotto la sua direzione fu rivisto il piano urbanistico che portava da 50 a 180 metri l’altezza dei grandi edifici della città, e nello stesso anno Hidalgo fu presidente della giuria del concorso organizzato per chiudere il piano Paris Rive Gauche, che scelse il progetto dell’architetto Jean Nouvel.

Un contesto diverso

Da Londra a Dubai, da Beirut a Hong Kong, nel 2012 le torri di vetro incarnavano il vertice assoluto della raffinatezza architettonica: simboli del capitalismo trionfante, della trasparenza innalzata al rango di religione, in grado di offrire a utenti privilegiati dei panorami senza interferenze. Parigi si era lanciata nella corsa con un certo ritardo.

Tra gli “edifici simbolo” che dovevano valorizzare la città c’erano anche il palazzo del tribunale – realizzato da Renzo Piano nel 2018 – e la torre Triangolo di Herzog & de Meuron, il cui cantiere è partito nel 2021 dopo una lunga battaglia legale. E le torri Duo.

Ma oggi la situazione è diversa. Nel 2019 il sindaco di New York, Bill de Blasio affermava che per raggiungere la neutralità carbonica nel 2050 non si sarebbero più costruiti dei grattacieli in vetro nella sua città, dove rappresentano la prima fonte di emissioni.

Le torri, viste dall’avenue de France, a Parigi (Ma​eva Destombes, Hans Lucas/Contrasto)

Nel frattempo la consapevolezza dell’impatto di questo tipo di edifici sul clima ha stimolato la ricerca. Attualmente si stanno sviluppando nuove tipologie di vetro, più isolanti, che non aggiungono nell’atmosfera più gas serra di quanto riescano a toglierne o che sono capaci d’integrare dei meccanismi fotovoltaici.

Le torri Duo non sono i primi edifici a essere costruiti andando contro le tendenze attuali e non saranno di certo gli ultimi. Ma la loro potenza simbolica gli si rivolta contro. Se non stravolgessero tanto l’orizzonte parigino, se l’aura del loro architetto non si riflettesse tanto su di loro, probabilmente ci darebbero meno fastidio.

Neanche Jean Nouvel era presente la sera dell’inaugurazione. L’architetto francese – a cui Parigi deve alcuni dei suoi edifici più celebri, dall’Istituto del mondo arabo alla fondazione Cartier, dal museo del quai Branly alla Philarmonie – era stato trattenuto all’estero per presentare un grande concorso. Tuttavia le sue torri Duo gli stanno particolarmente a cuore. Meno alte della torre Infinita, un progetto abbandonato nel 2000 che con i suoi 425 metri doveva svettare sul piazzale della Défense, questi grattacieli mettono in evidenza lo stile di Nouvel nel cielo parigino. Il duplice volume del tutto asimmetrico, che si divarica in una forma a V, serve proprio a questo.

Entrambe le torri s’inclinano fino a cinque gradi, quindi pendono un po’ più della torre di Pisa. Rivestita di frangisole che attenuano l’effetto forno, coperta da una lastra che le dà un po’ di ombra, la torre ovest s’innalza a gradoni. Più alta e massiccia, dotata di una doppia facciata che riduce il rumore dei treni e del vicino boulevard Périphérique, la sua sorella maggiore è strutturata come un corpo articolato, una testa spigolosa con un tetto smussato che raddrizza l’inclinazione della base.

Mastodonti di quartiere

Questa eterogeneità delle facciate, che hanno ognuna inclinazione, colore e materia propri, dà alle torri un carattere unico. A seconda del punto da cui le si guarda, non hanno mai lo stesso aspetto. Il profilo particolarmente slanciato che offrono dall’avenue de France è probabilmente il più sorprendente: fa scomparire il corpo della torre più grossa, ma non la sua testa, che sembra appoggiarsi in equilibrio instabile sul vertice appuntito della torre più piccola, che raccoglie tutta la luce.

Dalla periferia o dal Périphérique il discorso cambia. La forma dell’insieme varia molto a seconda degli angoli, ma la costruzione mostra il suo carattere imponente. Tuttavia l’effetto cinematografico voluto dall’architetto, che aveva pensato a giganteschi specchi che riflettessero il paesaggio e il viavai delle macchine, non funziona così bene visto che il vetro è già grigio a causa dell’inquinamento.

In questo contesto ridefinito dalle torri Duo, il quartiere Massena e l’intera area della rive gauche, compresa la Biblioteca nazionale di Francia (Bnf), sembrano improvvisamente modesti. Limitati a cinquanta metri di altezza, questi edifici, che fino a poco tempo fa incarnavano una certa idea di modernità parigina, si ritrovano come soffocati.

Costruiti direttamente a livello della strada, questi mastodonti s’integrano paradossalmente piuttosto bene nella zona informe. Gli spazi vicini sono stati adattati con gusto ed è stata piantata una grande quantità di alberi, mentre i negozi che dovrebbero aprire al piano terra promettono di animare il quartiere.

I 96mila metri quadrati di superficie utile ospiteranno i novemila dipendenti del gruppo bancario Bpce, un albergo, un ristorante e un bar, gestiti dal gruppo di Laurent Taïeb, che occupano gli ultimi piani della torre ovest. Caratterizzate da un “lusso accessibile”, queste parti sono state decorate dall’inossidabile Philippe Starck, un nome che da solo evoca una vita fuori dal mondo e dal tempo. Una vita nel mondo di prima, dove la crisi climatica non era ancora entrata nel vocabolario comune. ◆ adr

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Questo articolo è uscito sul numero 1484 di Internazionale, a pagina 81. Compra questo numero | Abbonati